I principi che
sono a fondamento della costruzione del linguaggio dei greci sono anche alla
base della filosofia del pastore e, poi, almeno alcuni, del pensiero filosofico.
Il pastore greco è un esperto fisiologo, in quanto conosce non solo l’anatomia
animale, ma tutti gli stadi del divenire dell’essere, nel suo processo
sequenziale di formazione. Il pastore, pertanto, regola la sua vita e sviluppa
il suo pensiero sulla base delle verità che acquisisce, leggendo il
processo di creazione. I cardini del suo pensiero, dei valori di vita e,
quindi, della sua filosofia, vengono dedotti da verità, ritenute assolute, del
grembo. Pertanto, a fondamento del processo di formazione della vita, c’è il
mancare, non il crescere. L’inseminazione è un mancare, la graduale
formazione e crescita della creatura è frutto di un mancare, nel senso di
acquisizione sequenziale di ciò che non si ha, la nascita è frutto di un
mancare, molti elementi reali sono frutto di un mancare. Inoltre, la crescita
del flusso gravidico, frutto del mancare di chi ha inseminato, determina il
legame tra madre e figlio, cui consegue un mancare, che è l’acquisizione
graduale di ciò che manca e, quindi, preordinata, al punto che acquisisce le
caratteristiche della scienza. Per il pastore il mancare, in quanto nascere,
ha valore positivo, nel senso dei rapporti umani, invece, ha valore negativo. La
sapienza dell’uomo si basa sul mancare, che è l’essenza dei processi, per
cui l’assunto fondamentale di Socrate fu: so di non sapere. Il pastore greco,
quando vuole dire tutto (tutto intero) formula: ὅλος, mediante questa perifrasi: la crescita del grembo/la dissoluzione del
seme determina la formazione di tutto l’essere, legando (madre/figlio,
seme/terreno), mentre il pastore latino, più preciso, elaborando: totus
totius, asserisce: genera il tendere la crescita, per legameche
determina il mancare (come acquisizione di ciò che non si ha). Questa
formulazione indusse i latini a pensare che l’essere in formazione è sempre un
tutto intero e che ogni essere è il risultato di un crescere, legare,
mancare.
Nella cultura del mio territorio, da tot fu dedotto totaro
che significa: persona prestante fisicamente, ma vuota dal punto di vista
intellettivo. I latini da tot (alla greca: ταοθ)indeclinabile: tanti (tot capita, tot sententiae),
dedussero: totaliter: totalmente, mentre gli italici ricavarono: totale.
Il mancare (come capacità di creare quanto manca/necessita) si riscontra
in θεός (è colui che dall’ho il mancare cresce, determina
la crescita, che è una qualità divina, se i latini indicarono con fas,
alla greca φαθ, il diritto divino). Il pastore greco aveva coniato
i verbi δέω: manco, sono privo, δέομαι: ho bisogno, che era ciò che conseguiva per lui dall’essere
privo di. Inoltre, a δέω, altra
verità del grembo, aveva attribuito anche il significato di: lego,come
capacità della gestante, legando, di realizzare la creatura. Deus è
l’omologo di θεός: è colui che lega dall’ho il mancare. Deus,
pertanto, è colui che crea: legando dà forma, creaciò che
manca). Il mancare è, anche, il fallo/sperma/seme, che contiene ciò
che è indispensabile a. Da questo mancare si origina la creazione. Infatti,
lo sperma, che contiene il tuttoper, diventa, successivamente,
flusso caotico, che ha in sé tutti gli elementi per formare l’essere.
La formazione- creazione dell’essere è compito della fattrice, che, nutrendo/legando
la creatura, fa sì che questa manchi, nel senso che fa sì che divenga,
acquisendo, gradualmente, pedissequamente e spontaneamente, per come prestabilito,
tutto quanto le manca. Si potrebbe pensare che tutta la filosofia presocratica si
sostanzi della filosofia del pastore.
La ricerca
degli elementi primi per la costituzione del cosmo: στοιχεῖα, per i
greci, principia/primordiarerum, per i latini, rimandano
agli elementi che sono nel seme per la formazione dell’essere animale e
vegetale. Le due scuole più importanti, quella eleatica e quella empedoclea,
prendono le mosse dalla capacità in sé di creare, che fu di Parmenide, mentre
Empedocle, come tutta la cultura del pastore, pensava che l’essere fosse il
frutto di un divenire continuo (un mancare), per acquisizione graduale e
prestabilita, che cessava con la nascita, momento di compiutezza e, quindi, di
perfezione della creatura. Dalla nascita, inoltre, sempre per Empedocle,
iniziava un nuovo divenire, che, apparentemente, si concludeva con la morte,
ma, in realtà, la materia ritornava nel ciclo dei processi
meccanicistici. Per altri lo spirito- anima continuava a vivere. Per Parmenide
l’essere perfetto e immutabile potrebbe essere il seme, per Empedocle è
l’essere che diviene nel grembo, fino a raggiungere la perfezione. Per
Empedocle la metamorfosi è di tutti gli esseri, in quanto l’essere in sé,
che è perfetto, cambiaforma. Μορφή per il pastore greco non è propriamente forma, ma è l’aspetto
cheassume l’essere che si va formando.
La perifrasi di μορφή è: mentre la creatura resta nel grembo, è ciò che
nasce dal generare il legare (ad indicare la formazione graduale della creatura
stessa, ma anche come diviene). Infatti, μορφόω significa: mi formo, prendo forma. Quando il pastore greco
da εἰμί(quando nasco): io sono, volle indicare colui
che è,nel processo formativo,coniò: ὤνὄντος, affermando:
si riscontra nell’essere che tende divenendo, meglio: mancando. Pertanto, il
problema ontologico di Parmenide, di Platone e di Aristotele non è un tema che
si pone il pastore, ma è ciò che scaturisce dalla filosofia del pastore. Inoltre, con ὤνὄντος non solo si indicò colui che è (colui che nasce), ma anche: colui
che crea, perché dalla perifrasi si può desumere anche questo significato:
è colui che si riscontra dentro il tendere, che può indicare anche il pene, che
manca (come inseminazione). C’è da aggiungere che, formulando: λύ-ωνλύ-οντος, indica colui
che, di fatto, genera lo sciogliere. La decodifica di οὖσα (ουθα) οὕσηςpotrebbe essere la seguente: è colei che dal
crescere (l’abbozzo del grembo) genera legando. Si ricorda, a mo’ di esempio,
che a αὐτόςil pastore
greco attribuì i seguenti significati: stesso, da sé/spontaneamente,
in quanto αυτ e ος, per il
pastore, dicono la stessa cosa, trattandosi di un’equazione: affermare
che il generare il tendere della creatura e affermare che questo avviene
quando la madre lega a sé la creatura è la stessa cosa; poi,
riflettendo, disse: questo processo avviene da sé e anche
spontaneamente.
La decodifica
di esse non è facile, in quanto il σ/s può
acquisire tre significati: mancare, crescere, legare; la
traduzione potrebbe essere la seguente: dal generare il mancare cui consegue
il crescere, che è il fine dell’attività riproduttiva. Questo è un verbo
irregolare e difettivo. C’è una radice fu, alla greca: φου: dall’ho il nascere, da cui il pastore latino dedusse: φουω (sono), fui (quando nacqui).Ricordo che i significati
alle parole vengono assegnati da chi le conia; infatti, i greci a ἡσσάομαι, verosimilmente un omofono di esse, diedero i seguenti
significati: sono inferiore, sono vinto, sono battuto, deducendo:
ἦσσαἦσσης: il lasciarsi dominare, sconfitta, disfatta, da cui
i latini ricavarono: vexare (vessare). Sicuramente, i latini, coniando: ens
entis: ente, ciò che è, riformularono, a loro modo, ὤνὄντος, asserendo: va
il mancare (is) dal generare dentro il crescere (ens).I latini tradussero entia gli esseri, tutti
gli esseri. Nell’esse c’è l’essentia, ad indicare la
natura propria di quell’essere, che si connota per gli elementi suoi propri,
che sono essenziali per definirlo: mancare, legare, crescere.Si ricorda che in colui che può (procreare) si rinviene il
potente, la cui radice è da scrivere alla greca: π-ωθ, dove ωθ è la radice da
cui fu derivato il verbo ὠθ-έω: spingo,
ma che alla lettera si traduce: è ciò che genera il crescere, per cui
potente nella logica del pastore latino: è colui che, quando si genera il
crescere, legando, fa il mancare/il nascere. Inoltre, come ho già detto a
proposito di αὐτός, l’essere ha come caratteristica lo spontaneismo che è proprio della
natura, che consente di autoriprodursi, in base a leggi ferree ed immutabili.
Alla luce di quanto detto, si spiegano alcuni riti popolari, ad Atene e a Roma,
come le falloforie, propiziatorie di fertilità, in cui la processione bacchica
(comos: κῶμος) si tramutava in orgia. Si può anche asserire che Διώνυσοςrappresenti
la divinizzazione del fallo, se la perifrasi si può rendere: è colui che si
trova dentro dal generare il legare per crescita, determinando il mancare. La
realtà che ci circonda (mondo animale e vegetale) è frutto del mancare,
ma anche le realizzazioni umane sono il frutto di un mancare, nel senso e di un
divenire, che consente di acquisire ciò che manca, e anche nel senso che l’uomo
le realizza, sentendone la necessità. La parola (karpòs) καρπός: frutto è il risultato di una perifrasi molto generica: durante
il lasso di tempo delle stagioni è ciò che manca (qui, nel senso di nascere
in seguito ad un processo). Si ricorda che i latini da questa radice
elaborarono il verbo carpo, mentre gli italici dedussero carpire e
lo s-carto.
Il pastore
greco, come quello latino, congegna δόμος/domus
così: mentre la creatura resta legata alla madre, c’è un
mancare indispensabile: il grembo diventa casa. Coniando (ypnos) ὕπνος: sonno,
il pastore greco ragiona così: èciòche prova la creatura dentro
il mancare, ad indicare il lungo sonno della creatura in grembo (nel senso
di venir meno anche per stanchezza, perdendo coscienza e conoscenza). I latini,
dicendo somnus, furono più precisi: mentre la creatura rimane a legare/faticare
èciò che manca, nel senso che, dopo la dura fatica, è necessario
recuperare forze, riposando. I latini, poi, dedussero, da somnus,
somnium (sogno), asserendo: è ciò che si genera dentro il rimanere del
sonno. I greci avevano coniato (onar) ὄναρe/o (oneiros) ὄνειρος(da cui: onirico): fantasma, cosa vana,
sogno, deducendo il tutto da questa perifrasi: è ciò che si evince (l’ho
dentro: ον) quando incomincia a scorrere il legare, che è la
fase iniziale della formazione dell’essere, che appare come un fantasma.
Quando elabora (sitos) σῖτος: grano, dice semplicemente: va a crescere il
tendere (la crescita del grembo è segno del grano/pane preso dalla madre), generando
il mancare (del grano). La parola, poi, nel momento in cui diventa deittica, è simbolo
di una precisa realtà. C’è, inoltre, da ribadire che σῖτοςfu dedotto da
σιτέω: mi nutro (di farinacei). La creatura che, mentre manca, resta
legata alla madre, fa pensare al pastore a realtà che sono uguali. Per coniare
(isos) ἴσος: equivalente, uguale, pari, si servi di questa circonlocuzione:
ho il legare cui consegue il mancare, volendo significare: dire mancare
(divenire) e dire legare è la stessa cosa, in quanto il mancare è frutto del
legare. Lo stesso espediente usarono i latini per coniare idem eiusdem:
mentre la creatura rimane legata, manca (diviene), a voler significare: dire
che, mentre la creatura rimane legata, diviene, è la medesima cosa. Il
rafforzativo di idem fu ipse ipsius (lo stesso), costruito con lo
stesso processo. Qui si
sospende, rinviando a una seconda parte de: “Il pastore e la filosofia”.