Dopo
l’edizione splendida diretta da Claudio Abbado, con la regia di Giorgio
Strehler e con le scene i costumi di Ezio Frigerio, quella in corso alla Scala
è la più toccante rappresentazione del Simon Boccanegra cui io abbia
assistito. Certo, non son da dimenticare le interpretazioni di Gianandrea
Gavazzeni, Georg Solti, Daniel Barenboim, Myung-Whun Chung, per restare a
quelle data alla Scala negli ultimi decenni. Ma quest’ultima - diretta da
Lorenzo Viotti, con la regia di Daniele Abbado, scene di Daniele Abbado e
Angelo Linzalata, costumi di Nanà Cecchi, luci di Alessandro Carletti; e con
interpreti quali Eleonora Buratto, Luca Salsi, Ain Anger, Charles Castronovo, Roberto
De Candia, Andrea Pellegrini – è quella che più sento mia. Non è il caso
riprendere qui la tormentata vicenda di quest’opera, nata nel 1857 su libretto
di Francesco Maria Piave e sottoposta a un rifacimento nel 1881, rivista nella musica da
Verdi oltre che nel libretto da Arrigo Boito. Importano la coerenza della
“tinta” (per usare un termine verdiano): nella scelta della messinscena (mi
suggerisce Tiziana Canfori), una tavolozza di grigi percorre tutta l’opera,
dando vita alle molte sfumature di questo colore altrimenti piatto, mostrandone
la complessità e le tonalità più intime. Questa lettura del Simone dà
evidenza al tema del potere, alle profonde istanze pacifiste che percorrono l’opera
ed esplodono emblematicamente nell’esclamazione di Boccanegra nella Sala del
Consiglio: “Plebe! Patrizi!... Popolo / Dalla feroce storia! / Erede sol
dell’odio / Dei Spinola e del Doria, / Mentre vi invita estatico/ Il regno
ampio dei mari, / Voi nei fraterni lari / vi lacerate il cuor. // Piango su
voi, sul placido / Raggio del vostro clivo, / Là dove invan germoglia / il
raggio dell’ulivo. / Piango sulla mendace / Festa dei vostri fior, / E vo
gridando: pace! / e vo gridando: amor!”. E
ancora:“Sì, pace splenda ai Liguri, / Si plachi l’odio antico; / sia
d’amistanze italiche / Il mio sepolcro altar”. Poco
sotto, e sempre nel secondo atto: “Dunque messaggio / Ti reca a lor di pace…
/ E il sole di domani /Non sorga a rischiarar fraterne stragi”. L’intervento
di Eleonora Buratto del 15 febbraio 2024 nella sede degli Amici del Loggione
del Teatro alla Scala ha confermato la sensibilità e l’intelligenza di questa
interprete, che ha puntato non solo sul coraggio (innegabile) di Maria/Amelia
(sul suo “eroismo” le avrebbero a tutta prima suggerito Lorenzo Viotti e
Daniele Abbado), ma soprattutto sulla dolcezza della sua personalità. Dolcezza
che ben si coniuga con l’aspirazione alla pace che innerva tutta l’opera. Nota
è la profonda spaccatura temporale (25 anni!) che percorre l’opera tra il Prologo
e i tre successivi atti, e che è avvertibile (come nota Emilio Sala in “L’opera
in breve” del programma di sala del 2010) anche nello scarto tra tonalità
diverse. Un tangibile pessimismo anima il ruolo ambiguo del popolo, esposto a
ogni vento, volubile, inaffidabile. E soprattutto il tema del potere non voluto
da Boccanegra, accettato per fini irrealizzabili, condotto in modo drammaticamente
usurante, infine motivo dell’oscura morte del protagonista, con cui si conclude
l’opera; sia pur accompagnato da un incerto cenno di rinascita nell’unione di
Amelia-Maria e Gabriele Adorno, futuro Doge; e dal superamento, finalmente,
dell’acre e insensato odio di Jacopo Fiesco verso Simon Boccanegra, che pure
condiziona il corso dell’intera opera. Giuseppe
Verdi Simon
Boccanegra, libretto
di Francesco Maria Piave e Arrigo Boito Teatro
alla Scala, febbraio 2024