Gli
scioperi cominciati il 1° marzo 1944 dovranno essere ricordati in ogni
occasione come uno dei punti più alti di coscienza e mobilitazione politica
raggiunti dalla classe operaia italiana. In particolare in questo momento
storico di grande difficoltà per la democrazia repubblicana, con la destra al
potere che intende stravolgere la Costituzione all'interno di un quadro
generale di enorme pericolo per la pace e la convivenza dei popoli. In quelle
giornate si dimostrarono: a)
il frutto di un lungo lavoro di tenace organizzazione portato avanti durante il
ventennio fascista, soprattutto per opera del Partito Comunista clandestino. In
questo periodo si è molto discusso sul centenario di fondazione del Partito,
sulle ragioni e i torti espressi nel congresso di Livorno (quello che è stato
definito della “dannazione”), sui successivi sviluppi. È stata raccontata
soprattutto la storia dei gruppi dirigenti, del legame con l’Unione Sovietica,
delle contraddizioni che ne derivarono per una storia durata 70 anni
attraversata dal più grande partito comunista d’occidente e da uno dei grandi
partiti di massa nella storia italiana. Un partito di massa pilastro di quel
“sistema dei partiti” che ricostruì il Paese dalle macerie della guerra,
affermando prima di ogni altra cosa una Costituzione Democratica. Nell’esplicitare
questa “narrazione” e nel discutere anche dei risvolti più propriamente teorici
e politici viene quasi sempre tenuto in ombra un aspetto che, invece, alla
prova dei fatti è risultato decisivo.
Il
Partito Comunista, nel ventennio, non è stato soltanto il partito dei
“rivoluzionari di professione”, dell’emigrazione (che pure fu massiccia e non
soltanto da parte del gruppo dirigente), delle varie “svolte”: nelle fabbriche,
nelle grandi concentrazioni industriali, il Partito aveva continuato a vivere
anche nell’attività delle persone semplici, degli operai che continuavano,
rischiando, a testimoniarne l’esistenza. Basta leggere certi numeri dell’Unità
clandestina quasi esclusivamente compilata pubblicando gli elenchi dei
sottoscrittori, oppure guardare ai risultati del plebiscito fascista del 1929,
e ancora avanti. Del resto anche i tanti discussi appelli “ai fratelli in
camicia nera” o all’invito all’ingresso nei sindacati fascisti avevano senso
perché c’era chi faticosamente continuava a tessere la tela, magari non
conoscendo neppure appieno cosa stava accadendo intorno. Come era già avvenuto
in precedenti occasioni (marzo, novembre 1943) gli scioperi avviati il 1° marzo
1944 in gran parte delle grandi fabbriche del Nord dimostrarono che quel lungo
faticoso lavoro, costato sacrifici, galera e sangue, aveva dato i suoi frutti. Oggi,
a distanza di tanti anni, non possiamo dimenticarlo e non possiamo regalare
tutto alla “damnatio memoria”. In quel momento Togliatti stava rientrando in
Italia e stava per lanciare “il Partito Nuovo” ma senza la presenza fisica di
quella classe operaia tanto evocata quel Partito, così come lo abbiamo
conosciuto nel dopoguerra non ci sarebbe stato; b)
Gli scioperi iniziati il 1° marzo 1944 rappresentarono, inoltre, il momento
evidente di saldatura tra la Resistenza della montagna e quella delle Città:
furono il punto d’incontro di una capacità di intervento, non solo militare ma soprattutto
politico fornendo una funzione “nazionale” alla classe che resisteva. Fu questo
un altro dei pilastri che portò nel dopoguerra a far sì che le sinistre
costruissero assieme alle altre forze politiche la Costituzione. Soprattutto
però, in quel momento, della saldatura tra le diverse realtà della Resistenza
che fu costruito per davvero un “blocco storico”. Fu pagato un prezzo
altissimo: penso a Savona e ai deportati a Mauthausen, ma si trattò di un
momento determinante per costruire il domani.
È stato da quegli scioperi, da quelle deportazioni,
che scaturì la ragione della legittimazione del 25 aprile: quando all’indomani
si poté subito riprendere in mano democraticamente il nostro destino senza
delegare tutto agli Alleati e recedere dalla nostra capacità di governo. Ecco:
la capacità di governo della Resistenza, il far sì che fossero i CLN a nominare
subito, il giorno stesso della Liberazione, Prefetti e Sindaci ebbe la sua
origine da quei giorni drammatici del marzo 1944. Non possiamo dimenticare, ma
nemmeno come fu preparato quel passaggio attraverso il tenace, spesso
misconosciuto antifascismo praticato nelle fabbriche nella lunga notte che il
Regime aveva rappresentato nella storia d’Italia.