Le recenti (e per un laico: razionalmente incomprensibili) diatribe circa
l’estensione dei giorni di assenza giustificata e autorizzata degli scolari
dagli istituti di istruzione non solo per la ricorrenza di festività
religiose cattoliche ma anche per quelle islamiche e (perché no?) ebraiche,
induiste e di qualsiasi altro credo fideistico hanno occupato largo spazio nelle
pagine della stampa nazionale.A chi non abbia perso il gusto e la
voglia di ragionare hanno posto anche qualche delicato problema di
coerenza logica. Sul piano individuale, personale e soggettivo le
norme che tutelano il diritto di professare liberamente la propria fede
religiosa in qualsiasi forma anche associata (etc. etc.) non fanno una
grinza, perché esse non intaccano le libertà degli altri di fare altrettanto
per i propri convincimenti né pongono gerarchie tra i vari
culti. Cominciano, invece, a destare qualche perplessità quelle che
consentono a uno Stato, entità astratta, impersonale (e che dev’essere, per
principio, necessariamente equidistante e imparziale) di qualificare un
periodo di vacanze invernali (per consentire lo sci su piste innevate) o
primaverili (per le prime gite fuori porta, favorite dal bel tempo) con denominazioni
derivate dalla tradizione di una sola religione, anche se praticata da una
maggioranza di cittadini.E ciò in un mondo che va globalizzandosi e
articolandosi con molteplici e diverse presenze etniche e fideistiche. Lo
Stato, in altre parole, in contesto umano ormai perennemente in via di
trasformazione, dev’essere necessariamente ispirato a principi di
laicità. Concordati o altre Intese di favore stipulate con Chiese e con altre
istituzioni religiose sono aberrazioni che contraddicono tali principi. Se la parola d’ordine, soprattutto degli stessi credenti cristiani
(ricordiamo tutti papa Francesco a Lampedusa), è quella di aprire le frontiere
a chiunque, indipendentemente dai suoi convincimenti, è doveroso far sì
che gli stranieri, una volta entrati negli italici confini e legittimati a
permanere, possano mandare i figli nelle nostre scuole godendo del beneficio di
sottrarsi alle lezioni per un periodo limitato di tempo in Gennaio o
Febbraio o in Aprile-Maggio senza tirare in ballo né “natività” che altri
non riconoscano come evento divino (disinteressandosi da essa) né Babbi vestiti
di rosso né Befane volanti sulla scopa né fantasiose “resurrezioni” cui non
tutti riescono a credere, né bianche colombe e ramoscelli d’ulivo. Naturalmente
ciascuno nel proprio intimo darà a quei giorni di assenza dalle lezioni il
significato anche sacro che vuole attribuirgli e si raccoglierà in
preghiera dove e come creda; ma dopo una salutare vacanza trascorsa
all’aria aperta quel quidam de populo, spinto a essere litigioso
dall’assolutismo intollerante che è di ogni credo religioso, ci risparmierà
recriminazioni su offese subite alla propria coscienza di credente.