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martedì 12 marzo 2024

WAGNER ANTISEMITA?
di Gabriele Scaramuzza


R. Wagner
 
La Rivista Wagneriana è una pubblicazione della “Associazione Wagneriana di Milano”, e risulta dalla collaborazione con “La Voce Wagneriana -Associazione Richard Wagner di Avellino”. Coordinatore ne è Aaron Tagliabue, responsabili per Milano e Avellino sono rispettivamente Guido Agosti e Luca Maria Spagnuolo. Del Comitato Editoriale sono parte Andrea Camparsi (che non ricordo di avere conosciuto) e Giorgio Tagliabue, di cui apprezzo taluni tratti umani.  Mi ha interessato il recente L’antisemitismo di Wagner. Già il sottotitolo tuttavia - Una deplorevole colpa dell’uomo, ma un finto problema riguardo all’artista -, e poi il modo di argomentare dell’autore, suscitano qualche perplessità, riprendono i lati più problematici del wagnerismo. Innanzitutto la drastica separazione dell’uomo dall’artista. Che cosa sia raccolto sotto l’indice “artista” sembra facilmente individuabile: i drammi, e anche gli innumerevoli scritti che Wagner ha dedicato alla difesa, alla chiarificazione, alla pubblicità della sua innovativa artisticità. Dovremo attribuire all’ “uomo” tutto il resto che ci è pervenuto di lui? Le testimonianze sulla “vita” nei suoi molteplici aspetti, i suoi interventi pubblici di varia natura, tra cui Das Judentum in der Musik?  
Perché separare, e in modo tanto drastico, l’uomo dall’artista, la vita dalle opere? Certo, l’aspetto della personalità per cui Wagner va famoso è quello artistico; ma ci son altri aspetti della sua persona con cui fatalmente l’arte interagisce. Ho sempre rifiutato di scindere persona e opera: i drammi di Wagner sono parte della sua vita. La sua persona (come ogni persona) è un tessuto di relazioni variabili, tra aspetti differenti; da non mettere sullo stesso piano, certo; ma neppure da preordinare gerarchicamente. Un innamoramento accade a tanti, ma è di pochissimi farne l’incentivo per la creazione di un dramma musicale quale il Tristano. Un viaggio a Venezia è di molti, ma ben diverso è il risalto che assume ove sia Wagner a compierlo. Ovvietà, che qui servono tuttavia a mettere in risalto che rifiutarsi di distinguere arte e vita non significa affatto metter sullo stesso piano tutto quanto accade a una persona. Nessun accadimento psicologico, biologico, storiografico basta a spiegare un’opera d’arte; l’estetica fenomenologica lo ha compreso bene, e per questo sta alle origini del formalismo, di ogni considerazione dell’opera che ne rivendichi lo statuto immanente. Ma anche sappiamo che questo non significa tagliare i ponti con la soggettività che la costituisce, in presenza della quale si istituisce come opera d’arte. Fare i conti con l’antisemitismo di Wagner è stato per me anche un problema personale. Mi sentivo stretto tra l’apprezzamento di tanta sua musica e l’assoluta renitenza ad accettare non pochi aspetti della sua personalità: il suo estremo narcisismo, il disprezzo per l’altro, ma soprattutto il razzismo, suo e tanto più dei suoi eredi bayreuthiani.        
Encomiabile è l’intento di Paolo Fenoglio di vedere l’antisemitismo alla luce del mondo in cui si è prodotto. Contestualizzare non è tuttavia ridurre-a, tanto meno giustificare. Nel caso delle opere esiste sempre una loro emergenza nel tessuto in cui si sono prodotte, rispetto alle contingenze della vita; e a maggior ragione nel caso delle grandi opere d’arte. C’è modo e modo di far valere la scissione opera-vita del titolo, una loro separazione tout-court non convince; un modo fenomenologico di farlo valere rimette in gioco ad altro livello la soggettività.



Altri punti suscitano interrogazioni scorrendo lo scritto di Paolo Fenoglio:
I rapporti di Wagner con Meyerbeer e Mendelssohn bastano a motivare un antisemitismo che investe un mondo assai più vasto, e dai risvolti quanto mai molteplici? Conosceva Wagner le condizioni di vita degli Ostjuden?
Da condividere senz’altro è la presa di posizione di Fenoglio contro le “demenziali regie decostruttive e dissacratorie” dei drammi wagneriani, ormai purtroppo diffuse. 
Non conosco i rapporti personali di Wagner con Hermann Levi, anche se presumo Fenoglio colga bene i loro rapporti sul piano artistico. Wagner non cita Levi nel Mein Leben, che si conclude nel 1864. Dallo scambio epistolare tra Levi e Cosima in La mia vita a Bayreuth risulta tuttavia l’atteggiamento a dir poco ambiguo di Cosima. So l’affermazione del tardo Wagner rivolta a Cosima, riportata da Barenboim e ripresa da Fenoglio (e anche da me in talune mie riflessioni sull’antisemitismo di Wagner). Cosima non risulta tuttavia ne tenesse gran conto.
Questo non toglie che l’antisemitismo di Wagner non fu un episodio isolato della sua vita, un incidente di percorso; a quanto ho letto è stata una costante della sua vita; anche a prescindere dai suoi successori a Bayreuth. Ve ne sono tracce nelle sue opere? Più d’uno lo ha sostenuto, ma la questione resta aperta. In ogni caso non è possibile esaurire nell’antisemitismo la vita di Wagner, tanto meno farne un’arma che infici “l’importanza e il significato della sua opera”, come afferma Fenoglio. 
Tra gli altri collaboratori ricordo, e apprezzo, Maurizio Giani, anche come persona; di lui conservo La sublime illusione. Sul teatro di Richard Wagner. Sulla Rivista wagneriana ha scritto Raffaele Mellace, variamente impegnato negli studi musicali oltre che nell’attività docente e organizzativa: da Bach a Verdi, e a Wagner: di lui ho apprezzato la ricognizione dei Leitmotive wagneriani. Va ad onore della Rivista l’accoglienza che riserva a persone anche di dissimile orientamento culturale.
Confido che la Rivista Wagneriana contribuisca a liberare Wagner da ogni chiuso wagnerismo; e dallo stesso Wagner, se così posso dire: da pregiudizi ancora correnti di cui Wagner si è fatto purtroppo promotore.
Trovo infine encomiabile che la sede di via Silvio Pellico 6 degli Amici del Loggione del Teatro alla Scala offra ospitalità all’Associazione Wagneriana.