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sabato 13 aprile 2024

IL MUSEO DEI MARTINITT E STELLINE
di Angelo Gaccione


Facciata dell'Orfanotrofio Maschile

Che abbiano un loro Museo è molto importante per la città di Milano. In fondo i Martinitt sono una delle istituzioni caritatevoli più antiche e possono vantare una lunga storia. Affondano le radici addirittura nel lontano 1532, come si può leggere nel loro gonfalone. Speriamo possa rimanere per sempre qui, al numero 57 di corso Magenta, nel cuore di Milano, a pochi passi dalla splendida basilica di Santa Maria delle Grazie. Qui lo hanno inaugurato il 19 gennaio del 2009, come è giusto che sia, perché qui c’è la sede storica dell’orfanotrofio femminile detto della Stella, rimasto attivo fino alla chiusura avvenuta nel 1971. Dunque, non siamo in un luogo qualsiasi. Io ho potuto visitarlo guidato dalla gentilissima Chiara Zeroli che non si è risparmiata in informazioni e suggerimenti, e che mi ha mostrato quanto è stato possibile in un arco di tempo non vasto, ma ragionevole. Tutto ciò che vi è custodito in termini di documenti e di memoria necessita di ben altro tempo e ci ritornerò, dal momento che l’istituzione assistenziale che ha accolto orfanelli e minori (martinitt per i ragazzi, stelline per le ragazze), ha una storia lunga e affonda le radici addirittura nel Sedicesimo secolo. Storia che, com’è naturale, si è fusa con la storia più ampia della città; una storia fatta di sostegno ad una componente umana diseredata e per molti aspetti derelitta che veniva accolta solo dopo avere ottenuto il certificato di miserabilità. In una Milano in cui poveri, mendicanti e vergognosi (quest’ultimi erano costituiti da nobili decaduti o borghesi) pullulavano, ed almeno i più fragili in assoluto (gli orfani e i minori rimasti soli e senza protezione) bisognava che fossero messi al riparo, alimentati, tolti dalla condanna ad un sicuro analfabetismo e avviati ad un mestiere che ne avrebbe garantito il riscatto. 


Facciata sul Corso Magenta

E così è avvenuto, nel corso di questa lunga parabola storica, sin da quando Gerolamo Emiliani se ne fece carico in quel lontano XVI secolo. Imparare un mestiere non era solo necessario, era indispensabile. Mestiere che voleva dire soprattutto artigianato, lavoro manuale e nel Novecento anche industria. Il lavoro per affrancare la propria vita e la propria condizione. Molto materiale presente al Museo documenta la stretta correlazione che è esistita fra evoluzione del lavoro e materiale umano transitato dalle varie sedi che i martinitt ebbero sul territorio. Era del tutto prevedibile una tale mobilità se consideriamo un arco di tempo così ampio. Gli orfani ebbero ricetto dapprima in un locale vicino alla Chiesa di San Sepolcro, poi in via del Crocifisso, in seguito in via del Giardino, quindi nell’ex monastero di San Pietro in Gessate, fino a quando non traslocarono, nel primo trentennio del Novecento, nella sede di via Pitteri a Lambrate. Una foto in bianco e nero ci mostra l’armonioso complesso ubicato in aperta campagna e circondato da una natura incontaminata e del tutto priva di insediamenti urbani.


La scuola pratica delle ragazze

Ma quali sono le origini dei due nomignoli che li hanno contrassegnati e sono giunti inalterati fino ai giorni nostri? Martinitt è il diminutivo plurale del termine dialettale milanese martinin, dunque, piccoli martini, così denominati perché avevano la sede in un edificio annesso ad un oratorio dedicato a san Martino; per la precisione a san Martino di Tours. Le Stelline, invece, devono il loro ad un altro riferimento religioso, al monastero di Santa Maria della Stella. Questi orfanotrofi avevano quasi sempre un’origine caritatevole e filantropica e accanto agli ambienti religiosi agivano di concerto esponenti dell’aristocrazia. Una forte vocazione assistenziale questa dei Martinitt, in grado non dico di eguagliare la più antica istituzione che restava comunque quella dell’Ospedale Maggiore, ma quanto meno aspirarvi. Il Museo Martinitt e Stelline ci racconta soprattutto di questa assistenza, trattandosi di due dei più noti e antichi enti assistenziali della città. Assistenza che grazie a donatori e filantropi non è mai venuta meno, e il Museo ricorda i nomi dei benemeriti alcuni dei quali sono ritratti in una ricca galleria di dipinti. Più cospicuo è stato il loro contributo, più grande è il quadro che li ritrae. Il Museo non trascura di ricordare, e perché no? di menar vanto, dei martinitt celebri e che hanno avuto successo nella vita.

 

Gli orfani in divisa da lavoro

Fra questi vanno ricordati l’editore Angelo Rizzoli, fondatore dell’omonima casa editrice, Leonardo Del Vecchio, fondatore di Luxottica che tuttora produce occhiali noti nel mondo, Edoardo Bianchi, fondatore dell’omonima azienda produttrice di biciclette, ma non so più se, come tante altre imprese italiane, sia finita di proprietà di qualche marchio estero. Di sicuro si è sempre fatta onore la banda musicale dei martinitt. Il corpo musicale che prenderà il nome di “Banda de I Martinitt” nasce nel 1861 e rimarrà in attività per oltre centosessant’anni. Terminerà infatti la sua avventura nel 2023. Ma i martinitt si erano fatto onore anche durante l’insurrezione popolare delle Cinque Giornate del 1848. Leggiamo assieme questa richiesta del Governo Provvisorio indirizzata al direttore dell’orfanotrofio maschile il 24 marzo del 1848. Siamo praticamente a due giorni dalla conclusione dei moti.   


Lo sport

Al sig. Direttore dell’Orfanotrofio Maschile 
È pregata sig. Direttore di porre tosto a disposizione del Comitato di Guerra ventiquattro fra i più intelligenti dei suoi alunni allo intento che servano di messi in città per diffondere gli ordini dello stesso Comitato. 
[24 marzo 1848] 
Pel Governo Provisorio 
F. avv. Guerrieri 
P. Fregelli 
P. Litta

 
La musica

Non furono impiegati direttamente durante le giornate degli scontri, ma nei giorni successivi. Richieste di un loro impiego ce ne saranno più di una, anche nei mesi successivi, il 31 luglio e il 1° agosto. Sappiamo che il martinin Angelo Guzzi lascia l’Istituto e si arruola; sappiamo che gli orfani Gaetano Baroffio e Agostino Giudici saranno aggregati al Corpo Topografico Militare; sappiamo di come l’ex martinin Giovanni Bellezza si fosse distinto durante gli scontri di Porta Vercellina; di come l’Istituto mettesse a disposizione la sua infermeria per medicare e curare i feriti e come anche le fascine fossero impiegate per le barricate di Porta Tosa (l’attuale Porta Vittoria). Ma sappiamo anche delle perquisizioni avvenute nella sede dell’Istituto e come fosse tenuto in sospetto dalle autorità militari austriache. Mantenere in vita, valorizzare di più e proteggere questo Museo è di grande importanza per la storia della nostra città e non solo. Tutti i documenti e le fotografie dell’archivio storico sono divenuti accessibili al pubblico attraverso installazioni multimediali e interattive che illustrano il percorso educativo e formativo degli orfani ospitati nei due istituti, dal loro ingresso fino al reinserimento nella società”. Se infine decidete di avvalervi di una “visita guidata, a integrazione e corredo del percorso multimediale” verrete coinvolti in un affascinante percorso attraverso “tutte le sfaccettature della vita presso gli istituti Martinitt e Stelline. Un percorso dal forte impatto emozionale che consente di ripercorrere la storia di Milano, rivelandone l’originaria vocazione benefica e assistenziale”. Non verrete a conoscenza solo della vita degli orfani Martinitt e Stelline attraverso i documenti che ne danno conto anno dopo anno, ma vi sarà possibile addirittura “partecipare alla simulazione di una lezione scolastica, conoscere le principali letture di svago dell’epoca, scoprire gli ambiti della formazione al lavoro che molto cambiarono nel corso del tempo, assecondando lo sviluppo industriale ed economico di Milano”. Compreso i benefattori che con la loro liberalità e munificenza, hanno permesso agli Istituti di assolvere il loro compito di assistenza, di cura, di promozione umana e sociale.


La Banda dei Martinitt nel 1946

*
I Martinitt e le Cinque Giornate



Qual è stato il contributo dei martinitt alle Cinque Giornate di Milano del 1848? Una lunga tradizione, diventata leggenda, racconta degli orfani che durante gli scontri corrono da una barricata all’altra portando i messaggi che le vedette dall’alto dei campanili lasciano cadere. Ma qual è la verità storica? Cosa raccontano i documenti d’archivio? Il testo del documento trascritto da un filmato audio disponibile su Youtube e caricato sul canale del Museo offre un quadro preciso su quanto è stato scritto, a volte in modo impreciso e con una certa esagerazione, in merito al ruolo di staffette dei minori durante gli scontri. Lo riporto integralmente a beneficio degli appassionati di cose milanesi come me.

 
L'Istituto dei Martinitt negli anni '30

Il primo documento che troviamo è una lettera del 24 marzo 1848 indirizzata “Al signor Direttore dell’Orfanotrofio Maschile” e così recita.
“È pregata, Signor Direttore di porre tosto a disposizione del Comitato di Guerra ventiquattro fra i più intelligenti dei suoi alunni, allo intento che servano di messi in città per diffondere gli ordini dello stesso Comitato.
24 marzo 1848”
 
Il 24 marzo 1848 il Governo Provvisorio richiedeva al direttore dell’Orfanotrofio maschile 24 orfani fra i più intelligenti da porre a disposizione del Comitato di Guerra, richiesta che venne reiterata anche il giorno seguente e altre volte in seguito. Siamo al 24 di marzo, gli scontri in città sono terminati da due giorni e i martinitt, per idea del patriota Enrico Cernuschi, iniziano a essere utilizzati come staffette per diffondere gli ordini del governo e di vari comitati, come quello di sussistenza, il comitato di sicurezza pubblica e il comando della guardia nazionale.
Vi fu poi chi come gli orfani Gaetano Baroffio e Agostino Giudici venne impiegato presso il corpo topografico militare e chi, come Angelo Guzzi, decise di lasciare l’istituto per arruolarsi. Durante le Cinque Giornate, precisamente nei combattimenti di porta Vercellina, ebbe modo di distinguersi anche un ex martinitt, quel Giovanni Bellezza divenuto poi famoso come cesellatore.
Il tempo che i martinitt dedicavano agli incarichi menzionati era naturalmente tempo sottratto agli studi o al lavoro in bottega. Veniva dunque meno anche la mercede, che, secondo il regolamento dell’orfanotrofio, spettava per un quarto all’orfano e per tre quarti alle casse dell’Istituto. Dopo qualche settimana il rettore dell’orfanotrofio si rivolse pertanto al governo provvisorio affinché fosse concesso il rientro degli orfani alle loro occupazioni e una retribuzione per l’opera da loro prestata. Entrambe le richieste vennero soddisfatte. Il ritorno alla normalità però non fu semplice: i ruoli svolti e il clima di quei giorni avevano contribuito a rendere gli orfani insofferenti verso la disciplina. Lo stesso rettore, a tal proposito, annotava con sconforto: le misure da lui prese “non erano valse a distruggere le idee che col cangiarsi del governo abbiano perduto forza le discipline vigenti e che i superiori non abbiano più diritto a volerle osservare”. Alla fine comunque l’ordine tornò senza che fosse necessario ricorrere a misure estreme come l’espulsione dei martinitt più turbolenti.



Se gli orfani non furono mandati tra le barricate durante i giorni più accesi della rivoluzione l’Istituto fece comunque la sua parte in quel frangente.
Dalla documentazione d’archivio sappiamo che fin dai primi giorni dell’insurrezione l’orfanotrofio aveva messo a disposizione la sua infermeria e il suo personale sanitario per approntare un’ambulanza. Lì furono medicati alcuni combattenti rimasti feriti negli scontri di Porta Tosa, durante i quali peraltro vennero utilizzate le fascine dell’Istituto per fare le barricate.
Le carte attestano inoltre che presso il luogo pio furono accolti alcuni bambini rimasti orfani in seguito alla perdita dei genitori durante gli scontri e che il cortile dello stabile di San Pietro venne utilizzato per lo svolgimento delle esercitazioni militari di una squadra della guardia civile.
La direzione dell’orfanotrofio aveva chiesto che anche gli orfani più grandi potessero essere addestrati negli esercizi militari e la congregazione provinciale aveva dato il suo benestare. Ma la guardia nazionale interpellata per la fornitura di armi e strutture non fu in grado di esaudire l’istanza.
Ulteriori richieste di martinitt vennero inoltrate alla direzione dell’orfanotrofio maschile dal Governo Provvisorio di Lombardia il 31 luglio e il primo agosto, ormai alla vigilia dell’armistizio tra Piemonte e Austria e al termine dell’esperienza rivoluzionaria iniziata con le Cinque Giornate.
Pochi giorni più tardi cinquantasette martinitt furono concessi al municipio della città “onde servire da guide ai militari che debbono recarsi ai vari negozi per provvedersi di vettovaglie e per altre mansioni”.
 

La facciata del Collegio nel 1932

L’ultimo documento relativo ai fatti del 1848 risale all’aprile dell’anno seguente e sottolinea bene il mutato clima politico: il sospetto, l’ostilità con le quali le autorità austriache guardarono, da allora in poi, l’orfanotrofio maschile, per l’atteggiamento collaborativo mostrato verso il governo provvisorio. Il rettore racconta di come le autorità militari austriache abbiano perquisito per due volte l’Istituto, alla ricerca di armi. Una ricerca vana, che porterà solo al sequestro di quattro vecchi tamburi che gli orfani utilizzavano per le rappresentazioni teatrali e conservati nella stanza dell’economo.
Dopo questa incursione i documenti non fanno più menzione di altre iniziative ostili da parte dell’autorità militare austriaca.
Si chiudeva un’epoca, se ne apriva un’altra, e da lì a 13 anni ci sarebbe stata l’Italia, l’Italia unita.
 
[L’autore ringrazia Chiara Zeroli, Cristina Cenedella, Patrizia Varnier, per il prezioso contributo]