IL MUSEO DEI MARTINITT E STELLINE
di Angelo Gaccione
Facciata dell'Orfanotrofio Maschile
Che
abbiano un loro Museo è molto importante per la città di Milano. In fondo i
Martinitt sono una delle istituzioni caritatevoli più antiche e possono vantare
una lunga storia. Affondano le radici addirittura nel lontano 1532, come si può
leggere nel loro gonfalone. Speriamo possa rimanere per sempre qui, al numero 57 di corso Magenta, nel cuore di Milano, a
pochi passi dalla splendida basilica di Santa Maria delle Grazie. Qui
lo hanno inaugurato il 19 gennaio
del 2009, come è giusto che sia, perché qui c’è la sede storica dell’orfanotrofio
femminile detto della Stella, rimasto attivo fino alla chiusura avvenuta nel
1971. Dunque, non siamo in un luogo qualsiasi. Io ho potuto visitarlo guidato dalla gentilissima Chiara Zeroli
che non si è risparmiata in informazioni e suggerimenti, e che mi ha mostrato
quanto è stato possibile in un arco di tempo non vasto, ma ragionevole. Tutto
ciò che vi è custodito in termini di documenti e di memoria necessita di ben
altro tempo e ci ritornerò, dal momento che l’istituzione assistenziale che ha
accolto orfanelli e minori (martinitt per i ragazzi, stelline per
le ragazze), ha una storia lunga e affonda le radici addirittura nel Sedicesimo
secolo. Storia che, com’è naturale, si è fusa con la storia più ampia della
città; una storia fatta di sostegno ad una componente umana diseredata e per
molti aspetti derelitta che veniva accolta solo dopo avere ottenuto il
certificato di miserabilità. In una Milano in cui poveri, mendicanti e
vergognosi (quest’ultimi erano costituiti da nobili decaduti o borghesi) pullulavano,
ed almeno i più fragili in assoluto (gli orfani e i minori rimasti soli e senza
protezione) bisognava che fossero messi al riparo, alimentati, tolti dalla
condanna ad un sicuro analfabetismo e avviati ad un mestiere che ne avrebbe
garantito il riscatto.
Facciata dell'Orfanotrofio Maschile |
Facciata sul Corso Magenta
E così è avvenuto, nel corso di questa lunga parabola storica, sin da quando Gerolamo Emiliani se ne fece carico in quel lontano XVI secolo. Imparare un mestiere non era solo necessario, era indispensabile. Mestiere che voleva dire soprattutto artigianato, lavoro manuale e nel Novecento anche industria. Il lavoro per affrancare la propria vita e la propria condizione. Molto materiale presente al Museo documenta la stretta correlazione che è esistita fra evoluzione del lavoro e materiale umano transitato dalle varie sedi che i martinitt ebbero sul territorio. Era del tutto prevedibile una tale mobilità se consideriamo un arco di tempo così ampio. Gli orfani ebbero ricetto dapprima in un locale vicino alla Chiesa di San Sepolcro, poi in via del Crocifisso, in seguito in via del Giardino, quindi nell’ex monastero di San Pietro in Gessate, fino a quando non traslocarono, nel primo trentennio del Novecento, nella sede di via Pitteri a Lambrate. Una foto in bianco e nero ci mostra l’armonioso complesso ubicato in aperta campagna e circondato da una natura incontaminata e del tutto priva di insediamenti urbani.
La scuola pratica delle ragazze
Ma quali sono le origini dei due nomignoli che li hanno contrassegnati e
sono giunti inalterati fino ai giorni nostri? Martinitt è il diminutivo
plurale del termine dialettale milanese martinin, dunque, piccoli
martini, così denominati perché avevano la sede in un edificio annesso ad
un oratorio dedicato a san Martino; per la precisione a san Martino di Tours.
Le Stelline, invece, devono il loro ad un altro riferimento
religioso, al monastero di Santa Maria della Stella. Questi
orfanotrofi avevano quasi sempre un’origine caritatevole e filantropica e
accanto agli ambienti religiosi agivano di concerto esponenti
dell’aristocrazia. Una forte vocazione assistenziale questa
dei Martinitt, in grado non dico di eguagliare la più antica istituzione che
restava comunque quella dell’Ospedale Maggiore, ma quanto meno aspirarvi. Il
Museo Martinitt
e Stelline ci
racconta soprattutto di questa assistenza, trattandosi di due dei più noti e antichi
enti assistenziali della città. Assistenza che grazie a donatori
e filantropi non è mai venuta meno, e il Museo ricorda i nomi dei benemeriti
alcuni dei quali sono ritratti in una ricca galleria di dipinti. Più cospicuo è
stato il loro contributo, più grande è il quadro che li ritrae. Il Museo non
trascura di ricordare, e perché no? di menar vanto, dei martinitt celebri
e che hanno avuto successo nella vita.
Gli orfani in divisa da lavoro
Fra questi vanno ricordati l’editore Angelo Rizzoli, fondatore dell’omonima casa editrice, Leonardo Del Vecchio, fondatore di Luxottica che tuttora produce occhiali noti nel mondo, Edoardo Bianchi, fondatore dell’omonima azienda produttrice di biciclette, ma non so più se, come tante altre imprese italiane, sia finita di proprietà di qualche marchio estero. Di sicuro si è sempre fatta onore la banda musicale dei martinitt. Il corpo musicale che prenderà il nome di “Banda de I Martinitt” nasce nel 1861 e rimarrà in attività per oltre centosessant’anni. Terminerà infatti la sua avventura nel 2023. Ma i martinitt si erano fatto onore anche durante l’insurrezione popolare delle Cinque Giornate del 1848. Leggiamo assieme questa richiesta del Governo Provvisorio indirizzata al direttore dell’orfanotrofio maschile il 24 marzo del 1848. Siamo praticamente a due giorni dalla conclusione dei moti.
Lo sport
Al sig. Direttore
dell’Orfanotrofio Maschile
È pregata sig. Direttore di porre
tosto a disposizione del Comitato di Guerra ventiquattro fra i più
intelligenti dei suoi alunni allo intento che servano di messi in città
per diffondere gli ordini dello stesso Comitato.
[24 marzo 1848]
Pel Governo Provisorio
F. avv. Guerrieri
P. Fregelli
P. Litta
La musica
Non furono impiegati direttamente durante le giornate degli
scontri, ma nei giorni successivi. Richieste di un loro impiego ce ne saranno
più di una, anche nei mesi successivi, il 31 luglio e il 1° agosto. Sappiamo
che il martinin Angelo Guzzi lascia l’Istituto e si arruola; sappiamo
che gli orfani Gaetano Baroffio e Agostino Giudici saranno aggregati al Corpo
Topografico Militare; sappiamo di come l’ex martinin Giovanni Bellezza si fosse
distinto durante gli scontri di Porta Vercellina; di come l’Istituto mettesse a
disposizione la sua infermeria per medicare e curare i feriti e come anche le
fascine fossero impiegate per le barricate di Porta Tosa (l’attuale Porta
Vittoria). Ma sappiamo anche delle perquisizioni avvenute nella sede
dell’Istituto e come fosse tenuto in sospetto dalle autorità militari
austriache. Mantenere in vita, valorizzare di più e proteggere questo Museo è
di grande importanza per la storia della nostra città e non solo. Tutti i documenti e le fotografie dell’archivio
storico sono divenuti “accessibili al pubblico attraverso installazioni multimediali
e interattive che illustrano il percorso educativo
e formativo degli orfani ospitati nei due istituti, dal
loro ingresso fino al reinserimento nella società”. Se infine decidete di
avvalervi di una “visita guidata, a integrazione e corredo del percorso multimediale”
verrete coinvolti in un affascinante percorso attraverso “tutte le
sfaccettature della vita presso gli istituti Martinitt e Stelline. Un percorso
dal forte impatto emozionale che consente di ripercorrere
la storia di Milano, rivelandone
l’originaria vocazione benefica e assistenziale”. Non
verrete a conoscenza solo della vita degli orfani Martinitt e Stelline
attraverso i documenti che ne danno conto anno dopo anno, ma vi sarà possibile
addirittura “partecipare alla simulazione di una lezione scolastica, conoscere
le principali letture di svago dell’epoca, scoprire gli
ambiti della formazione al
lavoro che molto cambiarono nel corso del tempo,
assecondando lo sviluppo industriale ed economico di Milano”. Compreso i
benefattori che con la loro liberalità e munificenza, hanno permesso agli
Istituti di assolvere il loro compito di assistenza, di cura, di promozione
umana e sociale.
La musica |
La Banda dei Martinitt nel 1946
*
I
Martinitt e le Cinque Giornate
La Banda dei Martinitt nel 1946 |
Qual è stato
il contributo dei martinitt alle Cinque Giornate di Milano del 1848? Una lunga
tradizione, diventata leggenda, racconta degli orfani che durante gli scontri
corrono da una barricata all’altra portando i messaggi che le vedette dall’alto
dei campanili lasciano cadere. Ma qual è la verità storica? Cosa raccontano i
documenti d’archivio? Il testo del documento trascritto da un filmato audio disponibile su Youtube e caricato sul canale
del Museo offre un quadro preciso su quanto è stato scritto, a volte in modo
impreciso e con una certa esagerazione, in merito al ruolo di staffette dei
minori durante gli scontri. Lo riporto integralmente a beneficio degli
appassionati di cose milanesi come me.
L'Istituto dei Martinitt negli anni '30
Il primo
documento che troviamo è una lettera del 24 marzo 1848 indirizzata “Al signor Direttore
dell’Orfanotrofio Maschile” e così recita.
“È pregata, Signor Direttore di porre tosto a disposizione
del Comitato di Guerra ventiquattro fra i più intelligenti dei suoi alunni,
allo intento che servano di messi in città per diffondere gli ordini dello
stesso Comitato.
24 marzo 1848”
Il 24 marzo 1848 il Governo Provvisorio richiedeva al
direttore dell’Orfanotrofio maschile 24 orfani fra i più intelligenti da porre
a disposizione del Comitato di Guerra, richiesta che venne reiterata anche il
giorno seguente e altre volte in seguito. Siamo al 24 di marzo, gli scontri in
città sono terminati da due giorni e i martinitt, per idea del patriota Enrico
Cernuschi, iniziano a essere utilizzati come staffette per diffondere gli
ordini del governo e di vari comitati, come quello di sussistenza, il comitato
di sicurezza pubblica e il comando della guardia nazionale.
Vi fu poi chi come gli orfani Gaetano Baroffio e Agostino
Giudici venne impiegato presso il corpo topografico militare e chi, come Angelo
Guzzi, decise di lasciare l’istituto per arruolarsi. Durante le Cinque Giornate,
precisamente nei combattimenti di porta Vercellina, ebbe modo di distinguersi
anche un ex martinitt, quel Giovanni Bellezza divenuto poi famoso come
cesellatore.
Il tempo che i martinitt dedicavano agli incarichi
menzionati era naturalmente tempo sottratto agli studi o al lavoro in bottega.
Veniva dunque meno anche la mercede, che, secondo il regolamento dell’orfanotrofio,
spettava per un quarto all’orfano e per tre quarti alle casse dell’Istituto.
Dopo qualche settimana il rettore dell’orfanotrofio si rivolse pertanto al
governo provvisorio affinché fosse concesso il rientro degli orfani alle loro
occupazioni e una retribuzione per l’opera da loro prestata. Entrambe le
richieste vennero soddisfatte. Il ritorno alla normalità però non fu semplice:
i ruoli svolti e il clima di quei giorni avevano contribuito a rendere gli
orfani insofferenti verso la disciplina. Lo stesso rettore, a tal proposito,
annotava con sconforto: le misure da lui prese “non erano valse a
distruggere le idee che col cangiarsi del governo abbiano perduto forza le
discipline vigenti e che i superiori non abbiano più diritto a volerle
osservare”. Alla fine comunque l’ordine tornò senza che fosse necessario
ricorrere a misure estreme come l’espulsione dei martinitt più turbolenti.
Se gli orfani non furono mandati tra le barricate durante i
giorni più accesi della rivoluzione l’Istituto fece comunque la sua parte in
quel frangente.
Dalla documentazione d’archivio sappiamo che fin dai primi
giorni dell’insurrezione l’orfanotrofio aveva messo a disposizione la sua
infermeria e il suo personale sanitario per approntare un’ambulanza. Lì furono
medicati alcuni combattenti rimasti feriti negli scontri di Porta Tosa, durante
i quali peraltro vennero utilizzate le fascine dell’Istituto per fare le barricate.
Le carte attestano inoltre che presso il luogo pio furono
accolti alcuni bambini rimasti orfani in seguito alla perdita dei genitori
durante gli scontri e che il cortile dello stabile di San Pietro venne
utilizzato per lo svolgimento delle esercitazioni militari di una squadra della
guardia civile.
La direzione dell’orfanotrofio aveva chiesto che anche gli
orfani più grandi potessero essere addestrati negli esercizi militari e la
congregazione provinciale aveva dato il suo benestare. Ma la guardia nazionale
interpellata per la fornitura di armi e strutture non fu in grado di esaudire l’istanza.
Ulteriori richieste di martinitt vennero inoltrate alla
direzione dell’orfanotrofio maschile dal Governo Provvisorio di Lombardia il 31
luglio e il primo agosto, ormai alla vigilia dell’armistizio tra Piemonte e
Austria e al termine dell’esperienza rivoluzionaria iniziata con le Cinque Giornate.
Pochi giorni più tardi cinquantasette martinitt furono
concessi al municipio della città “onde servire da guide ai militari che
debbono recarsi ai vari negozi per provvedersi di vettovaglie e per altre
mansioni”.
La facciata del Collegio nel 1932
L’ultimo documento relativo ai fatti del 1848 risale all’aprile
dell’anno seguente e sottolinea bene il mutato clima politico: il sospetto, l’ostilità
con le quali le autorità austriache guardarono, da allora in poi, l’orfanotrofio
maschile, per l’atteggiamento collaborativo mostrato verso il governo
provvisorio. Il rettore racconta di come le autorità militari austriache
abbiano perquisito per due volte l’Istituto, alla ricerca di armi. Una ricerca
vana, che porterà solo al sequestro di quattro vecchi tamburi che gli orfani
utilizzavano per le rappresentazioni teatrali e conservati nella stanza dell’economo.
Dopo questa incursione i documenti non fanno più menzione di
altre iniziative ostili da parte dell’autorità militare austriaca.
Si chiudeva un’epoca, se ne apriva un’altra, e da lì a 13
anni ci sarebbe stata l’Italia, l’Italia unita.
[L’autore
ringrazia Chiara Zeroli, Cristina Cenedella, Patrizia Varnier, per il prezioso contributo]
La facciata del Collegio nel 1932 |