LI TURBANO LE PAROLE, I FATTI NO di Antonio Scurati
Il testo censurato di Scurati Giacomo Matteotti fu assassinato da sicari fascisti il 10 di
giugno del 1924. Lo attesero sotto casa in cinque, tutti squadristi venuti da
Milano, professionisti della violenza assoldati dai più stretti collaboratori
di Benito Mussolini. L’onorevole Matteotti, il segretario del Partito
Socialista Unitario, l’ultimo che in Parlamento ancora si opponeva a viso
aperto alla dittatura fascista, fu sequestrato in pieno centro di Roma, in
pieno giorno, alla luce del sole. Si batté fino all’ultimo, come lottato aveva
per tutta la vita. Lo pugnalarono a morte, poi ne scempiarono il cadavere. Lo
piegarono su se stesso per poterlo ficcare dentro una fossa scavata malamente
con una lima da fabbro. Mussolini fu immediatamente informato. Oltre che del
delitto, si macchiò dell’infamia di giurare alla vedova che avrebbe fatto tutto
il possibile per riportarle il marito. Mentre giurava, il Duce del fascismo
teneva i documenti insanguinati della vittima nel cassetto della sua scrivania.
In questa nostra falsa primavera, però, non si commemora soltanto l’omicidio
politico di Matteotti; si commemorano anche le stragi nazifasciste perpetrate
dalle SS tedesche, con la complicità e la collaborazione dei fascisti italiani,
nel 1944. Fosse Ardeatine, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto. Sono soltanto alcuni dei luoghi nei quali i
demoniaci alleati di Mussolini massacrarono a sangue freddo migliaia di inermi
civili italiani. Tra di essi centinaia di bambini e perfino di infanti. Molti
furono addirittura arsi vivi, alcuni decapitati. Queste
due concomitanti ricorrenze luttuose – primavera del ’24, primavera del ’44 –
proclamano che il fascismo è stato lungo tutta la sua esistenza storica – non
soltanto alla fine o occasionalmente – un irredimibile fenomeno di sistematica
violenza politica omicida e stragista. Lo riconosceranno, una buona volta, gli
eredi di quella storia? Tutto, purtroppo, lascia pensare che non sarà così. Il
gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva
davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare
di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver
evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando
costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente
attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza: ha
preso le distanze dalle efferatezze indifendibili perpetrate dal regime (la
persecuzione degli ebrei) senza mai ripudiare nel suo insieme l’esperienza
fascista, ha scaricato sui soli nazisti le stragi compiute con la complicità
dei fascisti repubblichini, infine ha disconosciuto il ruolo fondamentale della
Resistenza nella rinascita italiana (fino al punto di non nominare mai la
parola “antifascismo” in occasione del 25 aprile 2023). Mentre vi parlo, siamo
di nuovo alla vigilia dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo. La
parola che la Presidente del Consiglio si rifiutò di pronunciare palpiterà
ancora sulle labbra riconoscenti di tutti i sinceri democratici, siano essi di
sinistra, di centro o di destra. Finché quella parola – antifascismo – non sarà
pronunciata da chi ci governa, lo spettro del fascismo continuerà a infestare
la casa della democrazia italiana.