La
celebrazione del 2 giugno 2024, festa della Repubblica, assumerà tratti inediti
nella storia d’Italia: definitivamente dissolto l’antico arcocostituzionale
sotto il cui ombrello ci poteva comunque ritrovare mai è stato così
violento l’assalto alle fondamenta del dettato della nostra Carta Fondamentale.
Ormai è svelata la posta in gioco di questa fase (che potremmo considerare più
storica che politica): riscrivere la Costituzione e mandare in archivio il suo
punto di vera scaturigine, la Resistenza. È stato giustamente scritto che il
progetto del centro-destra di oggi è molto più invasivo di quello elaborato nel
2016 dal PD di Renzi e che fu respinto dalla maggioranza dell’elettorato, e da altri
tentativi precedenti (riforma del centro destra anch’essa respinta dal voto
popolare nel 2006; progetto della commissione bicamerale del 1997), senza
contare le riforme già attuate in maniera negativa (titolo V, pareggio di
bilancio, riduzione del numero dei parlamentari). Adesso
però siamo a un vero e proprio salto di qualità: un progetto eversivo che
poggia su 3 gambe: premierato, autonomia differenziata, riforma (punitiva)
della magistratura. In realtà, nel caso della magistratura, siamo ben oltre l’attacco
alla Costituzione Repubblicana perché si sta toccando la messa in discussione
della stessa divisione dei poteri sancita dalla rivoluzione del 1789. Un
attacco alla democrazia che si sviluppa in un quadro generale davvero
inquietante. Una situazione dominata dalla suprema incertezza tra la pace e la
guerra: dilemma che la nostra Costituzione intese sciogliere con un articolo 11
già fin troppe volte violato nella sua sostanza. Abbiamo visto come sia in corso un attacco diretto a categorie come quella della
Magistratura (ipotizzandone, come già avvenuto in passato, una sostanziale
riduzione di autonomia dall’esecutivo) e dell’informazione (con un evidente
arretramento nella liberà d'espressione come testimoniato anche dalle
classificazioni internazionali in materia). Si sta esercitando direttamente una
forma di repressione poliziesca verso i soggetti più facilmente attaccabili
come gli studenti. Questi elementi evidenziano uno stato di cose che non può
che essere contrastato se non prendendo atto fino in fondo della sua gravità e
pericolosità, esprimendo così un pieno convincimento alternativo fuori da
qualsivoglia tentativo di compromissione, in ispecie sul piano costituzionale e
delle stesse forme istituzionali che derivano direttamente dall’applicazione
della nostra Carta Fondamentale, prima fra tutte la forma di governo
parlamentare. Il tutto racchiuso dentro un cerchio ideale rappresentato dal
riemergere della “questione morale” che si esprime in varie forme ben oltre la
forma classica della corruzione politica come sembrerebbe indicare la vicenda
ligure. La celebrazione del 2 giugno dovrà essere allora impostata come momento
di richiamo alla necessità, prima di tutto, di espressione di un sentimento di
qualcosa di cui non si può non parlare, di cui non si può tacere partendo dalla
risposta alla tragedia fascista da cui nacque la nostra identità repubblicana.