DIFFERENTI PROSPETTIVE SUL GRAN MARE SALATO di Alessandro Pascolini- Università
di Padova
Dal 9 luglio la squadra navale
d’attacco della portaerei cinese Shandong sta operando nel mare delle
Filippine, dopo aver attraversato lo stretto di Luzon, fra Taiwan e la
principale isola filippina. La squadra comprende anche l’incrociatore Yan’an,
il cacciatorpediniere Gullin, la fregata Yuncheng e la nave supporto Chaganhu.
Precedentemente, ai primi di luglio, una pattuglia navale russo-cinese,
composta dalla corvetta russa Sovershenny della flotta russa del Pacifico, dal
cacciatorpediniere Yinchuan, dalla fregata Hengshui e dalla petroliera Weishanhu, ha attraversato lo
stretto di Osumi, fra la punta meridionale dell’isola giapponese di Kyushu e le
isole Osumi, per esercitazioni congiunte nel Pacifico occidentale. Si tratta di
normali esercitazioni in mare aperto, ma attraggono l'attenzione in quanto costituiscono
un evento ampiamente considerato dagli strateghi sia americani che cinesi: il
superamento della “prima catene di isole”.
Le prospettive dei militari: “catene di isole” Teorici e pianificatori militari di Germania, Giappone,
Stati Uniti e Cina hanno riflettuto sulla geopolitica delle isole e degli
arcipelaghi del Pacifico, sia in tempo di pace che di guerra, concentrando
appunto l'attenzione sulle minime terre emerse nell’enorme oceano come
potenziali basi militari e di supporto operativo indispensabili per superare la
“tirannia della distanza” al fine di permettere operazioni rapide e intense. L’introduzione di concetti legati alle catene insulari si
intreccia con l’affacciarsi della Germania imperiale nel Pacifico all'inizio
del XX secolo, una volta acquisite dalla Spagna le isole Marianne e le isole
Caroline, compresa Palau: il generale Karl Ernst Haushofer considerava gli “archi
di isole al largo” come un utile “velo protettivo” a difesa delle potenze
continentali come la Cina e l’India. L’idea è che il possesso e la
militarizzazione di una serie di isole vicine assicura anche il controllo dei
bracci di mare fra le isole, creando una potenziale continuità geografica. Il Giappone, con l’aumento della sua forza marittima, fra
gli anni ’20 e ’30, prestò molta attenzione al valore strategico di isole e
arcipelaghi nel Pacifico occidentale. Durante la prima guerra mondiale, strappò
alla Germania il controllo di diverse isole micronesiane. Queste non solo
furono utili trampolini di lancio nella “svolta verso sud” del Giappone,
incentrata sullo sfruttamento delle risorse economiche e naturali del sud-est
asiatico, ma servirono anche come un prezioso cuscinetto strategico, una
copertura contro la possibilità che gli Stati Uniti usassero le loro basi a
Guam e nelle Filippine per minacciare il Giappone in un futuro conflitto.
All’inizio della seconda guerra mondiale, la marina
imperiale giapponese si impegnò in una serie di rapide operazioni di conquista e
fortificazione di isole e atolli, con mire estese dalle Salomone fino alle Aleutine,
al largo delle coste dell'Alaska. La guerra degli USA nel Pacifico fu appunto
caratterizzata dall'impegno di mantenere le isole già controllate e penetrare
nelle catene di isole fortificate tenute dai giapponesi. Usciti vittoriosi dalla guerra del Pacifico, gli
strateghi statunitensi rivolsero presto la loro attenzione all’importanza delle
catene insulari nella nascente guerra fredda, per garantire il contenimento
delle potenze comuniste asiatiche, l’Unione Sovietica e (l’allora) “satellite”
Cina. Fu in questo periodo che il concetto stesso di “catene insulari” fu
sviluppato e definito con chiarezza: uno studio del 1948 dello Stato maggiore congiunto
delimita un perimetro difensivo americano che andava dalle isole Aleutine a nord,
attraverso il Giappone occupato, e Taiwan fino alle Filippine a sud. Nel 1950 il segretario di stato Dean Acheson articolò un “perimetro difensivodel
Pacifico” che praticamente definì la “prima catena di isole”: inizia dalle
isole Aleutine attraversa le Kurili, il Giappone, Okinawa, le Kyukyu, Taiwan,
le Filippine e giunge fino all’Indonesia; lunga circa 12 mila km corre a
distanze dal continente asiatico da un minimo di 200 km (stretto di Formosa) a
circa 1000 km racchiudendo i mari di Bering, Ohotsk, del Giappone e i mari Cinesi
orientale e meridionale. Taiwan è chiaramente il punto chiave della prima catena;
data la sua posizione strategicamente critica a cavallo delle rotte mercantili
dei paesi dell’Asia orientale, controlla le rotte di navigazione chiave che
portano dalla prima alla “seconda catena insulare”. Il generale Douglas MacArthur
descrisse Taiwan come “una portaerei inaffondabile e una base per sottomarini”
in posizione ideale “per una strategia offensiva e allo stesso tempo a
garantire operazioni difensive o di controffensiva delle forze amiche”. L’obiettivo del “congiungimento” di Taiwan alla
Repubblica Popolare Cinese non ha solo motivazioni politiche e la finalità di
concludere la guerra civile cinese con la definitiva sconfitta del Kuomintang,
ma rappresenta soprattutto il cruciale fine strategico di scardinare la catena
insulare costrittiva e aprire alla marina cinese le vie del Pacifico. Gli USA durante la guerra fredda hanno concepito
successive linee difensive e di contenimento spostate a oriente; la “seconda catena
di isole” parte dal Giappone, passa per le isole Ogasawara, le Marianne
settentrionali, Guam,le
isole Yap
in Micronesia, Palau, fino
all’isola Halmanera nelle Molucche; lunga oltre 6000 km racchiude fra 1000 e 2000
km di oceano dalla prima catena e ha “la fortezza” Guam come perno. Una “terza catena”
racchiude un’area di retrovia
strategica: parte dalle Aleutine passa per le Midway, le Hawaii, gli atolli Johnston e Palmyra, l’isola Jarvis, le Kiribati,
Samoa e giunge alle isole Cook (neozelandesi); lunga circa 15 mila km, 5000 km
a est della seconda catena, rimane circa 3000 km lontana dal continente
americano. A sostegno della strategia
delle catene di isole, gli USA hanno acquisito i “territori del
Pacifico americano”: permanentemente abitati sono il Commonwealth of the Northern Mariana Islands, Guam, e la
Samoa americana; mentre sono disabitati i territori “unorganized
unincorporated”: le isole Howland, Jarvis
e Wake, gli atolli Johnston, Midway e Palmyra, e la barriera
corallina Kingman. Questi territoriforniscono agli USA una zona economica esclusiva nel Pacifico
di circa 5 milioni di kmq. Il concetto di catene insulari è stato adottato dalla
Cina, con interpretazioni flessibili, sfumate e sfaccettate. Dal punto di vista
geografico, gli scritti cinesi offrono definizioni variate delle catene insulari,
alcune delle quali sono notevolmente più estese di altre. La figura mostra
appunto un'interpretazione cinese delle prime due catene di isole, molto vicina
a quella americana. Inoltre, alcuni analisti cinesi si concentrano più sui
passaggi marittimi chiave tra le catene di isole che sulle caratteristiche
terrestri. Le fonti cinesi offrono prospettive diverse sul
significato operativo, tattico e strategico delle catene insulari; si tratta in
effetti di un quadro più sfaccettato e complesso dello stesso pensiero
strategico statunitense. In particolare, diversi autori cinesi affermano che le
catene insulari sono (1) barriere che la Cina deve penetrare per ottenere
libertà di manovra nel dominio marittimo; (2) trampolini di lancio per la
proiezione di potenza da parte di chi controlla una determinata catena
insulare; e (3) punti di riferimento per l’avanzamento della proiezione
marittima e aerea cinese nel Pacifico. In particolare, il secondo concetto vede
le catene insulari come facilitatori della proiezione aggressiva di forze
straniere contro la Cina.
Certo, l’esatto valore strategico delle catene insulari,
e quindi l’enfasi specifica degli strateghi su di esse, è variato in modo
significativo in funzione dei cambiamenti della tecnologia e dell’applicazione
militare, comprese le armi che si basano su di esse, la loro portata e la
possibilità di difenderle e rifornirle. Oggi, la situazione si sta nuovamente
modificando in modo significativo, con l’avvento di sistemi di attacco a più
lungo raggio (aerei, missili balistici e cruise antinave e per l'attacco
terrestre). Questi sviluppi stanno aumentando drasticamente la portata dei
sistemi basati a terra rispetto a quelli navali. L’attenzione alle catene insulari e al loro potenziale
strategico è tornata di attualità negli ultimi tempi per la fase attuale del confronto
USA-Cina: accanto alla dimensione strategica globale, cresce l’aspetto “locale”
di “confinanti” ostili. Infatti gli USA si stanno ri-scoprendo paese insulare
oceanico, esposto all'espansione cinese nel Pacifico. Migranti cinesi sono
presenti nel Pacifico dal 1700 e integrati con gli isolani, ma attualmente la
penetrazione cinese si sta intensificando in una varietà di iniziative
economiche e finanziarie, come la Belt and Road Initiative e di accordi
diplomatici, comprendenti anche la sicurezza (come con le Salomone e Kiribati).
I “nuovi” migranti cinesi dominano il settore del commercio al dettaglio,
industrie come la pesca, il disboscamento e l’estrazione mineraria, nonché i
progetti edilizi su larga scala finanziati da prestiti agevolati cinesi. La
penetrazione “entropica” è accompagnata dalla crescita “esplosiva” della marina militare cinese e dello sviluppo di capacità
missilistiche a portate medie e intermedie (il Dong Feng-26 è accreditato di una gittata di 4000 km,
sufficiente a colpire Guam). Gli Stati Uniti stanno così potenziando
la base di Guam e il Missile Defense Site sull’atollo di Kwajalein (isole
Marshall), ma soprattutto rafforzando le alleanze con Giappone, Corea del sud,
le Filippine e l’Australia (in particolare coll’accordo trilaterale AUKUS) e
fornendo “garanzie difensive” a Taiwan. Nel corso del 2023 è stato inoltre raggiunto
un Defense Cooperation Agreement con Papua Nuova Guinea e sono stati estesi
fino al 2043 i “Compact of Free Association” con la Repubblica delle isole Marshall,gli Stati federati della Micronesia e la Repubblica di Palau. Le tre nazioni insieme comprendono circa
1000 fra isole e atolli e garantiscono agli Stati Uniti diritti militari
esclusivi su ulteriori vaste aree della regione del Pacifico (circa 10 milioni
di kmq). A livello geopolitico, le catene insulari nel Pacifico
continuano a svolgere un ruolo strategico per la loro capacità di ospitare
strutture militari vitali e, nonostante la loro crescente vulnerabilità alle
armi a lunga gittata, esse rimangono considerate insostituibili nella visione
dei pianificatori di operazioni belliche.
La prospettiva degli
isolani: il Continente blu del Pacifico (the Blue Pacific Continent) Se i militari vedono
del Pacifico essenzialmente gruppi particolari di isole militarizzabili, la
visione degli abitanti autoctoni è molto più ampia, profonda e vitale. Le
popolazioni del Pacifico presentano una varietà di lingue, culture e storie;
tuttavia sono fortemente diffusi concetti caratteristici relativi a una visione
circolare del tempo, a specifiche forme di relazionalità e a uno
spazio oceanico condiviso e a lungo navigato. Gli isolani vedono il loro mondo collegato attraverso le
persone, la terra e l’oceano; in realtà non distinguono nettamente gli esseri
umani e le altre entità, per cui anche animali, piante e spiriti sono “persone”
(con coscienza, cultura e linguaggio) in una storia comune. Il loro universo
comprende non solo le superfici terrestri, ma anche i mari circostanti, nella
misura in cui possono attraversarli: nella loro prospettiva le isole del
Pacifico costituiscono un “mare di isole” piuttosto che “isole in un vasto
mare”. Tutti i popoli del Pacifico hanno in comune un innegabile
legame con l’ambiente naturale, le risorse, i mezzi di sussistenza, le fedi, i
valori culturali e le conoscenze tradizionali e si riconoscono eredi di una
comune storia ed esposti a problematiche
comuni. Ciò ha portato all’istituzione nel 1971 del Forum delle isole del
Pacifico (PIF) per la cooperazione politica ed economica degli stati
indipendenti dell’area: Australia, le Isole Cook, gli Stati Federati
di Micronesia, Figi, Kiribati, le Isole Marshall, Nauru,AotearoaNuova Zelanda, Niue, Palau, Papua Nuova
Guinea, Samoa, le Isole Salomone, Tonga, Tuvalu e Vanuatu. Dal
2006 sono membri associati la Nuova Caledonia e la Polinesia
Francese. Nel 2017 i leader del PIF hanno introdotto il concetto di
“Pacifico blu”, come un impegno di politica estera a lungo termine del Forum, per
agire come un unico “continente blu”; la narrativa del Pacifico blu cerca di ridisegnare
la regione allontanandola dalla narrazione “metropolitana” di piccola, isolata
e fragile a quella di un continente oceanico grande, connesso e importante al
fine di passare all'esercizio di una maggiore autonomia strategica. Nel 2022, i leader del Pacifico hanno approvato la
Strategia 2050 per il Continente Blu, un articolato “meccanismo per affrontare
le priorità regionali dei popoli del Pacifico”. Le isole del Pacifico
sono al crocevia di molteplici minacce esistenziali. Afflitta dacentinaia di test nucleari dal 1946
al 1996, la regione continua a subirne gli effetti intergenerazionali e
ambientali, con perdita di terra e di habitat, degrado ambientale, sfollamento
delle comunità indigene, ed effetti a lungo termine sulla salute di coloro che
sono stati esposti alle radiazioni. Emblematica di questa interconnessione è la
pericolante cupola di Runit nell’atollo di Enewetak (Isole Marshall), eretta a
contenitore di materiale radioattivo prodotto nei test. Negli ultimi anni, i
paesi del Pacifico si trovano ad affrontare l’escalation della competizione
geopolitica tra Stati Uniti e Cina e il conseguente crescente militarismo. La
Strategia 2050 per il Continente Blu affronta le implicazioni della rivalità delle grandi potenze per la
sicurezza generale della regione, a evitare che le isole del Pacifico possano
essere nuovamente usate come un campo di gioco strategico da parte di competitori
dotati ora anche di armi nucleari. Ma la più grande
minaccia alla sicurezza delle comunità del Pacifico è stata identificata nel cambiamento
climatico. Molte isole e le risorse naturali della regione, tra cui le foreste,
la pesca e le barriere coralline, sono gravemente minacciate dall’innalzamento
del livello del mare, dal riscaldamento delle temperature, dalle tempeste
tropicali e dall’acidificazione degli oceani. Le prospettive per la sicurezza
esistenziale del Continente blu hanno quindi una dimensione non affrontabile
con tradizionali strumenti militari, e la visione delle catene di isole non
solo è assolutamente incompatibile con le esigenze delle popolazioni locali, ma
anzi crea problemi addizionali.
Un precedente letterario Hugo Pratt nel 1967 presenta una “ballata” ambientata nel Pacifico occidentale del 1914; al di là dell'avventurosa trama coinvolgente una varietà di personaggi,
emerge prepotente il ruolo dell’Oceano come massimo protagonista con cui si
confrontano militari tedeschi,
inglesi e giapponesi, avventurieri europei, giovani anglosassoni e
co-protagonisti isolani. Le visuali che i vari personaggi hanno dell’ambiente
in cui si muovono e delle popolazioni che vi vivono largamente coincidono con
quelle delle corrispondenti figure odierne. I militari sono solo concentrati
sul confronto bellico, la ricerca di isole per farne basi e l'attenzione per rifornimenti
logistici (carbone); gli avventurieri si comportano come attuali spregiudicati
speculatori, per cui vedono il mondo attraverso le mere prospettive di profitto
a ogni costo. Pratt riesce a cogliere
la prospettiva con cui gli isolani vivono il loro ambiente, fatto di isole ma
soprattutto di mare e di esseri viventi e delle loro relazioni con un passato
davanti agli occhi. Il gran navigatore maoro Tarao affronta un viaggio di
centinaia di km da Raro-Raro a Bura-Nea con una piroga, guidato dalle stelle e
da Mao, lo squalo amico che “accompagna la mia gente nelle lunghe traversate”.
Tarao racconta che “la mia gente è venuta da Pora-Pora in grandi navi fino a
una lunga nuvola luminosa che prese forma e consistenza. Era Ao-tea-roa, che
voi oggi chiamate Nuova Zelanda”; i maori quindi traversarono larga parte del
Te Moana-nui-a-Kiwa meridionale per oltre 4 mila km (circa 38 gradi di
longitudine). Un’ambiziosa visione unitaria dei “popoli del mare” è espressa
dal fijiano Cranio che auspica di “ricucire pezzo per pezzo e fare un grande
mantello” a comprendere in una grande patria “tutti i popoli del mare, i melanesiani,
i polinesiani, i fidji, i samoa, i tonga”. Di tutti i “bianchi” della ballata, chiusi
nella loro visione metropolitana, il solo Corto Maltese, avventuriero sui
generis, riesce a cogliere lo spirito dell'Oceano e dei suoi abitanti, come
riconosce il melanesiano nuovo re di Raro-Raro (dall'improbabile nome Sbrindolin):
“tu hai cercato di essere come noi, e ci sei quasi riuscito... forse ti manca
solo una cosa... il colore della pelle”.
Letture 1- A.
S. Erickson and J. Wuthnow, Barriers, Springboards and benchmarks: China
conceptualizes the Pacific "island chains", China Quarterly
225 (March 2026), pp 1–22. 2- M.
Koro, H. McNeill, H. Ivarature andJ. Wallis, Tã, Vã, and Lã: Re-imagining the
geopolitics of the Pacific Islands, Political Geography 105 (July 2023)
pp 1–10. 3- Pacific Islands Forum Secretariat, 2050
Strategy for the Blue Pacific Continent, Pacific Islands Forum Secretariat,
Suva, Fiji, 2022. 4- C.
Paskal, Island-hopping with Chinese characteristics, Naval College Review
74 (Autumn 2023), pp 69–99. 5- U. Pratt, Una ballata del mare
salato, Ivaldi editore, Genova, 1967.