In
Liguria, come altrove beninteso, è urgente tornare a riprendere il tema della “moralità
dell’antifascismo” per farne oggetto di pedagogia e piattaforma comune di
iniziativa politica e anche di presenza istituzionale. È
accaduto ieri: un consigliere regionale nell’occasione investito di funzioni
istituzionali ha presenziato a una delle più tragiche espressioni di “uso
politico della storia” organizzata da nostalgici repubblichini (non si può
evitare di definirli a questo modo anche per distinguere tra il fascismo del
ventennio e quello della repubblica) fautori della guerra civile, stragisti
razziatori alleati direttamente dei nazisti e non (come in precedenza all’8
settembre) per via di un patto di alleanza militare. La Regione Liguria sta
attraversando una profonda crisi come istituzione: le vicende giudiziarie
legate al suo presidente di giunta potranno risolversi in diversi modi ma
rimane una nuova forte ferita rivolta alla credibilità di una democrazia
ridotta - comunque - ad una visione di logica di scambio destinata semplicisticamente
alla detenzione di un potere erroneamente per “politica”. Così,
in questa crisi verticale della democrazia in una Regione storicamente all’avanguardia
come la Liguria prima di tutto nel voto alla Repubblica e di conseguenza nella
costruzione della Costituzione Repubblicana (il 2 giugno 1946 alla Repubblica
andarono il 69.06% dei voti) stiamo assistendo alla confluenza di due fattori:
la questione morale e il revisionismo storico (questo secondo della lega più
bassa). Occorre
tornare a far riflettere su quelle che furono in allora le scelte individuali compiute al momento del “prendere o
lasciare” dell’invasione tedesca e della subalternità fascista. È necessario far capire che in quella decisione era già maturata
la prefigurazione di un futuro diverso dove l’anelito alla libertà trovava
sostanza nei principi fondativi di un’appartenenza politica.Il
radicamento dei partiti nella società italiana del dopoguerra ebbe certo uno
dei suoi presupposti in quella presenza resistenziale e si può affermare ancora
adesso, con sicurezza e con orgoglio, che su queste basi fu possibile poi, nel
corso di frangenti quanto mai difficili, scrivere la Costituzione Repubblicana.Fu, però nelle scelte difficili e solitarie
compiute all’inizio della lotta di Resistenza che si realizzò la saldatura tra
chi aveva combattuto il fascismo nel Ventennio e chi era salito in montagna
dopo l’8 Settembre: una saldatura che avrebbe formato una nuova classe
dirigente, una “generazione lunga” che avrebbe, tra fatiche, contraddizioni,
conflitti ricostruito una convivenza civile e una coscienza collettiva:
ciascheduno per la propria parte, con le proprie convinzioni ma nell’idea di
fondo che attraversò i resistenti italiani: non ci si poteva limitare alla
disfatta tedesca, bisognava ricostruire prima di tutto un senso comune. Come
scrisse Silvio Trentin “Vincere la guerra per vincere la pace”. Ci troviamo di fronte al dover di tornare a far comprendere
questo intreccio davvero di “moralità” tra le scelte individuali e quelle
collettive proprio perché, e in Liguria abbiamo soltanto un esempio, ci
troviamo di fronte a una connessione tra il disprezzo della morale e della
verità storica e politica.