In
uno scritto pubblicato su “Le Monde” del 27 giugno 1964, Jacqueline Piatier riferisce
di una intervista a Carlo Cassola fattagli da George Adam pubblicata sul “Figaro
Littéraire” del 18 febbraio 1961 e cita questo passaggio: “durante un
precedente viaggio a Parigi [Cassola] aveva fatto unpellegrinaggio
di tutti i posti descritti da Flaubert – per lo meno di quanto ne rimane –”.
Non mi aveva colpito di questo scampolo il fatto che uno scrittore vada in giro
sulle tracce di un altro scrittore molto ammirato, o alla ricerca di luoghi
evocativi che hanno suggestionato la sua immaginazione; mi aveva colpito,
invece, la parte conclusiva, quel: quanto ne rimane. Lo ammetto, sono un
nostalgico sentimentale, un inguaribile “conservatore” (nel senso di
preservare, custodire) di luoghi e memorie che sono entrati dentro la carne di
una civiltà, o per lo meno dovrebbero. Se, poniamo, sotto la magnolia di
una piazzuola ha sostato per anni un autore di cui provo ammirazione, o nel suo
racconto vi ha fatto incontrare dei personaggi che sono diventati memorabili ai
miei occhi, io non la farei tagliare mai. La segnalerei come parte di un
paesaggio letterario (cioè umano) e provvederei, quando la sua vetustà naturale
si fosse compiuta, a farne piantare un’altra nello stesso posto. Fissandone su
un cartiglio il motivo ed il senso. Sventrare un angolo di città, alterarne la fisionomia,
non fa differenza per amministratori, politici, urbanisti e imprese edili. Non
si fanno scrupoli e non hanno in mente le mie fisime. Il tempo, si sa, cancella
tutte le memorie e dunque un luogo vale l’altro perché non significa più nulla
agli occhi di chi vi transita ignaro. Ma non è così per uno scrittore, o
almeno, non dovrebbe esserlo per uno scrittore consapevole. Riflettete per un
momento sul senso di spaesamento, di vuoto, di deriva esistenziale, di disagio
psicologico, di perdita, che hanno provato i profughi di guerra rientrando
nelle loro città non trovando più luoghi e memorie che erano stati parte delle
loro vite. È talmente atroce questo pensiero, devastante, che ne provo ogni
volta dolore. E non è estraneo tutto questo alla mia feroce avversità contro
guerre e guerrafondai. Alcuni
giorni fa, facendo le mie solite “esplorazioni”, mi sono fermato per una buona
mezzora davanti ad un palazzo su cui è murata una lapide che richiama un evento
molto doloroso per il nostro Paese e per tutti noi. Ho voluto verificare in
quanti vi avrebbero sostato o almeno levato gli occhi su quella lapide. Nessuno.
E non si tratta di una via qualsiasi. Quelli come me che vanno sulle tracce di
uno scrittore e dei luoghi dei suoi libri – come ha fatto Cassola – e che
considerano una strada o un palazzo parte delle loro stesse vite, non hanno
voce in capitolo e non possono fermare il rutilante carosello delle
trasformazioni. Si devono rassegnare poiché ciò che importa è l’eterno
presente. Ma anche l’eterno presente è una pura illusione, destinata
rapidamente a sparire.