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martedì 9 luglio 2024

L’ETERNO PRESENTE
di Angelo Gaccione



In uno scritto pubblicato su “Le Monde” del 27 giugno 1964, Jacqueline Piatier riferisce di una intervista a Carlo Cassola fattagli da George Adam pubblicata sul “Figaro Littéraire” del 18 febbraio 1961 e cita questo passaggio: “durante un precedente viaggio a Parigi [Cassola] aveva fatto un pellegrinaggio di tutti i posti descritti da Flaubert – per lo meno di quanto ne rimane –”. Non mi aveva colpito di questo scampolo il fatto che uno scrittore vada in giro sulle tracce di un altro scrittore molto ammirato, o alla ricerca di luoghi evocativi che hanno suggestionato la sua immaginazione; mi aveva colpito, invece, la parte conclusiva, quel: quanto ne rimane. Lo ammetto, sono un nostalgico sentimentale, un inguaribile “conservatore” (nel senso di preservare, custodire) di luoghi e memorie che sono entrati dentro la carne di una civiltà, o per lo meno dovrebbero. Se, poniamo, sotto la magnolia di una piazzuola ha sostato per anni un autore di cui provo ammirazione, o nel suo racconto vi ha fatto incontrare dei personaggi che sono diventati memorabili ai miei occhi, io non la farei tagliare mai. La segnalerei come parte di un paesaggio letterario (cioè umano) e provvederei, quando la sua vetustà naturale si fosse compiuta, a farne piantare un’altra nello stesso posto. Fissandone su un cartiglio il motivo ed il senso. Sventrare un angolo di città, alterarne la fisionomia, non fa differenza per amministratori, politici, urbanisti e imprese edili. Non si fanno scrupoli e non hanno in mente le mie fisime. Il tempo, si sa, cancella tutte le memorie e dunque un luogo vale l’altro perché non significa più nulla agli occhi di chi vi transita ignaro. Ma non è così per uno scrittore, o almeno, non dovrebbe esserlo per uno scrittore consapevole. Riflettete per un momento sul senso di spaesamento, di vuoto, di deriva esistenziale, di disagio psicologico, di perdita, che hanno provato i profughi di guerra rientrando nelle loro città non trovando più luoghi e memorie che erano stati parte delle loro vite. È talmente atroce questo pensiero, devastante, che ne provo ogni volta dolore. E non è estraneo tutto questo alla mia feroce avversità contro guerre e guerrafondai.
Alcuni giorni fa, facendo le mie solite “esplorazioni”, mi sono fermato per una buona mezzora davanti ad un palazzo su cui è murata una lapide che richiama un evento molto doloroso per il nostro Paese e per tutti noi. Ho voluto verificare in quanti vi avrebbero sostato o almeno levato gli occhi su quella lapide. Nessuno. E non si tratta di una via qualsiasi. Quelli come me che vanno sulle tracce di uno scrittore e dei luoghi dei suoi libri – come ha fatto Cassola – e che considerano una strada o un palazzo parte delle loro stesse vite, non hanno voce in capitolo e non possono fermare il rutilante carosello delle trasformazioni. Si devono rassegnare poiché ciò che importa è l’eterno presente. Ma anche l’eterno presente è una pura illusione, destinata rapidamente a sparire.