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domenica 28 luglio 2024

TACCUINI
di Angelo Gaccione


 
Piazza Sant’Alessandro


È impressionante la quantità di chiese concentrate in un perimetro così ristretto a partire da Piazza Missori fino al Duomo. Milano non è Roma, ma quanto a edifici religiosi non si scherza neanche qui. E quanti gli ordini religiosi! Se persino i Carmelitani della chiesa di San Giovanni in Conca se ne lamentavano, tanto da opporsi alla costruzione di Sant’Alessandro, vuol dire che erano davvero troppe. La protesta un esito lo ottenne: riuscì ad impedire che la facciata della chiesa seicentesca guardasse sull’attuale Piazza Missori dove c’era quella dei Carmelitani. L’imponenza dell’edificio in effetti contrasta con la piccola e stretta Piazza Sant’Alessandro e ha poco respiro. 


Il portale di Palazzo Trivulzio

Il bel palazzo del marchese Giorgio Trivulzio gli toglie spazio, e per poterlo cogliere nel suo insieme bisogna arretrare di un bel po’. È stretta la via Zebedia, è stretta la piazza e sono strette le vie Lupetta e Della Palla. Ma il palazzo Trivulzio non è venuto dopo, c’era di già, era dei Corio-Figliodoni-Visconti dicono le cronache, sono stati i Trivulzio ad arrivare dopo. Più tardi ancora (nel 1808), vi nascerà la celebre contessina Cristina che tanto si adoperò per la causa rivoluzionaria con i patrioti delle Cinque Giornate. Ma il palazzo può vantare di essere stata la prima sede della Biblioteca Trivulziana; qui, infatti, le diede vita Alessandro Teodoro Trivulzio. Se fosse interamente pedonalizzata, la piazza acquisterebbe un fascino in più e la chiesa di Sant’Alessandro sarebbe al riparo completo dal rumore del traffico che su via Torino da un lato, e sulle quattro diramazioni della piazza Missori dall’altro, è sempre molto sostenuto. Una piazzuola silenziosa è stata creata nella rientranza di via Lupetta, subito dopo la facciata barocca di quella che un tempo era la sede delle scuole dei Barnabiti e ora ospita una sede dell’Università degli Studi. Sul fronte opposto, quello che si affaccia su piazza Missori, l’edificio religioso ha mantenuto il carattere sobrio proprio della concezione controriformistica. Mattoni rossi a facciavista, rustica e priva di qualsiasi decorazione.

Murale con i volti dei sindaci
 
Ho sostato in questo slargo, attratto dai giganteschi e colorati ritratti che vi sono stati dipinti. Si tratta dei volti di cinque sindaci di Milano del dopoguerra ricordati con questa scritta: “La coscienza ribelle di ognuno di loro ha saputo dire di no alla brutalità, agli orrori della guerra con tutte le sue conseguenze tragiche, nefaste”. Un’altra scritta li definisce “patrioti della storia di Milano e della sua rinascita (…) tra antifascismo Resistenza e avvento della democrazia municipale repubblicana”. In effetti antifascisti lo sono stati, e alcuni di loro hanno partecipato alla Resistenza, come il “sindaco della Liberazione” Antonio Greppi, sindaco dal 1945 al 1951 e a cui la milizia fascista aveva ammazzato il figlio Mario il 23 agosto 1944, in via San Michele del Carso. Virginio Ferrari, il “dottore dei poveri”, titolo che si era guadagnato per la sua umanità, sindaco dal 1951 al 1961, aveva subìto arresti e confino. Gino Cassinis, “sindaco Rettore”, partigiano anch’egli e notevole studioso e scienziato; era stato Rettore del Politecnico e sindaco lo fu dal 1961 al 1964. Pietro Bucalossi, sindaco dal 1964 al 1967, era stato Membro del Partito d’Azione e durante la Resistenza aveva fatto parte del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia e del Corpo Volontari della libertà (CVL). Il 26 luglio 1943 aveva firmato con Antonio Banfi, Federico Brambilla e altri il manifesto che chiedeva l’immediata abolizione delle leggi razziali. Da giovane, brillante medico, era
stato costretto per motivi politici a lasciare la il posto di assistente di clinica Chirurgica all’Università di Firenze. Aldo Aniasi, sindaco dal 1967 al 1976, comandante partigiano con il nome di battaglia di “Iso”, è stato l’ultimo dei grandi sindaci della città. Di quanti sindaci posteriori a questi si può dire, come è stato detto di Virginio Ferrari: “sindaco galantuomo”? Il murale riporta una frase dello scrittore cileno Luis Sepúlveda che è un omaggio a coloro che resistono: “Ammiro chi resiste, chi ha fatto del verbo resistere carne, sudore, sangue, e ha dimostrato senza grandi gesti, che è possibile vivere, e vivere in piedi, anche nei momenti peggiori”.