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martedì 13 agosto 2024

GLI ALBERI DI MOLFETTA
di Zaccaria Gallo


Molfetta, centro storico


Meglio viva un albero che dieci imbecilli” (a. g.)
 
Tutto il mondo è paese, a Molfetta stanno facendo quello che un po’ di anni fa ha fatto ad Acri l’Amministrazione Comunale. Ma lì, contrariamente a Molfetta, non si era costituito nessun comitato di cittadini per difendere interi viali meravigliosi. Sono rimasti però dei versi: “Requiem per gli alberi di Via Capalbo” su “Odissea”, quelli pubblicati nella raccolta poetica Lingua mater, e i tanti riferimenti alle loro vite dentro il volume La mia Milano.


Molfetta. In una vasta area che da anni funge da spartitraffico e muniti di pini secolari, stanno abbattendo gli alberi, perché le radici che affiorano sotto il manto di cemento, sono ritenute delle autorità cittadine per chi vi transiti a piedi o in auto, pericolose. Si è costituito in comitato cittadino per difendere questi esseri viventi, tutti ancora in buone condizioni di salute “arborea”. “Sarebbe stato bello/ gridare al mondo noi ce ne andiamo via/ ma dove/ che non vogliamo svellere radici/ né potare rami che sembrano felici. (“Fedeltà” di Vittorio Lingiardi). Nella filata di alberi, due li sento parlare fra loro. Mi colpisce la serenità delle loro voci e il dolce avvicinare le chiome, uno all’altro, sotto i soffi del vento. Mi metto in ascolto del loro dialogo.



“Ci sono delle persone – dice l’albero più anziano – che hanno dei problemi con il verde pubblico, quando si presenta sotto forma di rami, radici, frasche, cortecce e tronchi perfidi, come fossero degli alberi maligni. I problemi nascono  soprattutto se qualche volta, appunto, dovessero inciampare in qualche nostra radice o in qualche escrescenza affiorante da un marciapiede”.
“Forse, – risponde il più giovane – dovrebbero stare più attenti quando camminano?”.
“Eh, già! Invece, subito, pensano di eliminarci, perché siamo diventati un ostacolo ingombrante sui marciapiedi o sulle strade, senza tenere conto che ci fanno morire, quando ancora siamo in salute, e non tentano di trovare un compromesso”.
“La colpa sta nel nostro modello di vita, nel modo in cui abbiamo strutturato la città, cementato e soffocato lo spazio, avvelenato l’atmosfera. Sai, io apprezzo l’indignazione di chi vuole salvarci, perché vuol dire che ci sono ancora uomini e donne in grado di sentire empatia per ciò che di non umano ci circonda”.
“Loro, gli uomini, sanno che noi alberi siamo esseri viventi e che, come dice Buddha, offriamo persino l’ombra a coloro che maneggiano l’accetta per abbatterci”.



“Guarda là! Rimane un gran vuoto, una voragine, quando sradicano uno di noi”.
“Hanno ignorato quello che Mario Luzi chiama essere un sapere oscuro”.
“Gli uomini non capiscono che ogni albero è per noi un fratello e che irrimediabilmente, ci mancherà quando viene abbattuto”.
“Attraverso queste ferite che ci vengono inferte, perché siamo alberi di città, loro ci vedono come pezzi di arredamento urbano, invece che esseri viventi. Ignorano che non siamo solo quello che loro vedono quando ci guardano di fronte. Noi siamo anche radici, rami nascosti, fermento di passeri e che la natura ci definisce”.



“E poi fammi dire un’altra cosa: in un certo senso, penso che siamo migliori degli uomini. Da noi non nascerà mai un Caino, una guerra, un genocidio”.
“Se sapessero gli esseri umani come è meraviglioso essere accarezzati; quanta tristezza ci prende se ci abbandonano. Anche mutilati, possiamo sempre dare fiori, frutti, diffondere profumi, confortare con la nostra ombra”.
“Sotto le nostre foglie hanno cantato quei poeti che hanno visto in noi delle creature quiete, serene, amiche, come dice De Felice”.
“Mirò, ha sempre sostenuto che noi abbiamo nel nostro corpo il seme della umanità”.
“Ma sì, è così! Come gli esseri umani abbiamo a che fare col tempo, con la nascita, la vita e la morte”.
“E sappiamo donare loro la Bellezza”.



Suono di Parigi dentro il fruscio delle piante/ mentre le foglie parlano del traffico sopra il caffè/ e le acacie aspergono la loro semenza come una spezia”, che meravigliosi versi, del Premio Nobel per la Letteratura Derek Walcott. Sai, la poesia contemporanea, anche se non esclusivamente, è una poesia cittadina. Nasce a Parigi, verso la metà dell’Ottocento, con I Fiori del male di Baudelaire e, da allora, ha portato dentro di sé, nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore, lo spirito della Metropoli, l’incontro con le moltitudini, il rapporto fra il singolo e la folla, l’accavallarsi di luoghi, palazzi, architetture, immagini e la pubblicità e, tutto, con la nostra presenza, che mai ha cessato di vivere lungo i marciapiedi e negli spazi comuni”.
“Vero. Ricordo quello che dice David George Haskell nel suo libro Il canto degli alberi. “A Manhattan, un modesto albero sul marciapiede mi ha insegnato come gli alberi per strada ripuliscono l’aria e forniscono spazi per l’interazione sociale e per la nostra esperienza sensoriale della città”.



“Noi in fondo siamo uomini capovolti; lo avevano pensato Empedocle, Democrito, Platone, Aristotele. Per i Romani, in larga misura già per i Greci, prima di loro, la relazione tra Universo vegetale e Universo umano andava pensata sempre nei sensi di una continuità”.
“Infatti, noi e loro non siamo divisi da un vuoto profondo ma, al contrario, ci collochiamo lungo una scala, che ci mette in relazione vicendevole, non meno di quanto ci separi. Platone diceva che gli dèi, impastando una natura simile alla natura umana con altre forme, con altre sensazioni, diedero vita a un altro tipo  diverso di essere vivente, appunto noi alberi e le altre piante”.
“In anni recenti, Claude Levi Strauss, te lo ricordi? Ha ripreso il rapporto tra l’uomo e gli alberi, scrivendo: “La societé est le modelle de l’homme”. Noi nel secolo dei Lumi siamo stati presi anche a modello della società”.
“E infine, mi piace ricordare che nel Barone Rampante, Italo Calvino fa di noi dimora e filosofia di vita”.


“Io voglio concludere questo nostro dialogo, ricordando a noi stessi la vicenda di come l’uomo della Preistoria, l’erectus berlinensis, si mise in piedi sulle sue gambe. Arrivò quel giorno  in cui lentamente, si alzò verso l’alto, non già imitando le scimmie, ma noi, gli alberi che aveva accanto, e sollevandosi sul tronco, diventò parte di una eterna, comune, umana, e arborea società”.
Per quanta bella architettura facciano gli uomini, non riusciranno mai a fare una cosa bella come un albero ( Pierluigi Nervi).