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lunedì 9 settembre 2024

GUERRA BATTERIOLOGICA   
di Jean Olaniszyn   


Hirohito
 
Il grande segreto del Giappone: gli indicibili crimini dell’Unità 731.
 
Circa un anno fa, nell’estate del 2023, archeologi cinesi dell’Istituto di reperti culturali e archeologia della provincia di Heilongjiang, identificarono nella Cina nord-orientale, i resti di un grande bunker del famigerato “Dipartimento di prevenzione epidemica e purificazione dell’acqua dell’esercito di Guandong, Gruppo dell’Esercito Imperiale Giapponese, dal suo nome ufficiale, meglio conosciuto oggi con il nome in codice usato negli anni ’30: Unità 731, guidata dal tenente generale Shiro Ishii.
Durante l’occupazione giapponese della Cina dal 1931 al 1945, un centro operativo dell’Unità 731 a Pingfang (provincia di Heilongjiang e amministrato dalla prefettura di Harbin) ospitò un laboratorio sotterraneo segreto, da allora soprannominato “il Bunker dell’Orrore”, dove i militari e gli scienziati giapponesi condussero raccapriccianti esperimenti su soggetti umani.
L’Esercito imperiale del Giappone si macchiò di crimini di guerra talmente orribili che osservatori dell’alleato tedesco lo definirono “una macchina bestiale”, riferito in particolar modo al noto “Massacro di Nanchino”.
In quel tempo Nanchino era la capitale della Repubblica della Cina caduta in mano ai giapponesi il 13 dicembre 1937. In sei settimane i soldati giapponesi uccisero oltre 300.000 persone, con torture, stupri di donne, ragazze e anziane, ma anche di bambini in tenera età uccisi per divertimento e in modi orribili a decine di migliaia dai militari giapponesi.
Già nell’agosto del 1937 l’Esercito imperiale giapponese nell’avanzata verso la “Battaglia di Shangai” fu particolarmente crudele verso i cinesi, sia militari che civili (seguendo anche le direttive dell’imperatore Hirohito che impose di non rispettare i vincoli imposti dalle convenzioni internazionali), ciò che fa pensare che il massacro di Nanchino non sia stato un evento isolato.
Il Tribunale Militare Internazionale per l’Estremo Oriente ha calcolato che vennero stuprate più di 20.000 donne, anche bambine e anziane. Gli stupri durante il giorno spesso avvenivano in pubblico, il più delle volte di fronte ai mariti o a componenti della famiglia, che venivano immobilizzati e costretti a guardare. Un gran numero di tali atti fu frutto di un’organizzazione sistematica, con i soldati che cercavano le ragazze di casa in casa, sottoponendole a stupri di gruppo. Le donne venivano spesso uccise subito dopo lo stupro, non prima di aver inflitto loro mutilazioni o sventrando quelle incinte. Ci sono testimonianze ancora più raccapriccianti di episodi talmente orribili che in questo contesto evito di raccontarne i dettagli.


Shiro Azuma col suo diario
 
Lager dell’unità 731 a Pingfang
In un tale oceano di sofferenza durante l’avanzata dell’esercito giapponese verso Nankino, la morte di circa 3.000 prigionieri cinesi e in piccola misura russi, a Pingfang, vicino ad Harbin, potrebbe essere vista come un epifenomeno. Ma nell’inferno di Pingfang, nel cuore della Manciuria, furono commessi fra i crimini più atroci della “Grande Guerra Asiatica”.
L’Unità 731 effettuò, su larga scala, esperimenti biologici e vivisezioni su cavie umane (prigionieri cinesi, coreani, russi, ma anche britannici e olandesi), testando i limiti della sofferenza umana su uomini, donne e bambini, per fornire alle forze armate giapponesi armi batteriologiche e chimiche.
Un sopravvissuto, Fang Zhen Yu, in un’intervista a ‘Le Monde’ ha raccontato: “Era il 1941. Avevo diciannove anni e lavoravo come magazziniere, prigioniero nel campo giapponese. Punito, fui rinchiuso in una cella, da dove potevo vedere i treni arrivare e scaricare come animali i poveri disperati destinati agli esperimenti; un giorno è arrivato un convoglio di vagoni merci, scesero degli uomini con le mani legate, alcuni avevano capelli biondi” () Dal magazzino portavano molto cibo al laboratorio, da dove provenivano perennemente urla strazianti di uomini, donne e bambini”.  
Il cibo era destinato per testare sulle cavie umane il miglior vettore infettivo. Le verdure furono riconosciute come le più adatte alla guerra batteriologica, in particolare quelle con molte foglie, seguivano in ordine successivo: la frutta, il pesce e infine la carne.


 
Nel piccolo museo di Pingfang, inaugurato nel 1982, un plastico ricorda quello che era l'immenso complesso (70 edifici) dell'Unità 731. Dietro il lungo edificio amministrativo a due piani, si trovava un quadrilatero formato dalla prigione e dai “laboratori”, oltre agli alloggi per i tremila giapponesi (medici, veterinari, infermieri, soldati) che gestivano gli orrendi crimini. 
All’epoca il campo di prova comprendeva anche installazioni in superficie che non esistono più, ad eccezione di una pista di atterraggio, perché nell’agosto del 1945 fu tutto fatto saltare in aria dai giapponesi per cancellare ogni traccia di ciò che accadeva nel sottosuolo, in locali destinati a contenere e controllare soprattutto la diffusione di agenti infettivi. I documenti storici hanno rivelato che nei vari laboratori (Unità 731, Unità 1644, Unità 100) del famigerato Dipartimento di prevenzione epidemica e purificazione dell’acqua dell’esercito Imperiale giapponese, furono almeno 12.000 cavie (uomini, donne e bambini) che furono uccise durante test con agenti batterici e malattie mortali (sifilide, antrace, colera, febbre tifoide), ma anche con altri perversi metodi: immessi in centrifughe rotanti, iniettati con sangue animale contaminato, esposti ai raggi X, al freddo, alla disidratazione, bruciati vivi con lanciafiamme. 



I disgraziati venivano anche vivisezionati, senza anestesia ovviamente. Pulci infettate da Yersinia pestis e sviluppate in laboratorio per essere particolarmente letali, causa della peste bubbonica e polmonare, venivano lanciate anche da aerei a bassa quota sulle città cinesi del Manchukuo, uno stato conosciuto come “fantoccio”, territorio della   Manciuria controllato dall’Impero del Giappone nel nord-est della Cina tra il 1932 e il 1945. L’avanzata dei sovietici in Manciuria e le bombe atomiche americane sganciate su Hiroshima e Nagasaki fermarono i folli progetti giapponesi per l’uso delle armi batteriologiche sviluppate dall’Unità 731. Tra questi il programmato bombardamento batteriologico di San Diego (California), nome in codice “Operazioni Fiori di Ciliegio nella Notte”.


 
Il governo giapponese cercò sempre di nascondere l’esistenza e i crimini dell’Unità 731. Catturati dalle truppe americane al termine del conflitto, il comandante Ishii e il suo stato maggiore, Darkum Neik, Masaji Kitano, Yoshio Shinozuka, Yasuji Kaneki, ottennero l’immunità in cambio della consegna all’OSS (precursore della CIA) di tutte le informazioni delle loro ‘ricerche’ sulla guerra batteriologica. L’accordo avvenne con il beneplacito del generale Douglas MacArthur che ricevette istruzioni di garantire ufficialmente la piena immunità agli scienziati dell’Unità 731. All’infuori del Giappone, solo gli USA avevano quindi le prove dei crimini dell’Unità 731 in Cina, ma furono sottaciute. I crimini contro l’umanità commessi in Manciuria dai giapponesi, a quanto pare, non avevano responsabili. L’Unione Sovietica protestò veementemente, senza alcun risultato tangibile.
Anche altri scienziati coinvolti nell’Unità 731 ricevettero nel 1946 l’immunità da ogni accusa dal Tribunale internazionale per l’Estremo Oriente (Tribunale di Tokyo), avendo fornito agli Stati Uniti tutti i dati - definiti dall’allora segretario alla Sanità Usa “inestimabili” - della loro criminale attività.
La documentazione e gli archivi dell’Unità 731 furono trasferiti sul continente americano, più precisamente a Fort Detrick, il famoso centro biomedico militare americano, dove furono utilizzati per sviluppare armi batteriologiche. I criminali giapponesi trasferiti negli Stai Uniti furono utilizzati in vari laboratori, sia su territorio americano che in altri paesi, ovviamente sotto il controllo del Pentagono.

Il documento rinvenuto nel 2023

Nel 1976 negli Stati Uniti andò in onda un programma d’inchiesta che rivelò delle inedite dichiarazioni di venti ex dipendenti dell’Unità 731 accolti su suolo americano. Lo scossone riaccese il caso, anche agli occhi dell’opinione pubblica, che ne volle sapere di più, ma il governo mise tutto a tacere. La politica perseguita da Washington nei confronti dei criminali di guerra giapponesi non è stata dissimile da quella tenuta nei confronti di quelli tedeschi. Basti pensare all’Operazione Paperclip, che proseguì fino al 1973, con la quale oltre 1.600 scienziati, tecnici ed ingegneri tedeschi nazisti vennero portati in America a lavorare per il governo statunitense. Anche se alcuni studiosi americani avevano documentato le attività dell’Unità 731, il loro lavoro era stato “oscurato” o rimasto confinato fra gli specialisti.
Nel 1987, Shiro Azuma, un militare che aveva partecipato al massacro di Nankino, pubblicò il proprio diario sui crimini compiuti dall’esercito giapponese in Cina che gli procurarono denunce per diffamazione dal governo giapponese, mentre il governo cinese gli fu grato per il suo gesto.


Shiro Ischii

Dopo queste rivelazioni spuntarono “dal nulla” altri indizi ed elementi dal valore probatorio e molti storici iniziarono a chiedere informazioni ai governi giapponese e americano, ma solo nel 2018, gli archivi nazionali giapponesi pubblicarono i nomi di 3.607 membri dell’Unità 731, su richiesta di Katsuo Nishiyama, professore all’Università di Scienze Mediche di Shiga (Giappone), il quale aveva dichiarato che “la lista è una prova importante che supporta le testimonianze delle persone coinvolte e la sua divulgazione è un passo importante verso la rivelazione di fatti tenuti nascosti per troppo tempo”.
Nel settembre del 2023, Seiya Matsuno, uno storico giapponese, ha scoperto presso gli Archivi nazionali del Giappone dei documenti che registravano le informazioni di base dei medici militari dell’Unità 731, nonché la loro affiliazione, adeguamento, smobilitazione e alcune altre informazioni dopo il 1944. Ufficialmente, tuttavia, molto resta secretato, anche in relazione al complesso rapporto del Giappone con Washington. Come sintetizzato in modo eloquente da Daniel Barenblatt, autore di “A Plague upon Humanity: The Hidden History of Japan’s Biological Warfare Program” (2005), il “segreto dei segreti” del Giappone è diventato il “grande segreto dell’America”.