Dopo oltre
mille giorni di guerra su larga scala per l’Ucraina - e quasi quattromila per
il Donbass - l’intermezzo tra la fine del mandato Biden e l’insediamento dell’amministrazione
Trump assume in crescendo le caratteristiche di una delle fasi più incerte e
più pericolose della storia contemporanea. Il via libera della Casa Bianca all’utilizzo
di missili ATACMS in territorio russo è avvenuto in questa fase con il preciso
intento di mettere nella maggiore difficoltà possibile il successore designato.
Al quadro si aggiungono i nuovi pacchetti di assistenza militare appena
concessi all’Ucraina e gli intenti della Casa Bianca di installare nuovi
missili in Europa centro-orientale in funzione antirussa: intenti destinati a
riportare il continente alla crisi degli Euromissili di metà anni ottanta. La
risposta del Cremlino alle mosse dell’amministrazione di Biden si è sostanziata
nel lancio di un missile balistico sui territori ucraini - condotto per palesare
la vulnerabilità delle difese antiaeree di produzione statunitense - e nella
modifica della dottrina nucleare di riferimento: una modifica con cui si
contempla in modo esplicito il possibile ricorso ad armi nucleari tattiche in
risposta ad attacchi condotti con armi convenzionali. Questo passaggio
contribuisce ad aumentare ulteriormente il rischio di guerra nucleare in
Europa. L’Italia in particolare sarebbe particolarmente esposta ad attacchi
vista la presenza sul territorio nazionale di importanti basi militari statunitensi:
l’Europa - tutta - pagherebbe le maggiori conseguenze di uno scenario senza
precedenti. Occorre avere ben chiaro che il rischio nucleare non è un bluff:
scommettere sul contrario potrebbe contribuire a trascinare l’umanità in una
spirale di distruzione che sarebbe molto difficile interrompere. Già dal
febbraio 2022 risultava chiaro che il tempo giocasse a favore del Cremlino:
oggi questa valutazione trova una facile conferma nella situazione del campo.
Quanto l’Ucraina avrebbe potuto ottenere nei negoziati del 2022 oggi è nient’altro
che un’illusione. Per quanto le narrative sull’Ucraina abbiano subito una
evidente trasformazione negli ultimi tempi - ammettendo l’inevitabilità del
negoziato - le condizioni oggettive non possono essere certo dimenticate: il
vantaggio acquisito potrebbe portare il Cremlino a rifiutare eventuali proposte
di negoziato se queste trascurassero le condizioni sul terreno. Per questa
ragione il possibile congelamento dei combattimenti ed il delinearsi di uno
scenario coreano, non è affatto scontato. A proposito di Corea la presenza di
militari nordcoreani sul fronte di Kursk è ormai un dato di fatto: presenza
destinata a creare ulteriori problemi alle forze ucraine. Per l’esercito di
Pyongyang ed i contingenti di questo inviati sul fronte ucraino si tratta di
una svolta epocale, dal momento che ufficialmente le forze armate della Corea
del nord non partecipano a missioni di combattimento dal 1953. Ma l’importanza
del fatto in sé risulta secondaria riflettendo sul modello di mutua assistenza
militare che Mosca sta testando con la Corea del Nord. Un futuribile meccanismo
analogo potrebbe legare Mosca e Pechino per le reciproche necessità di
carattere militare: per il momento sia Mosca che Pechino hanno interesse a non
vincolarsi reciprocamente con accordi militari stringenti, ma il tempo potrebbe
far mutare questa condizione in modo significativo. Ulteriori sorprese
precedenti all’insediamento di Trump alla Casa Bianca potrebbero essere tutt’altro
che improbabili, ma come già anticipato nei mesi scorsi dall’ex consigliere
presidenziale Aleksander Arestovich, il 2025 potrebbe effettivamente essere l’anno
dell’uscita di scena di Volodymyr Zelensky. Coprire il fallimento dell’oltranzismo
e l’uscita di scena dei suoi protagonisti con il presunto rispetto della
sovranità ucraina potrebbe essere tutto sommato l’opzione meno sconveniente per
affrontare il passaggio tra il prima ed il dopo.