Le riflessioni sul debito, iniziate più di quarant’anni fa in
Chase Manhattan, hanno portato Michael Hudson nell’antica Mesopotamia, dove ha
incontrato Giorgio Buccellati, importante archeologo e storico, che da cinquant’anni
insegna in California. Qui Hudson anticipa la prefazione all’edizione inglese
dell’ultimo libro dell’archeologo, nel quale si racconta la nascita della
polis, prima luogo di scambi, poi anche luogo di produzione, infine centro di
potere capace di emettere moneta e leggi. La soddisfazione dell’economista
nasce dalla constatazione che gli antichi sumeri erano più consapevoli che i
nostri contemporanei del potere del debito di indebolire quello che oggi
chiamiamo lo stato. La cosa interessante è che il giudizio riguarda anche il
debito privato – la distinzione tra privato e pubblico ha origine allora. Il
debito pubblico, come vediamo oggi, costringe lo stato a una cura dimagrante
senza fine, con il progressivo impoverimento del bene comune – oggi il
riarmo, anziché rafforzare, come vorrebbero i super-idioti alla
Draghi, lo stato, o quell’armata brancaleone rappresentata da UE e NATO,
lo indebolirà ulteriormente, creando i presupposti della guerra civile. Il
debito privato allora era dannoso, perché sottraeva forze alla leva militare;
oggi lo è perché orienta l’economia secondo gli interessi dei rentier:
in primo luogo al sostegno dell’immobiliare e di Wall Street. Una breve ricerca
su Internet mi ha fatto poi scoprire che Buccellati è vicino a Comunione e Liberazione,
e per il loro quotidiano ha scritto nel 2015 un articolo interessante
che spiega come Abramo, il fondatore del monoteismo ebraico, alla polis, babele
di lingue e di credenze, abbia contrapposto la tribù, evidentemente con
l’intento di consolidare e di approfondire la propria fede. Mission
accomplished, si potrebbe dire. Si potrebbe però forse anche dire che la
missione termina, e con essa il suo aspetto tribale, con Gesù Cristo e San
Paolo che riportano la religione nella polis. Detto per inciso, non credo che
ciò sia avvenuto con successo per merito di un concetto vago e confuso come
quello di sussidiarietà. L’ebraismo si è riformato, e ha continuato la propria
vita parallela per vari secoli, ma con l’arrivo della modernità, e con l’affermarsi
della ragione, almeno in linea di principio, e dell’individualismo ha
rischiato di venire integrato nella polis. Il sionismo è nato anche per evitare
la fine della tribù separata. Il problema è che la missione non c’è più, e a
David Shulman non resta che constatare che in Israele prevale l’apatia morale.