Il collegamento tra disarmo e giustizia sociale e ambientale
è il coniglio che estrarrà dal cilindro l’assemblea di ICAN il 2 marzo, a New
York, riunione che precede il Terzo meeting ONU dei firmatari del Trattato di
proibizione delle armi nucleari? Il tema sembra maturo. Ad esempio, il New York
Times di Sunil A. Amrith sostiene che l’ecocidio è diventato inseparabile dal
conflitto militare. (Il termine fu varato nel 1970 di fronte alle distruzioni
attuate con l’uso dei defolianti nell’intervento USA in Vietnam). L’articolo
contiene dati sulle emissioni di gas serra nella guerra ucraina e la stima del
5,5% del “world’s military carbon footprint”. Ne risulta confermato il nostro
obiettivo di attivisti ecopacifisti, quando Disarmisti esigenti & partners
mandiamo delegazioni alle COP sul clima: bisogna includere le attività
militari quando si stabiliscono i target per le riduzioni di CO2. L’articolo
suggerisce che riparare il nostro ecosistema danneggiato può diventare un
attivo veicolo per la pace. In realtà dovremmo essere ancora più radicali: è
vitale riconoscere che non possiamo più permetterci alcun conflitto, per
qualsiasi motivo, in forma bellica. E questa presa d’atto non è
dogmatismo da nonviolenti ideologici, è intelligente e pragmatica rispondenza
alla realtà delle cose. La massima di Papa Francesco, non di esclusiva del
mondo cattolico, ma patrimonio delle organizzazioni centenarie come la War Resister
International, ci aiutano a inquadrarla: “Oggi non esistono guerre
giuste, la guerra è sempre una sconfitta”.