Cosa
significa garantire un tempo medio di attesa per una colonscopia totale, con
codice U di 3 giorni, e invece prenotarla a 148 giorni? Oppure, una visita
cardiologica, con codice B, da eseguire entro 10 giorni e prenotarla a 106 giorni?O una risonanza magnetica dell'encefalo, con
codice B, a 152 giorni, se non un attentato alla vita e alla salute delle
persone? Dal Premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi, al farmacologo Silvio Garattini,
passando per il Presidente del Consiglio Superiore di Sanità, Franco Locatelli,
all'immunologo Alberto Mantovani, conosciamo alcune delle firme di peso, che
hanno sottoscritto un appello a difesa del Servizio Sanitario Nazionale, per
chiedere un piano straordinario di finanziamento e una maggiore valorizzazione
del personale, onde cercare di arginare la crisi in cui versa il sistema. Dal
1978, data della sua fondazione, il Servizio Sanitario Nazionale d'Italia ha
contribuito a produrre il più marcato incremento dell'aspettativa di vita tra i
paesi ad alto reddito, ma, oggi, si legge nel documento, i dati dimostrano che
il sistema è in crisi, per l’arretramento di alcuni indicatori di salute, la
difficoltà crescente di accesso ai percorsi di diagnosi e cura attraverso le
infinite lunghe liste di attesa, l’aumento delle disuguaglianze regionali e
sociali.
Sotto accusa è soprattutto il forte sotto- finanziamento della
sanità pubblica, alla quale, nel 2025 sarà destinato il 6% del PIL, meno di 20
anni fa. La vera emergenza, secondo l'ex direttrice generale del Ministero
della Sanità Nerina Dirindin, è adeguare il finanziamento del Servizio
Sanitario Nazionale agli standard dei paesi europei avanzati, pari al 8% del
PIL.Questo
determina una evidenza che ormai è sotto gli occhi di tutti: l’Italia sta
rischiando, in questi anni, in questi mesi, una sanità per censo, dove chi ha i
mezzi economici potrà sempre di più garantirsi le cure, mentre chi non dispone
di un reddito adeguato non potrà curarsi.Attualmente, già il 42% dei
cittadini meno abbienti è costretto a rinunciare alle cure, poiché, non
riuscendo ad ottenere nell’ambito del sistema pubblico l’accesso alla
prevenzione e alle cure necessarie, non ha i mezzi per rivolgersi alla sanità
privata a pagamento.E anche se volessero farlo, le fasce più deboli
della nostra società, spinte al privato, non avendo accesso al sistema
nazionale, a causa delle liste di attesa lunghissime, sarebbero inevitabilmente
spinte verso la povertà. Il paradosso dunque è che abbiamo una sanità pubblica
che genera povertà.
Se d'altra parte poi, specifiche risorse devono essere
destinate a rimuovere gli squilibri territoriali, è evidente che l’autonomia
differenziata, prospettata dal governo Meloni e dalla Lega, rischia di
aggravare più che risolvere il problema della povertà.La direttrice,
invece, è un'altra: bisogna intervenire in profondità sull'edilizia sanitaria,
affrontare i temi come la valorizzazione degli operatori, la loro tutela e la
garanzia delle loro condizioni di lavoro, finalmente mettere in attuazione un
modello sanitario sostenibile, che preveda la continuità assistenziale tra
ospedale e territorio e domicilio, e infine rivedere in modo concreto il
finanziamento degli interventi legati alla prevenzione, nella convinzione che
una buona parte della spesa sanitaria legata alla cura e alla riabilitazione si
può abbattere proprio con la prevenzione; di qui la necessità di mettere in
moto una riforma che preveda l’istituzione di Distretti Sanitari di Base.Non
si possono, poi, trascurare altri fenomeni legati ad una sanità pubblica che
sia all’altezza di uno stato democratico: ad esempio, è nato, a Firenze, il
primo Manifesto mondiale contro la discriminatoria tendenza a considerare
diagnosi e presa in carico terapeutica non necessarie per persone anziane, data
l’età dei pazienti.Si tratta di una forma di pregiudizio che, nella
pratica, impedisce di ottenere una diagnosi e una presa in carico ottimale con
12 azioni.
Questo Manifesto ha il nome di Carta di Firenze ed è stato redatto
dalla Fondazione Menarini con il patrocinio della Società Italiana di
Gerontologia e Geriatria.Sui bisogni di salute, soprattutto dei grandi
anziani, il Sistema Sanitario Nazionale non investe molte risorse: sono
considerati, questi anziani, troppo vecchi e costosi per ricevere le cure più
avanzate da cui trarrebbero i maggiori benefici. Pertanto è la stessa persona
anziana che rinuncia ad aderire alle terapie e a screening e a comportamenti
preventivi con gravi effetti sulla propria salute.Il Manifesto
è stato appena pubblicato su European Geriatric Medicine e sul Journal of Gerontology,
e contiene le azioni concrete da mettere in atto per invertire la rotta,
puntando sulla formazione del personale sanitario e degli assistenti sociali,
verso il problema dell'invecchiamento.Un’altra di queste azioni è
quella di dare priorità agli anziani nei Pronti soccorso che rappresentano per
loro un fattore di rischio, per via dei lunghi tempi di attesa; come altrettanto
è necessario riprogettare gli ambienti ospedalieri per renderli più familiarmente accoglienti, riducendo l’isolamento da immobilismo.
E c’è un
altro problema, che ormai si sta imponendo con i caratteri di urgenza: ogni
anno, il 12 marzo, viene celebrata, dal 2022, la Giornata nazionale di
Educazione e Prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori
sanitari e socio sanitari: i medici, gli infermieri, tutti gli operatori socio-
sanitari, hanno il diritto di poter lavorare, senza temere per la propria
incolumità.I dati, purtroppo, raccontano storie di donne e uomini che
hanno subito aggressioni, che comportano sofferenze, paura di tornare al lavoro,
ricadute emotive psicologiche e, nei casi più gravi, lutti e dolore per le
famiglie. È fondamentale puntare sempre di più sulla sensibilizzazione delle
persone, per valorizzare la dedizione degli operatori sanitari che spesso
operano in condizioni molto difficili, e far capire che sono lì per aiutarci
non certo per sfavorirci.La complessa relazione tra operatore
sanitario, pazienti e loro familiari, dalla quale possono sfociare episodi di
aggressione, può essere migliorata innanzitutto attraverso procedure
organizzative volte a ridurre la burocrazia e i tempi di attesa per l’erogazione
delle prestazioni sanitarie, e aumentare, e rendere più puntuale, la
informazione, incrementando la partecipazione, con la eliminazione di barriere
culturali e linguistiche.
Le aree più a rischio in Italia, in linea con
i dati rilevati dall’INAIL, sono i Pronti soccorso e le aree di degenza. I Pronti
soccorso sono sempre più in affanno e il personale è allo sbando: in moltissimi
casi, le carenze sono da riferire a una inadeguatezza degli ambienti, alla
scarsità dei posti letto nei reparti e agli organici insufficienti, che causano
gravi disagi. I pazienti troppe volte pur portati con 118 rischiano di rimanere
per troppe ore su una barella.Infine, tra le crisi degli ecosistemi sociali,
c’è quello della Medicina di Base, o anche medicina generale o medicina di
famiglia, che si occupa delle cure primarie e della gestione delle patologie in
ambiente extra-ospedaliero e che si presenta non più all’altezza di fungere da
filtro primario contro richieste di assistenza non urgenti nei Pronti soccorso
o contro ricoveri impropri o l’abuso di esami inutili.L’impatto
tra la catastrofe sanitaria e la medicina di base in passato, ha prodotto
effetti peggiorativi di una situazione al limite della sostenibilità: i medici
di famiglia sono soffocati da mansioni burocratiche sempre più complesse e non
pertinenti, che prendono il sopravvento sulle cure.Non si
può dimenticare che la Medicina di base resta un ecosistema importantissimo per
l’uomo, giacché ha il compito di tutelare la salute psicofisica di ogni singolo
individuo, con le sue peculiarità, difendendo il basilare diritto alle cure,
che non possono essere considerate un “consumo” o un “servizio” o un “privilegio”,
ma che restano un diritto umano imprescindibile. Questo diritto deve essere
tenuto come cosa sacra, anche se ciò può costare grossi sacrifici al potere
dominante.