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martedì 4 marzo 2025

COMMERCIO DI MORTE
di Michela Bianchi


 
Il commercio delle armi e l’Italia   
 
Una cosa è certa, se la folle corsa agli armamenti continua dovrà necessariamente concludersi con un massacro quale non si è mai visto nella storia. Se ci sarà un vincitore la vittoria vera sarà una morte vivente per la nazione che riuscirà vittoriosa.
Mahatma Gandhi
 
Come Associazione Movimenti Cambiamenti, in più occasioni e a partire dal febbraio 2024, all’indomani dell’approvazione in Senato, abbiamo denunciato le pericolose conseguenze del progetto di modifica della L. 185/1990 sul traffico di armi (esportazione, importazione e transito): si tratta di modifiche sostanziali e tutte dirette a favorire l’esportazione di armamenti, riducendo vincoli e controlli democratici, in pieno contrasto con l’art.11 della Costituzione. L’esame del testo in Parlamento continua a essere rinviato e slitterà forse al mese prossimo, ma per ora senza alcuna previsione specifica, e ciò a fronte di un continuo aumento del traffico di armi. Evidentemente non si sente la necessità di seguire l’iter parlamentare che, in ogni caso, comporterebbe quantomeno il fatto di rendere pubblico il contenuto della legge. Come si può constatare ogni giorno, anche senza quelle modifiche normative, produzione, esportazione e commercio degli armamenti hanno avuto incrementi vertiginosi e incontrollati.
Inoltre, come è stato rilevato dalle organizzazioni - oltre 200 - che hanno rilanciato la campagna “Basta favori ai mercanti d’armi”, occorre ricordare la violazione del Trattato internazionale sul commercio delle armi del 2014, «che non viene contemplato nella nuova formulazione della legge creando un buco normativo da colmare». Il trattato (Arms Trade Treaty), stabilisce non solo il divieto a esportare materiali militari a Paesi sottoposti a misure di embargo internazionale (art. 6), ma anche di valutare se le armi convenzionali o gli oggetti militari “possono contribuire a minacciare la pace e la sicurezza; possono essere utilizzati per commettere o agevolare una grave violazione del diritto internazionale umanitario e commettere o agevolare una grave violazione del diritto internazionale dei diritti umani”. E “se dopo aver condotto tale valutazione e aver esaminato eventuali misure di mitigazione, lo Stato Parte esportatore ritiene che vi sia un forte rischio di ricadere in una delle conseguenze negative previste, lo Stato Parte esportatore non autorizzerà l’esportazione”.



Vogliamo la legittimazione della guerra?
La discussione in sede legislativa, se mai ci sarà, avviene in un contesto di corsa al riarmo a livello europeo e di un clima di preoccupante propaganda bellica, sostenuta anche attraverso falsificazione di dati. Dati falsi diffusi dalla maggior parte degli organi di informazione europei e italiani che non sono stati rettificati nemmeno a seguito della ufficializzazione dei dati corretti. I fatti: due settimane fa i giornali di tutta Europa pubblicano un report dell’International Institute for Strategic Studies concludendo ed evidenziando, con titoli ad effetto, che la spesa per la difesa della Russia è superiore a quella dell’Europa intera.  Da qui la giustificazione a ogni politica di riarmo. I dati diffusi non sono reali e addirittura mettono a confronto voci non confrontabili. L’economista Carlo Cottarelli ha inviato, in proposito, una nota dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica al fine di rettificare la notizia errata, basata su palesi errori di calcolo: ovvero la spesa militare europea è stata calcolata al tasso di cambio attuale e non a parità di potere di acquisto. E se viene convertita in dollari a parità di potere di acquisto, la spesa militare europea risulta pari a 730 miliardi di dollari nel 2024 rispetto ai 462 miliardi spesi dalla Russia. In sostanza gli europei spendono il 58% in più dei russi.
Questo, in aggiunta al fatto che non ci sono state correzioni sugli organi di stampa una volta diffusa questa nota, dà la misura del livello a cui è arrivata la propaganda. Del resto la direzione è chiara: dalla guerra alla progressiva “normalizzazione” della guerra all’interno dell’opinione pubblica. Un passo via l’altro: le dichiarazioni di Ursula von der Leyen sulla necessità di derogare al patto di stabilità per aumentare la spesa pubblica nella difesa e l’indirizzo che si è deciso di dare agli investimenti tecnologici verso l’industria bellica sono solo due esempi. Per non parlare della sempre più diffusa e invasiva partecipazione delle Forze armate e di Polizia nelle scuole, come continua a denunciare l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. In sostanza, dalla guerra alla cultura di guerra che procede nel senso della sua legittimazione. Gli spazi per dire di no ci sono e vanno aperti sempre di più.