Il
commercio delle armi e l’Italia Una cosa è certa, se la folle corsaagli armamenti
continuadovrà necessariamente concludersicon un massacroquale non si è
mai visto nella storia.Se ci sarà un vincitorela vittoria vera sarà una morte
viventeper la nazione che riuscirà vittoriosa. Mahatma Gandhi Come Associazione Movimenti Cambiamenti, in più occasioni e a
partire dal febbraio 2024, all’indomani dell’approvazione in Senato, abbiamo
denunciato le pericolose conseguenze del progetto di modifica della L. 185/1990 sultraffico di armi (esportazione, importazione e
transito): si tratta di modifiche sostanziali e tutte dirette a favorire l’esportazione di armamenti, riducendo vincoli e
controlli democratici, in pieno contrasto con l’art.11
della Costituzione. L’esame del testo in Parlamento continua a essere
rinviato e slitterà forse al mese prossimo, ma per ora senza alcuna previsione
specifica, e ciò a fronte di un continuo aumento del traffico di armi.
Evidentemente non si sente la necessità di seguire l’iter parlamentare che, in
ogni caso, comporterebbe quantomeno il fatto di rendere pubblico il contenuto
della legge. Come si può constatare ogni giorno, anche senza quelle modifiche normative, produzione, esportazione e
commercio degli armamenti hanno avuto incrementi vertiginosi e incontrollati. Inoltre, come è stato rilevato dalle organizzazioni - oltre
200 - che hanno rilanciato la campagna “Basta favori ai mercanti d’armi”,
occorre ricordare la violazione del Trattato
internazionale sul commercio delle armi del 2014, «che
non viene contemplato nella nuova formulazione della legge creando un buco
normativo da colmare». Il trattato (Arms Trade Treaty),stabilisce
non solo ildivieto a esportare materiali militari a
Paesi sottoposti a misure di embargo internazionale(art.
6), ma anche di valutare se le armi convenzionali o gli oggetti militari“possono
contribuire a minacciare la pace e la sicurezza; possono essere utilizzati percommettere
o agevolare una grave violazione del diritto internazionale umanitario ecommettere
o agevolare una grave violazione del diritto internazionale dei diritti umani”.E
“se dopo aver condotto tale valutazione e aver esaminato eventuali misure di
mitigazione,lo Stato Parte esportatore ritiene che vi sia
un forte rischio di ricadere in una delle conseguenze negative previste, lo
Stato Parte esportatore non autorizzerà l’esportazione”.
Vogliamo
la legittimazione della guerra? La
discussione in sede legislativa, se mai ci sarà, avviene in un contesto di
corsa al riarmo a livello europeo e di un clima di preoccupante propaganda bellica, sostenuta anche attraverso falsificazione di dati.
Dati falsi diffusi dalla maggior parte degli organi di informazione europei e
italiani che non sono stati rettificati nemmeno a seguito della
ufficializzazione dei dati corretti. I fatti: due settimane fa i giornali di
tutta Europa pubblicano un report dell’International Institute for Strategic
Studies concludendo ed evidenziando, con titoli ad effetto, che la spesa per la
difesa della Russia è superiore a quella dell’Europa intera. Da qui la
giustificazione a ogni politica di riarmo. I dati diffusi non sono reali e
addirittura mettono a confronto voci non confrontabili. L’economista Carlo
Cottarelli ha inviato, in proposito, una nota dell’Osservatorio sui conti
pubblici dell’Università Cattolica al fine di rettificare la notizia errata,
basata su palesi errori di calcolo: ovvero la spesa militare europea è stata
calcolata al tasso di cambio attuale e non a parità di potere di acquisto. E se
viene convertita in dollari a parità di potere di acquisto, la spesa militare europea risulta pari a 730 miliardi di dollari nel
2024 rispetto ai 462 miliardi spesi dalla Russia. In sostanza gli europei spendono il 58% in più dei russi. Questo, in aggiunta al fatto che non ci sono state correzioni
sugli organi di stampa una volta diffusa questa nota, dà la misura del livello a cui èarrivata la propaganda. Del resto la direzione è
chiara: dalla guerra alla progressiva
“normalizzazione” della guerra all’interno dell’opinione
pubblica. Un passo via l’altro: le dichiarazioni di Ursula von der Leyen sulla
necessità di derogare al patto di stabilità per aumentare la spesa pubblica
nella difesa e l’indirizzo che si è deciso di dare agli investimenti
tecnologici verso l’industria bellica sono solo due esempi. Per non parlare
della sempre più diffusa e invasiva partecipazione delle Forze armate e di
Polizia nelle scuole, come continua a denunciare l’Osservatorio contro la
militarizzazione delle scuole e delle università. In sostanza, dalla guerra
alla cultura di guerrache
procede nel senso della sualegittimazione. Gli spazi per dire di no ci sono e
vanno aperti sempre di più.