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lunedì 3 marzo 2025

PAROLE E PENSIERI 
di Romano Rinaldi



L’espressione verbale del pensiero ci fornisce una chiave di lettura della mente di chi lo esprime. Un vecchio detto americano dice: “before moving your tongue, make sure the brain is in gear” (prima di mettere in moto la lingua, assicurati che il cervello abbia la marcia innestata). In effetti, la scelta delle parole per esprimere un concetto è un procedimento che richiede, oltre a una mente sveglia, la capacità di esprimere concetti che il cervello acquisisce con una rapidità strabiliante, e con pari velocità riesce, nel migliore dei casi, a trasmettere attraverso il linguaggio una rappresentazione il più fedele possibile del pensiero all’interlocutore, in modo che perlomeno non ci siano malintesi e al meglio che il concetto sia pienamente compreso. La scelta delle parole adatte ad esprimere quel concetto (o pensiero che dir si voglia), è alla base di questo procedimento e questo è un meccanismo in cui entrano in funzione molti altri fattori che possono essere descritti nel loro insieme come la capacità di articolare il discorso attraverso le proprie conoscenze linguistiche e la pratica oratoria. È ben evidente che non tutte le persone, anche quelle con un elevato grado di educazione culturale e linguistica, siano in grado di esprimersi compiutamente a voce o per iscritto. A noi tutti è capitato di faticare per capire la dimostrazione di un teorema in un libro o di non capirla perfettamente seguendola dalla viva voce del docente. Inoltre, anche queste due espressioni verbali, scritta e orale, hanno caratteristiche espressive totalmente diverse data l’impossibilità di modulare il suono nella prima.



Questa piccola introduzione mi serve per spiegare il fatto che la povertà di linguaggio e la mancanza di articolazione denotano carenze intellettive perlomeno per quanto riguarda le capacità oratorie. Se poi, dietro queste carenze si celi una mente che riesce solamente a gestire a mala pena l’espressione linguistica oppure se questo handicap discenda da altri fattori che non inficiano le capacità intellettive dell’individuo, questo potrà dirlo solamente qualche test psicoattitudinale o psicoanalitico magari associato a qualche metodo fisico di determinazione dell’attività cerebrale. Quest’ultima possibilità sta infatti alla base delle iniziative tecnologiche tese ad interfacciare il cervello umano con strumenti cibernetici per incrementare le capacità intellettive dell’individuo anche normodotato o persino subnormale.
Tuttavia, finché non sorgerà l’alba del superuomo informatico e cibernetico, ce la dobbiamo vedere tra mortali comuni coi parametri di giudizio che il contenuto cranico di ciascuno riesce a metterci a disposizione.
L’altro fattore necessario per far intendere all’interlocutore il proprio pensiero risiede nella capacità di articolare il discorso dando conseguenza logica ai vari passaggi in modo da portare l’interlocutore a seguire il proprio percorso mentale attorno al ragionamento. La scelta delle parole; la loro sequenza nel contesto, le affermazioni circostanziate e i relativi aggettivi sono anche di fondamentale importanza. La padronanza linguistica è dunque il presupposto fondamentale per una comunicazione efficace, rapida e attinente alla realtà dei fatti. Sulla base di queste seppur generiche considerazioni, vorrei ora che ciascuno di noi provi a riconsiderare alcuni dei passaggi fondamentali di discorsi, trascrizioni e articoli, che abbiamo recentemente ascoltato o letto e che probabilmente segneranno cambiamenti radicali nelle sorti di una buona parte dell’umanità. Sto parlando evidentemente di tutto quanto ruota attorno al recente cambiamento al vertice della più antica democrazia occidentale e in particolare dello scambio tra il presidente, insieme col suo vice, di quella nazione, e il presidente di un’altra nazione fino a quel momento alleata della nazione dei primi due. Si è trattato di una riunione di enorme importanza in quanto avvenuta durante una situazione di belligeranza che si protrae da oltre tre anni con centinaia di migliaia di morti e milioni di feriti, profughi e relative immani distruzioni ed una conseguente divisione del mondo che sembra preludere a cambiamenti epocali. Situazione in cui sono corresponsabili, direttamente o indirettamente entrambe le nazioni suddette, oltre naturalmente alla nazione sul fronte opposto che ha avviato l’operazione militare che scatenò la guerra nel Febbraio del 2022.



A seguito di questi eventi, si ha ragione di temere per la sopravvivenza di Istituzioni nazionali e sovranazionali che hanno finora assicurato la coesistenza pacifica tra le nazioni che, nel secolo scorso, hanno dato prova della loro incapacità di convivenza civile e pacifica con due guerre mondiali e che finalmente si sono riconciliate da un’ottantina d’anni a questa parte, assicurando alle loro popolazioni il periodo di pace più lungo nella loro millenaria storia. Orbene, quel colloquio ha marcato un evidente tradimento dei principi e delle istituzioni che finora hanno retto un equilibrio, seppur precario, per tutti questi anni di pacifica convivenza.
Ora ho finito anch’io le parole. Chi ha la capacità di intendere l’idioma e le poverissime gergali espressioni linguistiche utilizzate da quel presidente e dal suo vice, si accomodi e provi a capire qual è il grado di comprensione semantica, storica, filosofica e umanitaria della situazione che avevano il compito di gestire a nome e per conto non solo delle loro stesse belle facce, ma di fronte all’umanità intera. Riguardo l’interlocutore che i due hanno assalito e difatti tradito, mancando persino all’elementare principio dell’ospitalità, principio rispettato e venerato in quella terra dalle tribù primitive che la abitavano prima che individui di questo stesso calibro e spessore culturale li annientassero, l’interlocutore, dicevo, non essendo padrone dello strumento linguistico soprattutto gergale e approssimativo col quale è stato aggredito, ha tutte le scusanti del caso.
Questa è la mia analisi dal punto di vista semantico e linguistico di un caso di “colloquio” che farà la storia. Sugli effetti pratici di questo scambio di parole che mi ha fatto ricordare quel famoso detto americano richiamato all’inizio, e di tutte le situazioni che preludevano questo esito, mi sono già ampiamente espresso negli ultimi due mesi e negli anni passati con una copiosa produzione alla quale rimando il lettore desideroso di capire il mio pensiero.