Transizione
ecologica e transizione digitale Dove
ci porterà il combinato disposto tra guerra dei dazi e riarmo in quella che
nella situazione internazionale appare la frontiera bellicista più prossima? Quanto
la prospettiva di guerra commerciale e di guerra “guerreggiata” inciderà sullo
sviluppo delle due grandi transizioni che risulterebbe necessario compiere per
approdare ad una idea di equilibrio nella crescita e nello sviluppo: la transizione
ecologica e quella digitale? Questo interrogativo vale di più in particolare
nel momento in cui enormi risorse e fattori fondamentali di know-how (penso all’utilizzo
di IA, al ritorno al nucleare ecc., ecc.) saranno destinati all’armamento. Domande
difficili e risposte ancor più problematiche mentre continuano a cadere le
bombe su tanti scenari a livello mondiale: un cader delle bombe che non si
arresta neppure di fronte a enormi tragedie naturali quale quella accaduta in
Birmania (Myanmar). All’interno di questo quadro complessivo la posizione dell’Italia
appare difficile anche rispetto agli altri paesi UE (Francia, Germania, Spagna)
soprattutto sotto l’aspetto del posizionamento tecnologico. Ci riferiamo alla
tecnologia necessaria per fronteggiare lo stato di cose in atto. Secondo i dati
dell’Epo (European Patent Office), cioè l’ufficio brevetti europeo, nei
principali settori di brevettazione tecnologica (informatica, macchinari
elettrici, comunicazione digitale, prodotti farmaceutici, chimica fine
organica, ecc.) il posizionamento dell’Italia appare nettamente inferiore al
livello medio europeo anche considerando i dati al netto di trasporti e
macchinari dove comunque non eccelle. I settori-chiave della transizione
ecologica e di quella digitale appaiono completamente trascurati sotto l’aspetto
dei tassi di crescita in termini di valore aggiunto (comprensivi di salari,
profitti e livelli di conoscenza incorporati). Nel settore della produzione di
macchinari industriali l’Italia è presente con pochi grandi player che
esprimono un impatto limitato sull’industria nazionale. A conferma di questa
tendenza l’EPO conferma come la Germania detenga il 60% dei brevetti europei,
la Francia il 6,9%, l’Olanda il 5,6% e l’Italia il 5,3%: questi dati indicano con
chiarezza dove si rivolge il ReArm inteso quale fattore di promozione della
riconversione industriale anche rispetto alla conclamata “guerra dei dazi”.
Una
promozione di riconversione industriale non soltanto semplicemente rivolta alle
vicende belliche in corso o futuribili sul terreno del Vecchio Continente. L’Italia
sta vivendo da molti anni un fenomeno di de specializzazione che influisce
negativamente sulla dinamica economica e presenta conseguenze dirette sul
posizionamento internazionale e sulle condizioni economiche interne
(stagnazione salariale, povertà). Così sarà difficile se non impossibile
affrontare il futuro e contribuire, eventualmente, a una risposta adeguata alla
situazione in corso da parte di un’Italia in declino e orientata quasi
esclusivamente verso la tecnologia militare (che include l'idea del ritorno al
nucleare). Servirebbe una proposta di radicale trasformazione della struttura
economica derivante dal lanciare una vera e propria sfida sistemica da
elaborare portando al centro l’antica domanda sul cosa produrre e sul
senso della crescita: soltanto così potrebbe scaturire una risposta europea
unitaria. Risposta europea per la quale però sembrano proprio mancare le
condizioni politiche e anche istituzionali. La sinistra avrebbe il dovere di
muoversi sul terreno che si è cercato fin qui di indicare promuovendo un’elaborazione
di dimensione sovranazionale: per adesso però sembrano prevalere incertezza e
confusione.