CIVIL SERVANT di Luigi Mazzella - ex
giudice Corte Costituzionale e scrittore
Neutralità e imparzialità,
nel linguaggio della diplomazia. Quando
la logica e la conoscenza del diritto sono applicate con il necessario e
doveroso rigore non appaionopossibili
scappatoie; e i tentativi di eluderle si dimostrano semplicemente espedienti
penosi. Ciò,
ovviamente, non accade più in Occidente dove gli irrazionalismi, che
costituiscono il substrato della sua “cultura”, condannano il raziocinio alla
latitanza. Per realizzare gli obiettivi di irrazionalità più aberranti e
ignominiosi è in atto una vera e propria Lotta contro il Diritto, come
dice il titolo di un libro di Teodoro Klitsche de la Grange. A condurla, sarebbe,
a mio giudizio, quell’esercito di civil servant che il Re Sole e il suo Ministro
Colbert misero secoli fa a disposizione di una classe politica che oggi è diventata,
come mai prima, scadente, ignorante e prepotente e al tempo stesso servile nei
confronti di chi detiene il potere. Personalmente ho già citato, in una nota
precedente, un esempio di “lotta” gaglioffa di tale tipo, ricordando il caso del
diritto di cronaca e dell’interpretazione data dagli impiegati pubblici, che
svolgono la funzione di giudici, dell’articolo
21 della Costituzione (quei magistrati hanno ignorato la distinzione del
vocabolario italiano tra “pensiero” e “opinione” per aizzare e fomentare la
rissa politica e annullare, in pratica, ogni tutela dell’onore e della
reputazione dei cittadini). Oggi, ritorno sull’argomento per raccontare il caso
dell’interpretazione data da altri impiegati statali, i Diplomatici europei
(soprattutto: francesi) dell’articolo 5 del Trattato sulla NATO, per favorire,
questa volta, addirittura la guerra tra le Nazioni.
In
base alle norme del Trattato Atlantico, così come interpretate dai diplomatici predetti,
i Paesi aderenti alla NATO non dovrebbero considerarsi in guerra contro la
Russia di Putin, pur avendo mandato e continuando ad inviare a Zelensky droni
non solo ricognitivi ma altamente distruttivi, navi da guerra, armi
sofisticate, carri armati e altri mezzi corazzati, cannoni, mitraglie e fucili,
aerei da combattimento,munizioni,
provviste militari e altro materiale bellico (direttamente o indirettamente),
consiglieri militari, o concedendo sostegni finanziari,supporti in materia di telecomunicazioni e
via dicendo. Interpretando correttamente la norma, si dovrebbe ritenere che i Paesi
dell’Unione Europea hanno deciso, di porsi, per loro libera scelta, come
cobelligeranti a fianco dell’Ucraina. E invece no! Utilizzando i “distinguo”
della diplomazia, abile nei cosiddetti “salti della quaglia”, essi sostengono che
non si sono resi responsabili di alcuna violazione dell’obbligo di neutralità,
compiuta, a giudizio di chi non ha il prosciutto sugli occhi, nel più palese ed
eclatante dispregio dell’articolo 5 del Trattato NATO. La risibile tesi è che
essi hanno compiuto una semplice
violazione dell’obbligo di imparzialità che non comporterebbe sul piano della
belligeranza gli stessi effetti. Con mezzucci legulei da “pagliette di pretura”,
per evitare ai loro Paesi le ritorsioni tipiche di un conflitto armato, le
feluche Occidentali avrebbero lanciato il fatidico grido di “eureka”: non è
stata violata la neutralità (peccato, usando il linguaggio della Chiesa, per così
dire “mortale”) ma si è infranta l’imparzialità (peccato semplicemente “veniale”).
Ora in che cosa si distingua la neutralità dall’imparzialità è difficile dire,
se non si ha sulla testa un cappello piumato. I due termini, dai vocabolari
della lingua italiana, sono considerati
perfetti sinonimi e basta avere anche solo un minimo di buon senso per capire
che chi arma la mano di uno dei due contendenti ne prende le parti e non è
certamente “imparziale”. Il rifiuto delle definizioni dei dizionari delle
lingue europee e la cultura scolastica dei vincitori di un concorso di primo
grado per neolaureati (spesso: male) in giurisprudenza fanno il “miracolo” di
trasformare la “guerra” in “pace”. Ciò
consente, nel caso che stiamo esaminando, a Paesi bellicosi di continuare a
violare il diritto internazionale che impone agli altri Paesi, in caso di guerra
tra due o più Stati di non prendere posizione in favore di nessuna delle parti
coinvolte nella controversia e di restare, quindi, “imparziali”, id est
“neutrali”. La sconfessione di un tale principio di identità terminologica ha
un ulteriore effetto magico: consente di perpetuare una guerra anche quando i
maggiori contendenti decidono di volerla finire.