Il piccolo e prezioso libro di Mariacristina Pianta (Villa
Belloni, Mimesis editore 2021) si struttura sul tema del ricordo e
della memoria, che lega l’autrice al suo passato ma che nello stesso tempo la
tiene in una dimensione sospesa (e non a caso l’ultima sezione ha per titolo Tempo
sospeso): “Ma tesse la memoria / una sottile trama / di azzurri ricami” (Colloqui);
“ma si smarrisce / la memoria” (Silenzio). Particolari sono i soggetti e
i modi e i tempi verbali: molto rara la prima persona singolare, prevalgono la
prima plurale, la forma impersonale o l’infinito, a sottolineare una dimensione
rarefatta e ambigua in cui l’io lirico si dissolve e lascia parlare gli
oggetti, la natura, anche se spesso sono lontani o vaghi: “Stupiti guardavamo /
diventare lunghe le ombre” (In cortile); “Qualche pausa nell’erba / alta
nel sentiero. / Tutto ormai sembra / lontano, anche il cielo” (Sul Terdoppio).
Il clima delicato e ovattato si riflette anche nelle brevi ma intense prose, di
fatto anch’esse liriche, in cui riemerge il ricordo di persone care, come i
genitori: “In questo difficile presente tra conti che non tornano, delusioni,
smarrimenti, mi pesa l’assoluto silenzio, mentre si consuma il tempo che posa.
Solo la mia voce avverto, ancora distante da te” (A mio padre). E dunque
l’autrice arriva a trattare il tema, tanto caro alla poesia del ‘900, del
silenzio della parola, dell’impossibilità di dire e della debolezza della
poesia di fronte alla voracità del mondo: “Il silenzio copre ogni cosa” (Paderno
D’Adda); “Soffoca il silenzio / le nostre voci sommesse” (Villa S.
Maurizio Erba). Eppure, seppur sommessa e riservata, seppur in un procedere
“lenti / senza più una meta” (Senza meta), la voce di Mariacristina
Pianta lascia un’orma profonda, un senso di nostalgia e mestizia, ma anche di
passione, quasi come le mani di Antonia Pozzi “troppo pesanti / per non aprire
piaghe, / troppo leggere / per lasciare un’impronta” (Sfiducia).