RIPARTIAMO DA MARX: OLTRE UN CONVEGNO di
Franco Astengo
“Ripartiamo
da Marx: il pensiero critico di Karl Marx come strumento per leggere le
contraddizioni del nostro tempo e orientare l’azione del presente”. Questo
l’impegnativo titolo di un convegno che la FLAI - CGIL e la fondazione Metes
hanno organizzato per lunedì 30 giugno presso la storica sede del centro
Congresso di via dei Frentani a Roma.Un convegno sul
pensiero marxiano che segue quello svolto il 26 gennaio 2024 organizzato dall’associazione
“Futura Umanità” e dalla Sapienza, a dimostrazione dell’esistenza e dalla
persistenza di un filone di studi che oggi la CGIL tenta di “mettere a terra”
in una ipotesi di studio più direttamente (se può essere concesso il termine “politico”).Attraverso
il breve testo che seguirà nello sviluppo di questa nota non si ha certo la
pretesa di fornire un contributo ad un dibattito così impegnativo ma più
semplicemente di sollevare - come si diceva un tempo - delle “questioni” o
ancor meglio di sollevare quella che un tempo poteva essere definita la “questione”
(senza alcuna pretesa di fornire in anticipo risposte più o meno definitorie). La domanda può essere formulata più o meno così: “Quale può essere
in tempi di globalizzazione e di formidabile innovazione tecnologica
l’espressione teorica più coerente proprio del concetto di “lotta di classe”? Si è così pensato di ripercorrere su questo terreno il cammino dei
“classici”: non tanto per rinnovare un’idea di attualità di questi concetti
(che pure non apparirebbe forzata) ma per proporre un effettivo termine di
paragone con ciò che oggi accade e consentire, partendo appunto dai
fondamentali, un’indispensabile rielaborazione teorica da parte di chi intende
promuovere una sinistra del futuro. Per “classe” s’intende,
prima di tutto, un raggruppamento umano omogeneo dal punto di vista sociale e
degli interessi, la cui differenziazione non è dovuta a fattori naturali ma a
elementi sociali. L’uso del significato di “classe sociale” è senza dubbio
precedente a quello di Marx. Si trova, infatti, il termine
“classe” nell’anatomia della società civile rappresentata dalla scuola storica
scozzese (Ferguson, Millar), in Adamo Smith e nella Fenomenologia dello
Spirito di Hegel.
Ma è Karl Marx che introduce il concetto di “classe” come quello
determinante ai fini di stabilire come siano esclusivamente i rapporti sociali
di produzione quelli che costituiscono la base di ogni formazione sociale. La “classe” è per Marx definita dalla divisione del lavoro e dalla
proprietà dei mezzi di produzione: è questo il primo punto da tenere ancora a
mente adesso quando si cerca di elaborare una teoria della complessità delle
contraddizioni sociali, sulla base della quale tentare di estendere surrettiziamente
una dimensione politica che, invece, può essere realizzata soltanto attraverso
espressione di alleanza tra soggettività “diverse”. Nei rapporti sociali di produzione capitalistici, la tendenza è a
una polarizzazione delle due grandi classi: la borghesia proprietaria dei mezzi
di produzione e la classe operaia, proprietaria soltanto della propria forza
lavoro, della capacità di valorizzare, nel processo di produzione, il capitale
impiegato e scambiato con il salario.
È evidente come i processi di opacizzazione di questo rapporto
diretto tra borghesia e classe operaia verificatisi nel tempo attraverso un
processo di mutamento nel rapporto tra struttura e sovrastruttura (pensiamo al
ruolo dei mezzi di comunicazione di massa nella capacità di modificazione
dell’immaginario collettivo) abbiano portato a una sorta di “smarrimento” di
questo fondamentale concetto provocando quello che Gramsci ha definito
“rivoluzione passiva”. Per fronteggiare questa situazione non c’è altra strada, ancora
adesso, che quella di un recupero di “organicità” degli intellettuali alla
“classe” e di espressione di un’autonomia del politico in grado di costruire
una élite (intesa nel senso collettivo del partito politico) capace di spostare
il conflitto proprio sul terreno politico contendendo l’egemonia
dell’avversario nel campo aperto della sovrastruttura (un punto strettamente
collegato, per restare all’identità del comunismo italiano alla “doppiezza
togliattiana” come ricorda anche Beppe Vacca nel suo recentissimo Astratti
furori e senso della storia uscito per Viella nel 2025).
L’indispensabile ritorno alla rappresentazione di un modello
dicotomico indica la necessità di comportare una dimensione politica, oltre che
quella economica e sociale rappresentando il conflitto quale tendenziale
antagonismo tra le classi. Per affrontare il confronto politico non è insomma sufficiente la
mera esistenza e la successiva rappresentanza degli interessi di quella che
Marx chiama “classe in sé”: occorre una chiara consapevolezza di sé e di tali interessi
e della loro portata generale. È proprio questo, della portata generale degli interessi della
“classe”, il punto che contesta oggettivamente Max Weber nel momento in cui sul
piano teorico ne sposta la collocazione dalla proprietà dei rapporti di
produzione al mercato, e indicando lo sviluppo di una particolare nozione di
“classe” legata all’obiettivo del possesso del monopolio delle funzioni
politiche e dell’esercizio del potere. Si verifica così, secondo Weber, il fenomeno (del tutto attuale)
della formazione di una “classe politica” posta al di fuori dell’espressione
dicotomica individuata da Marx, che presiede ai diversi livelli di governo e
delle rappresentanze parlamentari, sia di maggioranza, sia di minoranza (quella
“classe politica” che si esprime attraverso il “partito di cartello” analizzato
da Katz e Mair nel 1995). Appare fin troppo evidente come, pur nell’espressione di queste
brevissime note, come la ricostruzione di una sinistra (compresa quella
socialdemocratica di Bernstein e della seconda internazionale) non possa
passare che da una ripresa piena del concetto marxiano di “classe” al quale
collegare gli elementi fondamentali dell’analisi gramsciana del rapporto tra
struttura e sovrastruttura ribaltando così, attraverso l’espressione politica
della conflittualità sociale, i termini della “rivoluzione passiva” che stiamo
subendo. L’organicità degli intellettuali e l’esercizio dell’autonomia del
politico debbono essere indirizzati in questo senso: ma ciò non potrà essere
possibile senza la ripresa piena dell’esercizio dell’azione politica in forma
collettiva, attraverso la funzione “storica” del partito politico. Sono stati toccati “tasti dolenti” in una situazione della
sinistra italiana appare così difficile riportare il dibattito a questi
elementi: purtuttavia abbiamo il dovere di provarci e il convegno organizzato
da FLAI-CGIL e “Metes” può apparire come una meritoria tappa di avvicinamento.