La cronaca
d’Oltreoceano e del Vicino Oriente fa apparire almeno possibile il
coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nella guerra contro l’Iran: un
coinvolgimento che costituirebbe il contrario di quanto affermato per anni da
Donald Trump riguardo il ruolo di Washington nella regione. Mentre tutto il
personale militare statunitense di stanza nell’area del golfo si trova in stato
di massima allerta, il blocco di potere trumpiano sta facendo i conti condefezioni
illustri, ma soprattutto con quella che sembra la mancanza di una vera visione
politica degli Stati Uniti e del loro ruolo globale. È improbabile che Benjamin
Netanyahu abbia imboccato la strada della guerra aperta contro Teheran senza
essere certo di un rapido intervento degli Stati Uniti. Ogni giorno che passa i
margini dell’autonomia israeliana si riducono, erodendo soprattutto la sua
capacità difensiva. I calcoli di Benjamin Netanyahu potrebbero quindi anche
rivelarsi errati. Scommettendo sulla sollevazione dei curdi iraniani, dei
nazionalisti del Balocistan, di una parte della popolazione e sull’opposizione
in esilio. Israele sta compiendo ogni sforzo per distruggere l’Iran:
distruggerlo come entità statuale, non semplicemente riducendo la sua capacità
nucleare o forzando un ipotetico cambio di regime. Tutti gli attori in campo
sanno che Israele non potrebbe resistere a lungo ad una tale pressione senza il
sostegno di Washington, Benjamin Netanyahu in primis. Israele non è riuscito a
sconfiggere la resistenza palestinese a Gaza ed in Cisgiordania, nonostante
oltre un anno e mezzo di guerra di annientamento, né quella yemenita, Pur
infliggendo duri colpi all’Iran, Israele ha confermato di non poter sostenere
uno scontro aperto qualora questo dovesse dilatarsi nel tempo. Sei giorni di
attacchi missilistici, sono stati sufficienti a palesarlo. Il Pakistan,
peraltro, ha già dichiarato la propria disponibilità a fornire armi nucleari
all’Iran qualora fosse necessario.
La proposta russa, messa sul tavolo da
Vladimir Putin al forum economico di San Pietroburgo, costituisce per il
momento l’unica possibile soluzione politica allo scontro tra Tel Aviv e
Teheran: in questa ipotesi, l’eventuale ruolo di Mosca garantirebbe la
sicurezza nucleare di entrambi i paesi. L’atteggiamento russo potrebbe
radicalmente cambiare qualora una possibile mediazione tra le parti non dovesse
funzionare. Un attacco all’Iran può essere interpretato come un attacco al
ruolo russo e cinese nel Vicino oriente e nell’Asia Centrale. L’Iran è tra i
principali fornitori energetici di Pechino, insieme al confinante Turkmenistan.
È improbabile, dunque, che Mosca e Pechino accettino passivamente un eventuale
crollo di Teheran. Al netto di alcune difficoltà, sia Mosca che Pechino
potrebbero approfittare di un eventuale attacco statunitense per aumentare la
propria pressione militare in Ucraina e su Taiwan. Ma le conseguenze negative
per gli Stati Uniti e per i paesi europei potrebbero essere molto più ampie. L’Iran
potrebbe reagire attaccando direttamente le basi e le portaerei statunitensi nell’area
del Golfo, oltre a tentare di un blocco sullo stretto di Hormuz e sul quello di
Bab el-Mandeb. Uno scontro diretto tra Stati Uniti ed Iran avrebbe conseguenze
potenzialmente devastanti per l’economia globale. Oltre ai rischi di carattere
militare, il prezzo del petrolio potrebbe raggiungere i suoi massimi storici. A
questo proposito, vale la pena ricordare come la rivoluzione iraniana del 1979
abbia innescato la seconda crisi petrolifera più grave dopo quella del 1973.
Una nuova fase, ancora più pericolosa, della guerra mondiale combattuta a
pezzi.