In Memoria di Graziano Fiore e di suo padre
Tommaso. Èdel 19 Giugno 1943 la lettera
che l’umanista e militante antifascista pugliese Tommaso Fiore, allora detenuto
politico, dedica a suo figlio Graziano, dal carcere di Bari, di cui vorrei sottolineare
il tono esortativo di papà Tommaso: “Se hai voglia di D’annunzio, leggi tu
(non tua sorella) le Novelle della Pescara, L’Innocente, La Figlia di Iorio, Le
Laudi. Devi nutrirti di Parini, di Foscolo, di Carducci, spiriti eroici
e altamente educatori, degni di Omero”. Una lettera toccante le cui parole consolidano
lo spirito e le instancabili energie intellettuali con cui il prof. Fiore si è
sempre battuto per affrontare le questioni agrarie e di repressione fascista,
le politiche del Mezzogiorno e gli ideali di libertà, nonostante rinchiuso in “stretta
prigion che tra sé racchiude nobil pensier a giusta vita intento”, nei
versi di Cruda prigione per la penna dell’animo delicato dell’allora
diciottenne Graziano. Qualche sera fa, in occasione del ciclo di incontri dal
titolo “Eco-visioni”, voluti dalla sezione di Corato, mio paese di residenza,
dell’associazione Legambiente, mi è capitata fra le mani, come soffio di vita dal
cielo, la raccolta inedita di poesie composte da Graziano Fiore, curata dallo
scrittore e drammaturgo Paolo Comentale, promotore del teatro Casa di
Pulcinella nel capoluogo pugliese, di cui è alla direzione artistica. Versi
apparentemente acerbi eppur gentili quelli di Graziano Fiore, preziosamente
custoditi nell’archivio storico dell’Istituto Pugliese per la Storia
dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea e riportati alla memoria storica
collettiva dopo più di ottant’anni per volere di sua sorella maggiore Franca.
Il periodo ’42-’43 è un anno nero per l’Italia, succube dello spietato regime
repressivo mussoliniano a cui lo stesso Graziano non viene risparmiato: il 7
Aprile del ’42, nel giorno del Lunedì dell’Angelo, l’OVRA, la polizia del
regime fascista, dimentica del significato cristiano pasquale della pace,
cattura Graziano e lo detiene in carcere per venti giorni, ma questo è solo
l’epilogo di una tragedia che si consumerà a fine luglio. La detenzione nel
carcere minorile di Bari è una esperienza che segna e plasma profondamente
l’animo del ragazzo, i cui versi, in seguito, avranno l’eco amara del dolore e
della speranza continuamente minata, interrogando la natura “matrigna”, di memoria
leopardiana, origine del suo infausto destino: leggiamo, così, nell’incipit
della poesia “Natura Spietata”, sotto forma di quesito: “perché ridi
natura al mio profondo duolo?”, domanda a cui il giovane poeta
altamuranoformula una risposta del tutto negativa rafforzata dall’avverbio
di negazione “no”, nei versi finali : “No, tu vuoi far soffrire, soffrire
d’immani dolori, recidere il fior della mia vita e poi lento lasciarlo
appassire”.Secondo un climax ascendente, l’animo di Fiore si fa più
cupo e buio nella lirica composta il 12 Luglio del ’43 dal titolo “Bufera”,
i cui primi versi si tingono letteralmente di nero, colore delle tenebre,
simbolo di lutto: “Il cielo è rannuvolato. Nere e dense nubi d’un color
tenebroso in quest’animo nero si rispecchiano e annunziano ire frementi di
antiche forze arcane”. Nell’impianto centrale del testo si rafforza
l’idea del poeta a proposito della natura quale forza distruttiva: “Poi la
natura infierita volgerà la sua forza, l’immane forza della distruzione”,
sino a raggiungere l’apice del nichilismo leopardiano nella chiusa finale:
“In questa lunga lotta, qui è la vita, qui il nulla”.
Una domanda però è
lecita: siamo certi che il cromatismo nero che pervade le poesie di Fiore, si
pensi ad esempio alle oscure vie che solo il riverbero della luna è in
grado di illuminare in “Luna” o i battiti neri delle rondini sul
calar del sole, preannuncio della sera con le sue infinitetristezze in
“Tramonto”, non sia invece il frutto, maturo, incarnatosi nel pensiero
di un diciottenne, testimone di una politica socio-economica repressiva,
violenta, ingiusta e cieca dei valori di dignità e libertà degli individui da
parte del regime fascista improntato alla guerra e all’odio? Graziano Fiore è
un giovane studioso, ha talento, ha una delicata sensibilità per le questioni
sociali, ereditata dall’intelletto eroico e dalla militanza antifascista di papà
Tommaso in detenzione. Certamente barlumi di speranza affiorano da alcune sue
liriche così come leggiamo in “Risveglio” sempre di impronta
leopardiana: “Solitudine cerch’io fra questi scogli che natura abbellisce
coi primi raggi, quant’io solo al suo risveglio m’annullo in questo immenso”
o in “Purezza” in cui la Natura ha anche un lato dolce e benigno con il
suo mare increspato “in cui le onde raggiungono pace fra le strette
insenature”.In questa altalena
di sentimenti e colori, fra il nero ed il candore, fra la tristezza e la
speranza, gioca un ruolo cruciale, nella formazione di Fiore, il clima bellicoso
instaurato dal “ginger” del generale Roatta, impegnato nelle occupazioni
balcaniche. Con la sua “Circolare 3C” la
guerriglia partigiana da parte dei ribelli croati e slavi è percepita come seria
minaccia tanto che Roatta sancisce al Punto VI della direttiva: “Alle offese
dell’avversario si deve reagire prontamente e nella forma più decisa e
massiccia possibile; il trattamento ai ribelli non deve essere sintetizzato
nella formula dente per dente, ma testa per dente!”; mentre al punto VII,
sempre della stessa circolare si legge: “Le operazioni contro i ribelli sono
vere e proprie operazioni belliche”. Pochi giorni dopo la deposizione di
Mussolini del 25 luglio, il 28 luglio del ’43, molti partigiani, antifascisti,
studenti e docenti manifestavano pacificamente chiedendo la scarcerazione dei
detenuti politici, tra cui l’intellettuale militante Tommaso Fiore. Graziano
Fiore, suo figlio, il poeta gentile, perdeva la vita, assieme ad altri diciannove
manifestanti per mano e spirito di odio della Polizia del regime, a cui si
aggiungono, degni di menzione, circa trentotto feriti. La storia, in questo
modo, aggiungeva una ulteriore pagina di vergogna e atrocità con l’eccidio di
Bari in via dell’Arca. Affidare alla memoria storica collettiva il ricordo di
un animo sì delicato e fragile ma speranzoso di una riscossa, come dimostra il
suo manoscritto politico del 22 luglio dello stesso anno, non solo è doveroso
per informare e formare le coscienze delle presenti e future generazioni, ma è
un gesto di rispetto per coloro che “come la bianca rondine che vola verso
l’eternità, la speranza del giusto farà il suo nido nelle fauci inerti del destino”.
[“Nel primo Centenario della
nascita di Vittore Hugo”, Ode, G. D’Annunzio]