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domenica 20 luglio 2025

SCHÜLER
di Anna Rutigliano


Else Lasker Schuler
 

Nello scorrere lento della pellicola francese di Berlin-Jerusalem, del 1989, diretta dal regista Gitai, l’occhio diviene complice, nell’immediato, di quel connubio poetico-politico che si instaurò fra due grandi donne del primo Novecento, entrambe frequentatrici del Cafè berlinese “Des Westens”, fulcro di incontro delle avanguardie artistiche a cavallo fra Ottocento ed inizi del Ventesimo secolo: da un lato, la poetessa bohémienne tedesca Else Lasker Schüler, dall’altro, l’attivista e sionista russa Tania, intenta a dare vita al primo collettivo agricolo, il Kibbutz, in terra promessa; entrambe accomunate dall’appartenenza alla cultura ebraica e animate dal sogno ecumenico di pacifica convivenza fra cristiani, arabi ed ebrei,  quello stesso sogno esperantista che un ventennio prima circa, il dottor Zamenhof si era auspicato, sedendosi a tavolino, per dare alla luce la lingua della pace universale, appunto l’Esperanto. Gli entusiasmi delle due intellettuali, tuttavia, presto si sarebbero scontrati con il rigido e violento regime nazista a Berlino e con il disaccordo, da parte dei sionisti, nei confronti dei popoli arabi e palestinesi intenti a contendersi la terra di Gerusalemme. Di certo la stravaganza eccentrica della Schüler non passò inosservata agli avventori ed intellettuali del cafè berlinese, tanto quanto il suo profondo lirismo poetico e visionario, così apprezzato dall’autore de La montagna incantata, Thomas Mann, il quale la definì “la più grande poetessa lirica che la Germania avesse mai avuto”.
Intrisa di simbolismo e metafore, la poesia del “Principe Jussuf”, appellativo a cui la Schüler spesso ricorreva per autografarsi, è un perpetuo desiderio di amore, un costante movimento verso il proprio io più intimo e libero, scevro da vincoli politico-sociali. Weltflucht (Fuga dal mondo), appartenente alla raccolta Hebräische Balladen und andere Gedichte (Ballate ebraiche e altre poesie), e di cui vi propongo traduzione, rappresenta, a mio avviso, la massima espressione poetica di un audace e spirituale desiderio di libertà interiore, a tratti dai toni adirati, quale riconciliazione con la parte più profonda di sé, per fuggire da un mondo crudele, spietato, oppressivo, quello nazista, così come di tutti quei regimi totalitaristi, per difendersi dagli inganni di una società alla mercè della decadenza intellettuale che le aveva persino privata della propria cittadinanza costringendola all’esilio.



 
Voglio nel mio Infinito far ritorno,
già fiorisce la stagione autunnale
della mia anima,
forse, è troppo tardi per ritornare!
O, io muoio sotto di voi!
Voi mi soffocate.
Vorrei tirare fili attorno a me
per porre fine al disordine
ingannandovi
confondendovi
In fuga verso me.