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sabato 20 settembre 2025

SCIOPERO: CONFLITTO E NON PROTESTA
di Franco Astengo


 
Il punto è quello della prospettiva dello sciopero generale
 
Dobbiamo sentirci orgogliosi dell’iniziativa di sciopero e manifestazione indetta dalla CGIL ieri, venerdì 19 settembre, sul tema della tragedia di Gaza.
Egualmente sarà necessario dichiararci orgogliosi dell’analogo appuntamento che i sindacati di base hanno costruito per lunedì 22 settembre: nella diversità “storica” delle matrici sindacali, delle modalità e degli obiettivi si dimostra comunque il permanere di una grande sensibilità del mondo del lavoro intorno alle ragioni della pace, della giustizia sociale, dell'internazionalismo. Sensibilità va sottolineata con grande forza auspicando come già in oltre occasioni nella storia si realizzi anche una sovrapposizione di presenza e partecipazione nelle diverse manifestazioni. Il quadro complessivo della situazione internazionale ci fa presagire (con facilità) che saranno necessarie ancora più intense manifestazioni di lotta fino ad arrivare ad uno sciopero generale unitario per la pace (non sviluppiamo in questa sede analogie con il 1914 che pure sono state richiamate).



Il tema della pace e del rifiuto della sopraffazione dei popoli deve essere l'elemento agente di uno sciopero generale (senza cedere ad alcuna tentazione soreliana) deve essere richiamato come forte espressione di lotta che si collochi al centro di una situazione dalla quale stanno già generando elementi non secondari di conflittualità. Nella sostanza ci troviamo in una situazione nella quale oltre al crescere di una tensione militarista, alla sostanziale indifferenza al genocidio del popolo palestinese. al trattamento dei migranti si registrano aumenti delle diseguaglianze e delle difficoltà economico-sociali per larghi strati della popolazione e di consolidamento di un regime che punta a distruggere la rappresentanza politica d’opposizione riducendo drasticamente gli spazi di esercizio democratico.
Lo sciopero generale assumerebbe anche un valore rispetto alla pressante tendenza di ulteriore limitazione della possibilità di esercizio di questo strumento democratico di dimostrazione di dissenso e protesta.
L'attuale governo non si è posto semplicemente sulla scia di provvedimenti limitativi del diritto di sciopero che possiamo far risalire all’ormai lontano 1990 (legge 146/90) e successivamente a diversi altri provvedimenti dal chiaro impianto repressivo: l’attuale governo ha esercitato una compressione tecnologica del diritto di sciopero e del conflitto sociale e politico in generale: il baricentro si è spostato su delibere, ordinanze, carte bollate più che su tavoli e mediazioni traducendo la controversia sociale in un tema d’ordine pubblico (avendo quale esempio il modello democristiano degli anni ’50: quello di Modena, Melissa, Montescaglioso, Reggio Emilia) e di comunicazione.
Uno sciopero generale unitario sul tema della pace e del rifiuto della sopraffazione dei popoli servirebbe prima di tutto a far emergere una potenziale qualità di nuove fratture sociali sulle quali può innestarsi una dinamica virtuosa di conflitto che se collegata a un’adeguata iniziativa politica potrebbe produrre una crescita significativa dei livelli di conflittualità sociale e non di semplice protesta.