SCIOPERO: CONFLITTO E
NON PROTESTA di Franco Astengo
Il punto è quello
della prospettiva dello sciopero generale Dobbiamo sentirci orgogliosi dell’iniziativa di sciopero e
manifestazione indetta dalla CGIL ieri, venerdì 19 settembre, sul tema della
tragedia di Gaza. Egualmente sarà
necessario dichiararci orgogliosi dell’analogo appuntamento che i sindacati di
base hanno costruito per lunedì 22 settembre: nella diversità “storica” delle
matrici sindacali, delle modalità e degli obiettivi si dimostra comunque il
permanere di una grande sensibilità del mondo del lavoro intorno alle ragioni
della pace, della giustizia sociale, dell'internazionalismo. Sensibilità va
sottolineata con grande forza auspicando come già in oltre occasioni nella
storia si realizzi anche una sovrapposizione di presenza e partecipazione nelle
diverse manifestazioni.Il quadro complessivo
della situazione internazionale ci fa presagire (con facilità) che saranno
necessarie ancora più intense manifestazioni di lotta fino ad arrivare ad uno
sciopero generale unitario per la pace (non sviluppiamo in questa sede analogie
con il 1914 che pure sono state richiamate).
Il tema della pace e
del rifiuto della sopraffazione dei popoli deve essere l'elemento agente di uno
sciopero generale (senza cedere ad alcuna tentazione soreliana) deve essere
richiamato come forte espressione di lotta che si collochi al centro di una
situazione dalla quale stanno già generando elementi non secondari di conflittualità.
Nella sostanza ci troviamo in una situazione nella quale oltre al crescere di
una tensione militarista, alla sostanziale indifferenza al genocidio del popolo
palestinese. al trattamento dei migranti si registrano aumenti delle
diseguaglianze e delle difficoltà economico-sociali per larghi strati della
popolazione e di consolidamento di un regime che punta a distruggere la
rappresentanza politica d’opposizione riducendo drasticamente gli spazi di
esercizio democratico. Lo sciopero generale
assumerebbe anche un valore rispetto alla pressante tendenza di ulteriore
limitazione della possibilità di esercizio di questo strumento democratico di
dimostrazione di dissenso e protesta. L'attuale governo non
si è posto semplicemente sulla scia di provvedimenti limitativi del diritto di
sciopero che possiamo far risalire all’ormai lontano 1990 (legge 146/90) e
successivamente a diversi altri provvedimenti dal chiaro impianto repressivo: l’attuale
governo ha esercitato una compressione tecnologica del diritto di sciopero e
del conflitto sociale e politico in generale: il baricentro si è spostato su
delibere, ordinanze, carte bollate più che su tavoli e mediazioni traducendo la
controversia sociale in un tema d’ordine pubblico (avendo quale esempio il modello
democristiano degli anni ’50: quello di Modena, Melissa, Montescaglioso, Reggio
Emilia) e di comunicazione. Uno sciopero generale
unitario sul tema della pace e del rifiuto della sopraffazione dei popoli
servirebbe prima di tutto a far emergere una potenziale qualità di nuove
fratture sociali sulle quali può innestarsi una dinamica virtuosa di conflitto
che se collegata a un’adeguata iniziativa politica potrebbe produrre una
crescita significativa dei livelli di conflittualità sociale e non di semplice
protesta.