NON BASTA LA “POLITICA
DEI DUE TEMPI” di Franco Astengo
Ieri 9
ottobre 2025 il 'Manifesto' ha ospitato un importante articolo di
Gustavo Piga che compare sotto il titolo (assolutamente indicativo) di "L'attimo
fuggente dell'economia, lontano da Keynes e dall'Utopia". Un articolo dove si affronta il
tema della staticità dei modelli nell'insegnamento dell'economia e si utilizza
l'argomento per tracciare una linea di prospettiva per il futuro che in questa
sede ci permettiamo di riassumere utilizzando i titoletti di presentazione
usati redazionalmente: "Nulla è mutato nella struttura dominante della
formazione economica nonostante la crisi della democrazia, l'arrivo della IA,
la crescita prorompente cinese (e indiana n.d.r) e la ripresa dei conflitti.
Non è più rimandabile per le future generazioni insegnare come rimettere la
mano pubblica al centro della politica economica e poi agire per cambiare il
modello di riferimento". Interloquire direttamente con
questo testo appare subito come la migliore occasione per rilanciare la
necessità immediata di una proposta di mutamento paradigmatico nell'indicazione
del modello di sviluppo evitando la "politica dei due tempi". Per
dirla parafrasando il testo di Piga: si tratta di riunificare in un progetto
politico compiuto (teorico, programmatico e anche organizzativo financo elettorale)
i due termini del come rimettere al centro la mano pubblica e il cambiamento
del modello di riferimento. Mi scuso per la ripetitività e la
riproposizione di una ipotesi personale ma è proprio questo il terreno
individuato dall'ipotesi del "socialismo della finitudine" che qui si
tenta nuovamente di riproporre partendo anche da un'idea di senso del limite
ben diversa da quella della "decrescita felice". Come sostiene anche Gustavo Piga
Sembrano tutti (o quasi) convinti che il tempo scorra in un eterno presente
dove si cerca di festeggiare per allontanare l'angoscia: quella che stiamo
vivendo però è una crisi diversa dove la connessione tecnocrazia/guerra appare
davvero come l'iceberg su cui l'umanità balla la sua fine. È svanito il rimando
escatologico, la previsione del futuro e il richiamo al passato che potrebbe
ancora formare un ponte. La politica sembra ridotta al
"problem solving" e l'improvvisazione si camuffa da pragmatismo.
La sinistra ha bisogno di
acquisire coscienza di questo stato di cose e di imporsi fuori dalla pigrizia
per cambiare paradigma. È richiesto un tale sforzo di rielaborazione cui nessuna
generazione è mai stata chiamata, a partire dalla prima rivoluzione industriale
e dal sorgere del capitalismo e dall’organizzarsi della classe operaia nei
sindacati e nei partiti di massa. È questo, della presa d’atto dell’avvenuto
mutamento di paradigma, il senso di una proposta d’analisi che mi sono permesso
di definire come del “socialismo della finitudine”.“Socialismo della
finitudine” per ripartire dall’idea dell’impossibilità, rispetto a quello che
abbiamo pensato per un lungo periodo di tempo,di procedere sulla linea dello
sviluppo infinito inteso quale motore della storia inesorabilmente lanciato
verso “le magnifiche sorti e progressive”.Il primo punto di
programma così teoricamente impostato dovrebbe allora essere quello
rappresentato dalla progettazione e da una programmazione di un gigantesco
spostamento di risorse tale da modificare profondamente il meccanismo di
accumulazione dominante. Oggi il ritorno della guerra come prospettiva globale,
il riferimento a innovazioni tecnologiche in grado di mutare il quadro di
riferimento sociale, l'emergere di tensioni "dittatoriali"
sconvolgono l’assetto consolidato in un momento in cui si stava attraversando
una forte difficoltà per quell’accelerazione nei meccanismi di scambio che
abbiamo definito come “globalizzazione”.
Si è verificato l’ingresso nel novero delle grandi potenze di
nuovi attori politici portatori di diversi sistemi di governo della politica e
dell’economia, a partire dalla Cina e guardando anche alla spuria aggregazione
dei BRICS in tempi in cui nel post-globalizzazione paiono emergere prospettive
di consolidamento in blocchi dell'equilibrio mondiale. La coscienza della propria appartenenza e la volontà
politica di determinare il cambiamento rimangono fattori insuperabili
e necessari come motore di qualsivoglia iniziativa della trasformazione dello
stato presente delle cose. Va disegnato l'orizzonte di un “Socialismo della
finitudine” inteso come valore
universale esprimendo l’intenzione di ripartire dall’idea del
dover ripensare la teoria della linea dello sviluppo infinito inteso quale
motore di una storia inesorabilmente lanciata verso “le magnifiche
sorti e progressive”. Socialismo della finitudine” come idea che, nella
sua dimensione teorica, riesca a comprendere quanto di “senso del limite” sia
necessario acquisire proprio al fine di realizzare quel mutamento sociale posto
nel senso del passaggio dall’individualismo competitivo fin qui egemone
nella post-modernità verso nuove forme di soggettività
collettiva ponendosi l'obiettivo di riuscire a proporre un mutamento di
quell'offerta politica che oggi appare così debole e confusa.