Almeno lasciami chiudere gli occhi. ASan
Paolo del Brasile il giorno nasce già stanco. Tra le lamiere e i fili stesi
come ragnatele, il sole si fa largo con fatica, impigliandosi nelle tettoie di zinco,
nei vetri rotti, nei panni colorati che sventolano da un balcone improvvisato. L’aria
sa di polvere e di zucchero, di benzina e di frutta matura. Nelle favelas, la fame non è un
dolore, è un’abitudine. Si muove lenta, come un’ombra che conosce ogni passo,
ogni respiro. Due ragazzi scendono per le stradine di terra battuta. Sono
scalzi, le ginocchia sbucciate, gli occhi grandi come cieli. Portano dentro la
leggerezza dei sogni, quella che si ha solo prima di sapere quanto costano. Ridono
tra loro, di una risata che sembra una corsa. Hanno poco - o forse nulla - ma
in quel poco ci sta tutto: un pallone sgonfio, un frammento di specchio, una
canzone imparata per strada. Scendono fino al mercato, dove la città cambia
volto: le bancarelle si susseguono come un arcobaleno di frutti, odori, voci. Le
donne vendono mango e papaya, i bambini portano cassette, gli uomini gridano i
prezzi con la voce roca del mattino. Tutto è vita, anche nella povertà che
stringe. Uno dei ragazzi si ferma. Sul
banco, in mezzo a montagne di banane e cocchi spaccati, c’è lei: un’anguria
perfetta, verde e lucida come un pianeta nuovo. La guarda in silenzio. Ne segue
il riflesso lucente, la curva dolce, l’immaginazione del rosso dentro. Pensa al
gusto, alla freschezza dell’acqua che si libera quando la mordi, alla polpa che
si scioglie tra i denti e scende in rivoli lucidi lungo le labbra. È un sogno
semplice, ma nei sogni semplici si nasconde la salvezza. L’altro lo osserva, e
sorride.
Francesca Mezzadri
«Quanto costa un’anguria?» chiede
piano, come se fosse una preghiera. Il venditore non risponde. Intorno, la folla si muove, un
formicaio di passi e gesti. La vita continua, sempre. Ma a volte basta un
attimo, un niente, per farla tremare. Un fruscio. Un gesto appena accennato. Un attimo in cui il desiderio
vince sulla paura. Le mani dei ragazzi si tendono - forse per afferrare, forse solo per toccare - e l’aria si fa densa, sospesa,
come prima di un temporale. Un urlo, poi. Uno solo. “Al ladro!” Tutto si ferma. Il
mercato, le voci, il sole stesso sembra trattenere il fiato. La folla si apre come acqua
tagliata da una pietra. Qualcuno corre, qualcuno osserva, qualcuno tace. A
terra, lo spacco rosso dell’anguria: la polpa si è sparsa sulla polvere, il
succo scivola lento tra i sassi, si mescola al fango, al sudore, al caldo. È
solo frutto, ma sembra sangue. È solo estate, ma sa di fine. Un ragazzo resta a terra,
immobile. L’altro si inginocchia accanto, le mani tremano come foglie di palma
al vento. Guarda il viso del suo amico, ancora tiepido di sole, ancora pieno di
stupore. C’è silenzio, ora. Un silenzio
che pesa come il cielo intero. Piano, senza parlare, tende la
mano. Le dita sfiorano le palpebre, lentamente. «Almeno lasciatemi chiudergli gli
occhi» mormora, quasi a se stesso, quasi a Dio. La folla resta ferma. Nessuno si
muove, nessuno sa cosa dire. Un bambino, accanto al banco, guarda la scena e
chiede ancora, con voce incredula: «Quanto costa un’anguria?» Nessuno risponde.