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domenica 26 ottobre 2025

RACCONTI
di Francesca Mezzadri


Francesca Mezzadri

Almeno lasciami chiudere gli occhi.  
 
A San Paolo del Brasile il giorno nasce già stanco. Tra le lamiere e i fili stesi come ragnatele, il sole si fa largo con fatica, impigliandosi nelle tettoie di zinco, nei vetri rotti, nei panni colorati che sventolano da un balcone improvvisato. L’aria sa di polvere e di zucchero, di benzina e di frutta matura.
Nelle favelas, la fame non è un dolore, è un’abitudine. Si muove lenta, come un’ombra che conosce ogni passo, ogni respiro. Due ragazzi scendono per le stradine di terra battuta. Sono scalzi, le ginocchia sbucciate, gli occhi grandi come cieli. Portano dentro la leggerezza dei sogni, quella che si ha solo prima di sapere quanto costano. Ridono tra loro, di una risata che sembra una corsa.
Hanno poco - o forse nulla - ma in quel poco ci sta tutto: un pallone sgonfio, un frammento di specchio, una canzone imparata per strada. Scendono fino al mercato, dove la città cambia volto: le bancarelle si susseguono come un arcobaleno di frutti, odori, voci. Le donne vendono mango e papaya, i bambini portano cassette, gli uomini gridano i prezzi con la voce roca del mattino. Tutto è vita, anche nella povertà che stringe.
Uno dei ragazzi si ferma. Sul banco, in mezzo a montagne di banane e cocchi spaccati, c’è lei: un’anguria perfetta, verde e lucida come un pianeta nuovo.
La guarda in silenzio. Ne segue il riflesso lucente, la curva dolce, l’immaginazione del rosso dentro. Pensa al gusto, alla freschezza dell’acqua che si libera quando la mordi, alla polpa che si scioglie tra i denti e scende in rivoli lucidi lungo le labbra. È un sogno semplice, ma nei sogni semplici si nasconde la salvezza. L’altro lo osserva, e sorride.


Francesca Mezzadri

«Quanto costa un’anguria?» chiede piano, come se fosse una preghiera.
Il venditore non risponde.
Intorno, la folla si muove, un formicaio di passi e gesti. La vita continua, sempre. Ma a volte basta un attimo, un niente, per farla tremare.
Un fruscio.
Un gesto appena accennato.
Un attimo in cui il desiderio vince sulla paura.
Le mani dei ragazzi si tendono - forse per afferrare, forse solo per toccare - e l’aria si fa densa, sospesa, come prima di un temporale.
Un urlo, poi. Uno solo.
“Al ladro!” Tutto si ferma. Il mercato, le voci, il sole stesso sembra trattenere il fiato.
La folla si apre come acqua tagliata da una pietra. Qualcuno corre, qualcuno osserva, qualcuno tace. A terra, lo spacco rosso dell’anguria: la polpa si è sparsa sulla polvere, il succo scivola lento tra i sassi, si mescola al fango, al sudore, al caldo. È solo frutto, ma sembra sangue. È solo estate, ma sa di fine.
Un ragazzo resta a terra, immobile. L’altro si inginocchia accanto, le mani tremano come foglie di palma al vento. Guarda il viso del suo amico, ancora tiepido di sole, ancora pieno di stupore.
C’è silenzio, ora. Un silenzio che pesa come il cielo intero.
Piano, senza parlare, tende la mano. Le dita sfiorano le palpebre, lentamente.
«Almeno lasciatemi chiudergli gli occhi» mormora, quasi a se stesso, quasi a Dio.
La folla resta ferma. Nessuno si muove, nessuno sa cosa dire. Un bambino, accanto al banco, guarda la scena e chiede ancora, con voce incredula: «Quanto costa un’anguria?»  
Nessuno risponde.