Mameli Barbara
è stato un disegnatore italiano, nato a Trapani nel primo decennio del
Novecento: era vignettista del “Marc’Aurelio” e de “Il Travaso” ed io lo
ricordo non solo per i celebri disegni di ragazze prosperose ed avvenenti ma
anche per le vignette sulle “guerre pacioccone”. Purtroppo non ho
conservato copie dei due giornali satirici del dopoguerra di cui ero
appassionato lettore ma il ricordo del titolo di “guerre pacioccone” mi ha stimolato
una riflessione che voglio rappresentarvi. Ritengo che un tempo anche i
conflitti armati tra i Paesi erano più semplici di quelli
attuali. Si cominciava con pubbliche e solenni “dichiarazioni di guerra”,
scritte e ripetute nelle piazze da gracchianti microfoni con le voci dei Capi.Non si voleva, in altre parole, che fosse necessario (confondendosi,
magari, le idee) interpretare norme di patti, protocolli, carteggi. Erano
chiari e ben palesi, cioè, i nemici e gli alleati.Ciò chiarito, si lanciavano bombe e si sparavano colpi di cannone e di
mitragliatrici, le case crollavano e i morti si contavano a molte migliaia, le
truppe avanzavano nei territori dei nemici e quando le rovine
raggiungevano un certo livello, il Paese (o i Paesi) che riteneva (o
ritenevano) di non potercela fare più a vincere si arrendeva (o siarrendevano). Chi si
arrendeva, poteva chiedere qualche condizione o accettare una resa
incondizionata, ma, comunque, era ben chiaro chi era il vincitore (o erano i
vincitori) e chi il perdente (o erano i perdenti).Oggi è tutto più fluido e confuso. Nella guerra cosiddetta “ucraina”,
l’unico Paese che ha parlato di resa è stata l’America di Donald Trump
ed è sembrata una resa senza condizioni perché l’argomento di eventuali
condizioni non è stato neppure affrontato. I Paesi Europei che erano
entrati in guerra con la Russia (violando il disposto dell’articolo 5 del patto
Atlantico perché l’Ucraina non era un membro della NATO) non si sono arresi, ma
anzi hanno strombazzato ai quattro venti di volersi riarmare adeguatamente per
ottenere una più rapida e completa vittoria (c’è chi ritiene che fosse
implicito il grido di sapore garibaldino: o Mosca o Morte!). In un
chiassoso, reciproco, convergente tripudio di inni alla Vittoria che
richiamavano alla mente il canto Manzoniano in morte di Napoleone, altro amante
delle steppe nevose (S’ode a destra uno squillo di trombe, a sinistra
risponde uno squillo), Donald Trump, solitario amante della pace in un
Occidente pullulante di “volenterosi della guerra”, presentava un piano di
pace, per porre fine alla guerra.
Conclusioni: razionalità
vorrebbe che fosse chiara la posizione: chi dei due intende fermarsi, ponendo
fine alla guerra. È conseguente che chi si arrende debba sapere a quali
condizioni sia concessa “la resa”. Il resto del mondo è curioso, invece,
solo di sapere se non vi siano tra i suoi abitanti dei “perdenti” che
pretendano essi di dettare le condizioni di pace ai vincitori. Se così
fosse le spese per gli armamenti dovrebbero essere presto convertite
dall’Unione Europea in fondo per la costruzione di capaci manicomi.