Ella. Viaggio
nella sofferenza La recensione
del 1988 (ora nel volume A teatro con amore, Effigi 2024, pagine 288 €
19) dedicata a Ella di Herbert Achternbusch coglie con rara intensità la
natura lacerata e perturbante del monologo, trasformando la cronaca di uno
spettacolo in un vero percorso emotivo. L’autore della recensione, Angelo
Gaccione, non si limita a restituire la trama o a segnalare la qualità dell’interpretazione
di Lorenzo Alessandri: penetra invece nel nucleo tragico dell’opera, mostrando
come il dolore della protagonista – una vita segnata da rifiuto, violenza,
assenza d’amore – diventi specchio di una società incapace di accogliere i
propri esseri più fragili. La scrittura è partecipe, vibrante, sospesa tra
analisi critica e compassione. Da un lato esalta la regia e la prova attorale,
sottolineando la potenza mimico-espressiva che dà corpo alla follia di Ella;
dall’altro amplia il discorso, trasformando la vicenda individuale in paradigma
universale. È proprio questa capacità di allargare il raggio della riflessione
a rendere magistrale la recensione.
L’autore non si accontenta di osservare
l’opera: la interroga, la attraversa, ne amplifica i significati. La famiglia
come microcosmo oppressivo, la società come ambiente respingente, la follia e
il suicidio come protesta estrema contro la crudeltà – tutto si fonde in un
quadro compatto e lucidissimo. Il testo critico diventa esso stesso denuncia,
atto politico e umano. Che cosa insegna tutto questo a noi contemporanei? Che
la sofferenza non nasce nel vuoto, ma in sistemi sociali e affettivi che ancora
oggi, come allora, sanno essere giudicanti, violenti, incapaci di ascolto. Ella
ci ricorda che la fragilità non è un difetto, bensì un segnale; che chi implora
amore non merita stigma, ma sostegno; che le istituzioni – famiglia, scuola,
comunità – devono essere luoghi di cura e non di esclusione. In un tempo in cui
solitudini e malesseri psicologici crescono, l’opera (e la recensione) ci
ammoniscono: ignorare il dolore degli altri significa contribuire alla sua
crescita. Riconoscere, accogliere, ascoltare: forse è questa la lezione più
urgente che Ella lascia a noi oggi. [“Medaperta”. Aprile 1988]