LIRICA
di Luigi Mazzella
Lady Macbeth nel distretto di Mcensk
L’inaugurazione della stagione
operistica del ‘Teatro alla Scala’, a parte qualche (agevolmente) evitabile problema
di protocollo (con errore marchiano dovuto, probabilmente, al pessimo gusto,
incline alla provocazione faziosa, di gente che è chiamata a svolgere
ruoli superiori alle sue capacità professionali e alla sua intelligenza), è
stato un grande successo degno della tradizione dell’attività musicale
italiana. Lady Macbeth nel distretto di Mcens (titolo
originale: Ledi Makbet Mcenskogo Uezda) ha confermato di essere un
capolavoro assoluto, pure appartenendo solo alla prima produzione, giovanile,
di Dmitrij Sostakovic. La musica è possente ed
esuberante, il respiro della partitura è grandioso, il ritmo incalzante. Sorprende la varietà dei moduli espressivi per aderire, quasi
cinematograficamente, alla complessità dell’azione scenica che ha tratti molto
movimentati, popolari, grotteschi e sottilmente ironici.
L’affinità con esponenti illustri della
tradizione tedesca e francese, agevolmente rilevabile costituisce la riprova “geopolitica”,
del tutto inconfutabile, che un’Europa senza la Russia è un
Continente monco che può dare luogo solo a un’Unione Europea dimezzata. Come tutta la cultura dell’Occidente anche quella Russa è fortemente
fantasiosa e sostanzialmente irrazionale, perché è condizionata anch’essa da un’intensa
e profonda religiosità e da posizioni ideologiche che tendono, per loro natura,
all’estremismo. La mancanza di razionalità le consente, per converso, di creare
spazi enormi alla creatività emotiva ed artistica. Sostakovic, al momento della creazione di quello che può ritenersi il suo
capolavoro, era vicino ai movimenti dell’avanguardia rivoluzionaria, sentiva di
essere pieno di orgoglio per i valori musicali della sua patria (soprattutto: Rimskij-Korsakov
e Prokofiev), attento e appassionato ai temi canori e ai timbri chiassosi e
aggressivi della tradizione popolare.
Ascoltando Lady Macbeth, si avverte che la
sua ironia non risparmia la musica borghese, da lui probabilmente ritenuta
inidonea a trasmettere, con realismo, gli ideali rivoluzionari: nulla, però, è
mai sopra le righe. L’opera, rappresentata per la
prima volta a Leningrado nel 1934, fu accolta con grande favore dal pubblico
sia in URSS che all’estero, anche se una parte della critica ne disapprovò l’aggressività
e la crudezza di alcune situazioni di vita cosiddetta “intima”.
Due anni dopo la prima rappresentazione,
Stalin mise, però, al bando l’opera definendola caotica e confusa. A conferma dell’identità e dell’omogeneità culturale dell’intero Occidente,
la critica Statunitense, ugualmente imbevuta di irrazionalità e di bigottismo
religioso definì l’opera “pornofonia”.
Meno agevole è comprendere l’ipotizzabile
riferimento del titolo a quello della tragedia shakespeariana.
Non si tratta, come qualche critico ha
scritto, di un’opera di rivolta politica chiaramente antiborghese, rabbiosa e
torbida come le antiche lotte di palazzo.
Né, a mio giudizio, può parlarsi di un’anticipazione
della lotta femminista per il riscatto della sottomissione familiare della
donna russa, tradita da una rivoluzione del tutto mancata su tale punto (pur
comprese le istanze femministe nei programmi ideali di Lenin volti al
riscatto da ogni condizione servile).
Siamo pur sempre nell’Occidente delle “favole”
illusorie, religiose e politiche, scambiate dal “popolo bue” per verità
ritenute certe. E ciò, anche se si tratta di narrazioni inverificabili o
addirittura contraddette dai fatti concreti.
Non v’è, quindi, nelle parole del
libretto, un’imprecazione lucida e spregiudicata contro il male fatto al genere
umano di sesso femminile dal falso e finto rigorismo, definito impropriamente
etico ed invece solo del tutto contro-natura, sia delle tre religioni
monoteistiche mediorientali sia delle due concezioni “in maniera sostanziale
borghesemente puritane” dell’idealismo post-platonico ed hegeliano. Non possiamo dimenticare che una di quelle aberrazioni ideologiche
post-leniniane era entrato addirittura nel patrimonio politico dall’autore.
Allora: qual è il senso degli eventi
rappresentati e quale il nesso con la Lady Macbeth del
drammaturgo inglese? Come nel dramma di Shakespeare, a
dominare i fatti sono la perfidia e la violenza: condivise da entrambi i
generi, quello maschile e quello femminile. Anche le visioni di rapporti
sessuali lascivi non sono soltanto espressione di violenza maschilistica, ma
come, soprattutto nel finale, anche di callido e interessato meretricio
muliebre (un distratto coito, sul sedile di un camion, per un paio di
calze di lana). Per capire, a fondo, la
sconvolgente attualità dell’opera, bisogna pensare all’odio che già pervadeva
(e ancor più pienamente pervade oggi) la società Occidentale. Al contrario delle fiabe religiose sull’amore per il prossimo e quelle
politiche sulla solidarietà sociale, gli abitanti dell’Occidente erano già
negli anni Trenta e sono ora sempre più divorati da un rancore reciproco che
conduce a un terrificante, diffuso cupio dissolvi che li sta
avviando al tramonto preconizzato da Spengler. Con buona
probabilità, negli anni Trenta, Sostakovic credeva ancora, forse per non cadere
nella disperazione e per straordinaria lucidità mentale, nel valore essenziale dell’amore
nella vita umana ed immaginava che la mancanza di tale sentimento portasse sia
l’uomo e sia la donna ad annoiarsi.
Di noia esistenziale, nell’opera, in tempi
diversi, parlano, con enfatica sottolineatura, sia Katerina sia Sergej i
neo-amanti, prima e dopo l’assassinio del marito di lei e del suocero. L’assenza drammatica di una vera e profonda relazione sentimentale che, nel
dramma Shakespeariano, rende esasperata e spasmodica la ricerca del potere
politico e del conseguente dominio sugli altri come alternativa alla mancanza di un vero sentimento appagante e lietamente affettuoso, diventa, nell’opera
del compositore Russo, violenza personale, “casareccia” e dozzinale tra le mura
domestiche. Con precisi accenti, al tempo stesso forti
e delicati, dettati dal prevalere nella sensibilità di Sostakovic della
componente per così dire “femminile” del compositore (e co-sceneggiatore) dell’opera,
sottolinea efficacemente i diversi effetti e gradi della noia tra i
protagonisti della storia narrata. I maschi non sembrano soffrire
molto per la mancanza di amore: per combattere la noia si ubriacano con dosi
abbondanti di alcol, sghignazzano senza ritegno in locali pubblici dove si
danno convegno, in famiglia si comportano da despoti assoluti, con donne
sottomesse e succubi. Katerina, all’opposto, non rinuncia alla speranza di
contrapporre alla noia in cui si dibatte la vicinanza erotica e affettiva di un
uomo. Lo trova con i metodi dozzinali che ha passivamente sperimentato sulla
propria pelle, e sbaglia. Sergej è della stessa pasta degli altri maschi da lei
frequentati anche se appartiene alla classe lavoratrice e non a quella degli
odiati “padroni”. La sua “speranza” s’infrange malamente e sul suo suicidio (si
cosparge di benzina e si dà fuoco) cala il sipario.

Sostakovic
È nel racconto dei fatti e nella loro
sottolineatura con note appropriate la modernità dello spettacolo teatrale dato
alla Scala e diretto con impegno e amore dal Maestro Chailly. Se ancora oggi molti cultori della Narrativa e (ancora di più) i tetragoni,
incrollabili e numerosi fautori della magia della Poesia, continuano a impegnarsi per intrattenere i lettori, con le loro opere di fantasia
(storie meravigliose o composizioni di versi alati) sostanzialmente
obnubilanti e ottundenti ai fini della ricerca della verità filosofica della
realtà esistente (che alla ragione appare sola e unica senza alternative
dualiste, puramente immaginarie), sorprende che un giovane musicista e gli
autori del libretto dell’opera (Aleksandr Prejs e lo stesso Sostakovic,
prendendo spunto dall’omonimo racconto di Nikolai Leskov) anticipassero, circa
un secolo fa, il crollo psicologico odierno degli Occidentali, che sembra ormai
foriero unicamente di guai ulteriori. Quest’opera di Sostakovic dimostra
anche, però, che se l’anima russa, stravolta (come quella di tutto
l’Occidente), dal doppio ciclone assolutistico della religione
(nella specie: ortodossa) e di una delle due ideologie teutoniche di fine
Ottocento (quella comunista), ha saputo trovare in lui un cantore della vita
ispirata alla razionalità e alla ricchezza sentimentale, lo stesso potrebbe
avvenire anche in altri Paesi della Vecchia Europa che, allo stato, sono
riusciti ad apparire insopportabili persino agli occhi degli abitanti del Nuovo
Continente!





