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mercoledì 29 ottobre 2025

GUERRA IN UCRAINA



Orban avrà tutti i difetti, ma almeno sull’Ucraina ha le idee chiare.
 
È immaginabile che Orban abbia espresso anche al Papa la propria opinione che gli europei, nel loro interesse, dovrebbero parlare con la Russia. Il problema è capire cos’abbia in testa Leone. Dopo le stupidaggini wojtyliane e ratzingeriane sulle radici cristiane dell’Europa, sarebbe ora che dal Vaticano uscisse una parola di ammonimento a un’Europa che marcia verso la guerra. La deriva militaristica è certamente l’aspetto già grave della crisi europea; tuttavia non c’è bisogno di questa convinzione per vedere la profondità della crisi. Secondo Orbán, la crisi ucraina può essere risolta solo con la partecipazione di altri paesi. “Questo obiettivo può essere raggiunto solo coinvolgendo forze esterne. Qualcuno deve parlare di pace con i russi. Possono essere gli Stati Uniti o l’Europa. Ma l’Europa non vuole avviare colloqui con la Russia, il che è un errore catastrofico”, ha dichiarato in un’intervista al canale televisivo M1. Ha osservato che una volta ripresi i contatti con la Russia, gli Stati Uniti “affronteranno la questione del futuro dell’Ucraina e delle sue risorse economiche”, mentre l’Europa rimarrà ai margini e non sarà in grado di mantenere il dialogo “nemmeno sul proprio futuro. Per questo motivo vogliamo che i leader europei si mettano in contatto diretto con i russi per avviare colloqui e raggiungere un accordo sul sistema di sicurezza europeo tra Russia ed Europa”, ha spiegato il primo ministro. Ha affermato di ritenere che, una volta terminato il conflitto, l’Ucraina debba rimanere indipendente e sovrana, ma ciò non significa che debba essere ammessa nell’Unione Europea. “Firmiamo con l’Ucraina accordi che siano utili per lei, ma che non ci mettano a repentaglio. Quindi, niente adesione all'UE”, ha sottolineato Orbán.
Franco Continolo

 

POESIA
G
iuseppe Langella e Angelo Gaccione alla Biblioteca Ostinata.


Cliccare sulla locandina per ingrandire


TRIESTE
Assemblea cittadina sulla Palestina.





 

martedì 28 ottobre 2025

MANIFESTAZIONI E POLITICA
di Franco Astengo


 
L'inizio d'autunno 2025 appare caratterizzato da una evidente costante: la riuscita delle manifestazioni di piazza pur indette da soggetti diversi, convocate su argomenti diversi e con coincidenze parziali dal punto di vista dell'espressione partecipativa sia sociale sia generazionale. La condanna del genocidio che sta subendo il popolo palestinese si è affiancata alla battaglia sindacale avverso la legge di bilancio. Una legge di bilancio preparata è bene non dimenticarlo dal governo di destra mentre incombe la necessità di attrezzarci per respingere l'ennesimo tentativo di violazione costituzionale questa volta sul tema della giustizia. L'insieme di queste problematiche vede contemporaneamente l'impegno di una pluralità di attori prevalentemente di origine sindacale e una sostanziale lateralità delle forze politiche parlamentari.
Le forze politiche parlamentari sembrano sì capaci di sostenere le posizioni sulla base delle quali si svolgono le manifestazioni ma senza riuscire a presentare un progetto organico di opposizione e mantenendo al loro interno distinzioni e financo ambiguità sia nei rapporti politici sia nell'orientamento complessivo. Questa "lateralità" (se non "estraneità") tra movimenti e soggetti politici è stata anche testimoniata dalla continua discesa nella partecipazione al voto nell'occasione delle diverse tornate regionali e comunali succedutesi nei mesi di settembre ed ottobre: caduta culminata nelle recenti elezioni regionali toscane con una percentuale di astensione davvero molto elevata, tale da confermare l'analisi di una sostanziale "fragilità del sistema" tale da porre il tema di una possibile torsione in senso autoritario.
Si pone così per intero il vecchio tema nenniano "piazze piene e urne vuote" con un di più da aggiornare riflettendo sul quadro offerto dalla trasformazione del sistema dei partiti sul quale ci siamo già soffermati a lungo e che potremmo riassumere nella triade personalizzazione- comunicazione esaurimento dell'agire politico nella governabilità considerata "meta unica".
Poco si analizza la difficoltà crescente della democrazia gradualmente messa in discussione con l'avanzare del superamento del parlamentarismo, della messa in discussione della separazione dei poteri, del bavaglio alla magistratura e ai giornalisti, della demolizione del welfare, della mercificazione della scuola e dell'università, delle leggi elettorali che nonostante le decisioni della Corte Costituzionale continuano a sancire il primato del "Capo". Soprattutto tutti questi punti (elenco imparziale e sommariamente compilato) non riescono a diventare progetto organico di opposizione per l'alternativa: il PD non appare in grado di sciogliere il nodo dell'incertezza tra la tendenza a voler rappresentare un " Nuovo Ulivo" oppure a voler costruire un Fronte Popolare.

 

Accenno al PD perché sicuramente esso rappresenta il soggetto potenzialmente pivotale attorno al quale raccogliere un'alleanza che al momento attuale appare carente anche dal punto di vista di espressione delle diverse "issue" culturali e politiche che risulterebbe necessario rappresentare per incontrare le diverse esigenze sociali e le molteplici sensibilità presenti nel Paese. Appaiono, infatti, assenti o perlomeno deficitari due elementi: quello di una visione complessiva strategica di società rivolta prima di tutto al quadro internazionale (pace, collocazione dell'Europa, qualità della democrazia) e quello di una progettualità riferita a un preciso modello sociale come - quello - per intenderci provvisto di una base economica che affronti le evidenti distorsioni del modello liberista - corporativo che questo governo sta alimentando. Quel modello "liberista-corporativo" succeduto a quello neo-liberista dei primi anni del XXI secolo e che può essere contrastato da una idea socialista (come sta avvenendo anche negli USA) che comprenda il mutamento di paradigma imposto dalle grandi transizioni in atto da quella ambientale a quella digitale.



Nei giorni scorsi come Associazione "Il Rosso non è il Nero" avevamo avanzato l'idea di una azione unitaria delle opposizioni parlamentari perché si adottasse un'unica proposta riguardante la legge di bilancio (il modello dovrebbe essere quello che sulla materia presenterà " Sbilanciamoci" il prossimo 4 dicembre). Nel contempo si dovrebbe rifuggire dalla logica emandataria presentando così la compatezza di una elaborazione complessiva posta aa un punto tale di definire finalmente un primo abbozzo di riconoscibile alternativa, prendendo atto che l'acutezza delle contraddizioni pot-moderne impedisce la via della semplice alternanza e del cosiddetto "bipolarismo temperato". A questa nostra proposta hanno aderito 27 associazioni e organi informativi da tutte le parti d'Italia: tra gli altri abbiamo avuto l'adesione dei soggetti più prestigiosi operanti sul versante della sinistra e sul piano nazionale da molto tempo.
In questa occasione ribadiamo la necessità di portare avanti un progetto di questo tipo con 2 obiettivi:
a) contribuire ad un avvio di saldatura nel rapporto definibile sbrigativamente " tra manifestazioni e politica" svolgendo anche una funzione pedagogica tesa al riconoscimento del superamento di una società fondata sull'individualismo competitivo e il consumismo di massa come l'attuale;
b) portare la riflessione tra le forze politiche ad un livello tendente ad analizzare il complesso della situazione in atto non attraverso la singolarità dei casi ma puntando ad una visione comune di società alternativa pur nei necessari distinguo di declinazioni intorno a specifici aspetti: declinazioni diverse derivanti anche da derivati storici la cui identità e memoria debbono comunque essere conservati e innovati gradualmente.

EDUCARE ALL’AFFETTIVITÀ
di Zaccaria Gallo



Dopo l’ultimo efferato omicidio, accaduto a Milano, giorni fa, possiamo chiederci cosa ha spinto il coltello nella mano di Gianluca Soncin a inferire decine di coltellate sul corpo di Pamela Genini? E quello di Turetta sulla povera Giulia Cecchettin e quello di tanti e tanti altri uomini contro tante e tante altre donne? E che cosa spinge a usare la violenza dei russi in Ucraina e gli israeliani e i palestinesi? È la mancata gestione del conflitto, per cui la guerra è l’organizzazione sistematica della violenza, basata sulla distruzione sistematica del nemico, anche civile ed inerme? Ma la guerra non è soltanto fra gli Stati. La guerra può essere all’interno di una famiglia. Può essere all’interno di un gruppo sociale, o tra due esseri umani che hanno smesso di volersi bene. Da questo punto di vista, ogni guerra, ogni omicidio, ogni femminicidio, ha come scopo la distruzione di chi non la pensa come te. Viviamo, da tempo, in un mondo in cui le relazioni affettive (e sessuali) sono contrassegnate da marcati atteggiamenti di potere e da preconcetti legati al genere. Sempre più si rende necessaria, allora, un’opera di educazione e rieducazione all’affettività, che comprenda in maniera completa, anche tutto il mondo legato alla sessualità, oggi purtroppo affidato solo alle distorsioni effettuate dalle informazioni sui social. 



Si tratta di accettare il concetto che la violenza di genere ha le sue radici in una cognizione ristretta e deformata dell’affettività e dell’intimità. La nostra attuale visione è fondata su prototipi culturali che indirizzano i comportamenti all’oppressione, alla dominazione, al sentirsi padroni uno su un altro. Una educazione affettiva, che elimini questo modo di intendere le relazioni tra gli esseri umani, e a maggior ragione tra un uomo e una donna, non solo impedisce che si scateni la violenza, ma aiuta a istituire nella società, piccola o grande che sia, tutta una serie di rapporti autentici, connotati dal valore del rispetto. L’affettività genuina è un modo di rapportarsi uno con un altro, improntato sulla capacità di aprire la propria anima, i propri sentimenti alla facoltà di ascoltare l’altro, esperienza in cui le persone imparano a connettersi, senza cercare di dominare o possedere. Dunque si tratta di attaccare e smontare gli attuali modelli culturali, che avvinghiano nelle loro spire malefiche, le relazioni di genere, attraverso il dominio e il controllo. Quale modello culturale davvero pericoloso per sé, per gli altri, è quello che considera l’uomo l’unico capace di proteggere, che è il capo e che è autorizzato a decidere sempre e solo lui,  legittimato per sua natura, ad esercitare  senza opposizioni, ogni forma di controllo? Questa convinzione di essere il padrone della vita di un’altra persona, senza mai metterla in discussione, nella maggioranza assoluta dei casi, può condurlo a farsi trascinare verso comportamenti che si traducono in atti di violenza. Invece, con l’educazione sessuo-affettiva, si è capaci di comprendere e riconoscere le emozioni, di vedere nell’altro che si ha di fronte, o che ti vive accanto, una persona con i suoi bisogni, i suoi desideri, la sua fragilità, la sua voglia di affetto e tenerezza. La violenza nasce spesso, non solo dalla difficoltà di accettare l’altro come uguale a se stessi, ma anche come qualcuno che ha una sua propria volontà e identità autonoma. 



Nell’incontro tra due persone, il rapporto corretto e carico di empatia, deve essere quello nel quale entrambe le parti rispettano il loro essere una “singolarità” e unicità. Riconoscere l’altro, e accettarne la complessità, contribuisce a costruire una società in cui non c’è più posto per la violenza, di qualsiasi tipo. L’uomo deve abbandonare l’idea di essere l’unico a esser dotato di forza e di essere stato designato per secoli a svolgere il ruolo del capo-branco, l’unico dotato di razionalità e di esenzione dalle fragilità e, per converso, che il ruolo della donna debba essere soltanto contraddistinto da docilità e comprensione. Introdurre nella società, fin da bambini, e successivamente in ogni ordine e grado, nelle scuole, programmi di educazione affettiva, implica la rivelazione che con la tenerezza e l’accettazione delle proprie fragilità, si può costruire un mondo migliore per tutti. Essere vulnerabili non è un segno di debolezza. Ecco che, allora, costruire una cultura della sessuo-affettività consapevole, significa diffondere l’idea che le relazioni tra gli esseri umani devono essere uno spazio di crescita reciproca, in cui ciascuno può esser sé stesso, senza paura di essere dominato o giudicato. Educare alla sessuo-affettività, significa andare verso l’altro con mani che accarezzano, senza coltelli che uccidano.

LA POESIA È UNA FATICA GIOIOSA


Gaccione con Franco Loi
 
Anna Mangiarotti conversa con Angelo Gaccione in occasione dell’uscita della sua raccolta poetica Una gioiosa fatica (1964-2022), pubblicata da La Scuola di Pitagora di Napoli a cura di Giuseppe Langella.  
 
Mangiarotti. La raccolta può fregiarsi di un Ouverture di Franco Loi, che si rammarica perché la vocazione poetica (evidente già a tredici anni) non sia stata perseguita. Perché?
 
Gaccione. Il rammarico di Franco Loi, che aveva individuato la mia precoce vocazione per la poesia, è dovuto al fatto che in me, nel corso del tempo, ha poi preso il sopravvento il prosatore, il drammaturgo. E più di tutto l’impegno intellettuale che si è servito prevalentemente di forme espressive diverse. Ma come ho chiarito nell’Incipit del volume, la poesia mi è sempre appartenuta ed io sono appartenuto alla poesia. Non ho mai smesso di occuparmene, sebbene l’abbia accolta solo quando è venuta a cercarmi; quando sentivo che la materia urgeva, quando la pulsione si faceva prepotente, necessaria. Questo volume, che mette assieme un percorso di oltre mezzo secolo ne è la testimonianza. 
 
M. Oltre mezzo secolo di scrittura e di vita riassunti non in 14 stazioni (come quelle della via Crucis) ma in 12 sezioni. Numero significativo?
 
G. In realtà le sezioni erano di più, ma per ragioni di coerenza editoriale alcune sono state tenute fuori. Mi riferisco a Le amorose, Le svagate, Le attonite, Le amare… Vorrà dire che avrò ancora un’altra occasione in futuro.


La copertina del libro
 
M. Le citeremo tutte... ma intanto soffermiamoci su “Le Milanesi, così presentate dalla prof. Francesca Mezzadri: ... Milano laboratorio morale e affettivo del poeta, .... spazio di dolore e di resistenza... tono elegiaco ma mai nostalgico...”. Cosè Milano per lautore? Certamente indicheremo Città mia, ma possiamo pure isolare altre prospettive poetiche...
 
G. Milano, come ho scritto nei versi della poesia di cui lei ha citato il titolo, “Città mia”, è la madre grassa di pianura che mi ha accolto giovanissimo e dove ho compiuto il mio itinerario intellettuale ed artistico. Ma è anche il luogo dove sono nate mia figlia Azzurra e la mia nipotina Allegra; la città che ha gioito e sofferto con me, come io con lei. È per questo che l’ho sempre difesa e continuo a farlo. Sono lo scrittore della mia generazione che ha dedicato più libri a Milano, che vi ha ambientato racconti, testi teatrali e scritti fra i più vari. Per la quantità di scritti che le ho dedicato, posso davvero considerarmi il suo più fedele cantore.
 
M. Nella Milano della prosa cosha rappresentato lesperienza al quotidiano Il Giorno?   
 
G. Ero giovane, allora, ma già esploravo Milano in ogni dove per raccontarla. Come ho scritto nel racconto ‘Lucilla’ compreso nel volume Sonata in due movimenti, Milano “La girai in lungo e in largo; la esplorai, la annusai, le entrai nel ventre, la spiai. Ora sentivo che ero pronto per il mestiere di scrittore che volevo fare”. Il Giorno aiutò quel giovane appassionato ed inquieto a trovare la sua strada.


 
M. Possiamo istituire un rapporto tra gli interventi del giornalista/cronista e la parola come saggezza”, la parola come resistenza, come la prof. Mezzadri qualifica due stazioni, rispettivamente Le Diverse e Le Incivili? 
 
G. Pur avendo una tessera di giornalista in tasca da ben 44 anni ed avendo sempre scritto e collaborato con organi di stampa, mi considero uno scrittore prestato al giornalismo. “La parola come resistenza” usata dalla professoressa Mezzadri si sposa appieno con il mestiere del giornalismo ed il suo impegno per la verità. La parola dello scrittore vi aggiunge un elemento in più: la testimonianza e la saggezza come argini al male. La poesia lo fa con una sintesi estrema di grande efficacia, le bastano pochi versi.
 
M. Gaccione che attraversa anche lEuropa può dirci cosè lEuropa?
 
G.  L’Europa di Gaccione è l’Europa dei miti letterari, ma è anche l’Europa tragica dei campi di stermino e delle atrocità della guerra. Un mònito ed una memoria che dobbiamo tenere vivi, visto il fosco orizzonte di questo tempo.


 
M. Gaccione che dirige il giornale di cultura Odissea si è mai identificato con Odisseo?
 
G. Ci riteniamo collettivamente, parlo di tutti i collaboratori e di tutte le intelligenze che su Odissea si esprimono, degli avventurosi naviganti. Dove approderemo non si sa, ma come ho scritto in un aforisma, Il viaggio non è arrivare in un luogo, ma incamminarsi.
 
M. Per ultimo Le Ultime, inevitabilmente, oppure no?
 
G. E invece non ci sono ancora Le Ultime, perché qualche anno fa sono nate le Poesie per un giorno solo. Può darsi che sia questo il vero libro dell’età tarda. Loi ne sarebbe felice.
 

La locandina dell'incontro

M. Comunque ricordiamo la presentazione in via Osti, cercando di incuriosire il pubblico...
 
G. Chi verrà mercoledì 29 ottobre alle ore 18 alla Biblioteca Ostinata di via Osti n. 6, non ascolterà solo dei versi, non sentirà solo parlare di poesia; potrà vedere un luogo magico, una Biblioteca accogliente e di grande fascino che un mecenate appassionato di libri: Paolo Prota Giurleo ha voluto far dono alla nostra città. Chi vuole saperne di più potrà leggersi il capitolo che a questa biblioteca ho dedicato nel volume La mia Milano pubblicata dalla Meravigli.

LA POESIA
di Paola Zan




Lista di cose belle della vita in ordine sparso 
cominciando da due 
 
Ballare
Parlare con un bambino che argomenta
che scoppia in esclamazioni
che fa domande con entusiasmo e
interpreta emozioni narrando
E dice grazie per un gambo di rosa divelta

lunedì 27 ottobre 2025

VIRTÙ DEI VIZI
di Chicca Morone


Chicca Morone

Contrariamente a quanto si possa immaginare, la classificazione dei peccati capitali non ha inizio nella Bibbia, bensì nel IV secolo dopo Cristo a opera dei Padri del deserto e in particolare del monaco Evagrio Pontico: nel testo sacro ci sono esempi di comportamenti, riferibili a tali nuclei, come il fratricidio di Caino mosso dall’invidia verso Abele, Adamo ed Eva che non resistono alla tentazione della mela, Lucifero che da creatura vuole essere Creatore. Una descrizione affascinante dei vizi capitali, però, ci giunge da Aristotele come “abiti del male” perché, se ci rifacciamo al concetto di corazza caratteriale di Wilhelm Reich, ne ricaviamo l’esatta funzione: questi sentimenti, che diventano tratti di carattere, anche se in un primo tempo solo come difensivi, impongono comportamenti rigidi e distorti, nocivi principalmente a sé stessi, costringendo la persona a vivere male e spesso a rendere difficoltosa anche la vita altrui.
Inoltre, presi da calcoli abbastanza limitativi, rinforziamo abitudini poco sane e entriamo in circuiti chiusi dove la crescita interiore è impossibile ma al contrario otteniamo un sempre maggior attaccamento a situazioni deleterie.
Da otto i vizi capitali (superbia, accidia, tristezza, ira, gola, lussuria, avarizia, vanagloria) con Gregorio Magno diventano sette, dove la vanagloria si fonde con la superbia e la tristezza diventa invidia. D’altra parte che cosa è l’invidia se non la tristezza per il bene altrui? L’invidioso ha anche una buona dose di superbia, in quanto percepire l’altro come qualcuno che ha raggiunto un certo successo quando si è convinti di essere ineguagliabili, può produrre quel sentimento di frustrazione sia nel caso ci si senta escluso da tale stato, sia che, pur essendo già in possesso di tale stato, si pretenderebbe esserne l’unico titolare.
Spesso in interviste a personaggi particolari mi sono trovata a porre una domanda subdola “Quale è il peccato capitale che aborre e quale secondo lei peccato non lo è proprio”. Quasi sempre il vizio detestato era quello che si presentava maggiormente nel proprio comportamento e l’indulgenza verso i piaceri della carne veniva sottolineato da un luccichio negli occhi: siamo tutti molto umani, ma quando un Botero dichiarava la sua intolleranza verso l’avarizia, veniva spontaneo pensare alle quotazioni delle sue opere, alla “bottega” dove i collaboratori gli preparavano i quadri, al suo successo ineguagliabile per molti anni. Sconfinata è la mia ammirazione della sua creatività e dell’abilità negli investimenti per pubblicizzare il suo lavoro, ma sussurrano che tanto generoso non lo fosse. La difficile infanzia a Medellin aveva lasciato il segno.
È di questi giorni l’enorme spazio mediatico dato alla rinuncia di Jannik Sinner alla Coppa Davis: mi chiedo come si possano sindacare le sue scelte visto che il ragazzo non è un robot e soprattutto non è un farfallone che conta di sostituire la sua presenza al torneo con vacanze nei Caraibi, circondato da creole danzanti. Sospetto che l’invidia per i folli guadagni vinti ogni volta che scende in campo, possa suscitare qualche parola di troppo, soprattutto in personaggi come Bruno Vespa che molto sportivo non appare, troppo preoccupato a galleggiare nel mare delle notizie edulcorate da propinare con sentenze apodittiche.
Ci sono poi peccati capitali che danno piacere a chi li compie: l’indigestione dopo una scorpacciata di dolci siciliani può valere la pena; qualche problematica in zone intime per eccessi di lussuria nella vita può succedere; ma l’iracondo che non riesce a fermarsi prima di travalicare il limite, l’accidioso che resta immerso nella materia senza levare gli occhi al cielo, il superbo che in fondo ha bisogno di continue conferme, l’avaro di se stesso che, non essendo capace di donarsi, finisce con il ricevere poco ed è costretto a “bastarsi”; sono categorie di infelici che a tratti rendono infelici anche gli altri.
Dalla mia collaborazione con Enrico Colombotto Rosso è nata una raccolta proprio sui peccati capitali dal titolo “Virtù dei vizi…” con la quale voglio concludere.      
 
 
“Voi” avete i vostri vizi, “noi” abbiamo le nostre virtù.
Chi siamo “noi” e chi siete “voi”?
L’appartenenza è semplicemente una questione di scelta…



Orgoglio

Il vostro orgoglio vi rende sicuri del vostro potere
Il nostro orgoglio ci rende liberi dall’apparire



La vostra accidia vi rende certi dei vostri credo
La nostra accidia ci aiuta a non competere
 


Invidia

La vostra invidia vi rende ladri di idee
La nostra invidia ci rende cercatori di verità



Lussuria
 

La vostra lussuria vi rende preda degli istinti
La nostra lussuria anima solo le nostre notti



Ira
 

La vostra ira grida le vostre ragioni
La nostra ira alimenta il nostro desiderio di giustizia


Gola

La vostra gola vi rende ingordi di benessere
La nostra gola ci rende bramosi di sapere


Avarizia

La vostra avarizia vi tiene prigionieri del denaro
La nostra avarizia ci fa trattenere i ricordi dei giorni felici. 

VE LO DICO IN VERSI                     
di Marcello Campisani


 
Guardasigilli
 
Ma ce lha la sinistra un avvocato?
Ma cosa saspetta a denunciarlo?
Quel  Guardasigilli va arrestato.
Libero non si deve tollerarlo.
 
Potrebbe, chi non fosse delinquente
di cosca mafiosa un'eminenza,
operare tanto audacemente
in favore di ogni delinquenza?
 
Ce n’è un elenco lungo e non tedioso,
benché del medesimo tenore,
perché eminentemente scandaloso,
a partir dalle Case dell’Amore.
 
Quelle per cui gli eccelsi detenuti
vi possano incontrare i loro amori,
e quindi inviare i lor saluti
ai compari attivi, ancora fuori.
 
Così si spende un pacco di milioni,
stante la clemenza indirizzata,
non già a migliorare le prigioni,
ma a non fare soffrir... la fidanzata.
 
Son eclatanti pur lultime gesta:
non più carcerazione preventiva,
manco alla delinquenza più funesta
che il Paese mandalla deriva.
 
Di bancherotte, falsi, corruzione
non ne sentiremo più parlare.
Rende poi vana la perquisizione
perché la si deve preavvisare.
 
Non gli bastò che tali malfattori
schivasser la galera lautamente
con tutto laggio di restarne fuori,
perché avvertiti preventivamente.
 
Oggi, con  impunita tracotanza,
Unaltra pazzia vuol attuare:
risparmiare lor la latitanza.
Sennò gli amici che ci stan a fare?
 
La legge fatta e questa in fieri
ci lasciano un dubbio solamente:
le dettan a Nordio i bucanieri
o proprio parto son della sua mente?
 
Tutto ciò per la nobilintenzione
-a quanto dichiarato da Carletto-
di far ridurre la carcerazione,
essendo lo spazio assai ristretto.
 
Purtroppo non ci sono più denari,
non ne sono rimasti proprio più
per ospedali, per penitenziari
Bisogna di necessità fare virtù.
 
Fosse ministro della sanità
butterebbe fuori gli ammalati
cosa che del resto avviene già:
tutti non possono essere curati.
 
Eleggemmo i ladri più cretini
che tutto han dissipato in armamenti:
Prepariamoci a parchi cittadini
pieni d'ammalati e delinquenti.