EDUCARE ALL’AFFETTIVITÀ
di
Zaccaria Gallo
Abbracci
I’ cominciai: “Poeta, volentieri parlerei a quei due ch’insieme vanno / e paion si’ al vento esser
leggieri”./ Ed elli a me: “Vedrai quando saranno più presso a noi; e tu allor li priega per quello amor che i mena, ed ei verranno”.
[Dante
Alighieri. Divina Commedia, Inferno, Canto V]
Sì, sono
loro, Paolo e Francesca, uniti per l’eternità, in un abbraccio che li ha
avvinti in vita e che continua a tenerli assieme, anche dopo la morte. Un lungo
fortissimo abbraccio: ci manda un invito a considerare, con più attenzione, questo
gesto. Per vivere in armonia, siamo abituati a pensare, infatti, che gran parte
della nostra comunicazione avvenga tramite le parole. In realtà, la maggior parte
dei messaggi, che trasmettiamo agli altri, viene veicolata attraverso il
linguaggio non verbale, quindi attraverso gesti del corpo e di tutta una altra
serie di fattori. Gli abbracci sono uno di questi strumenti espressivi e, quando
nasciamo, è il primo contatto che ci mette in relazione con il mondo al quale
ci affacciamo. L’abbraccio materno non solo ci accoglie ma, tenendoci
appoggiati al petto, ci sostiene, ci rassicura: possiamo passare il confine che
ci divideva dagli altri. Quando abbracciamo l’altro, possiamo sentire il suo
respiro e, se ci sta parlando, possiamo sentire il tono della sua voce in modo
diverso da quello che ci proviene da lontano; possiamo percepire il profumo dei
suoi capelli e talvolta anche il battito del suo cuore. È un gesto magico.
Trasmette accoglienza, affetto e amore: noi cerchiamo sempre di abbracciare il
più spesso possibile le persone con cui sentiamo di aver un legane affettivo
profondo, dai nostri familiari, agli amici cari, ai nostri partner. Si
abbraccia anche per altri motivi: per sostenere l’altro in difficoltà. Quante
volte, infatti, è capitato anche a noi di stare male e di aver sentito il
bisogno di un abbraccio? Ci abbracciamo anche per condividere un momento di
intimità: un modo per scavalcare e per abbattere i muri e le barriere e per
esser sé stessi, ritrovando quello che al giorno d’oggi ci sta venendo a
mancare: la gentilezza e il rispetto per i sentimenti altrui. Un abbraccio che
nasce dal cuore, un abbraccio sincero, sarà sempre un gesto di pace, un gesto
che combatte contro la violenza. Ricordate? Dopo la pandemia tutti eravamo alla
ricerca di un abbraccio, di un ritrovare quel momento di contatto con chi
volevamo bene e non solo. Oggi che la digitalizzazione delle relazioni sta
cedendo inesorabilmente verso l’artificio relazionale, e che i
popoli si sono dichiarati una guerra senza quartiere, una guerra disumana per
la sua violenza, forse, parlare di abbracciarsi può apparire solo un vuoto
artificio retorico, una utopia da lasciare solo a inguaribili sognatori. Eppure
è questo, invece, il momento in cui ogni abbraccio diventa, forse, il solo modo
per comunicare e condividere nel dolore la speranza della pace, perché contiene
il valore simbolico dell’accettazione dell’altro e da parte dell’altro, e
quindi non è banale. Avvicina, intreccia, insalda e rinsalda, esprime intesa,
voglia di scambio, desiderio di condividere, rifiuto di ogni separazione e
paura di non potersi riabbracciare. Tutto quello che abbiamo detto
finora trova le sue basi negli studi moderni della neurofisiologia: è stato
dimostrato, infatti, che gli abbracci stimolano nell’ipotalamo la produzione
dell’ossitocina chiamato anche ormone dell’amore, dei legami sociali, della
tranquillità e regola la sensazione di benessere interiore attraverso la
riduzione del cortisolo: si riducono ansie e paure, si ottiene la calma e la
consapevolezza di sé stessi. Inoltre è stato anche dimostrato che un abbraccio
è salutare per il sistema cardiocircolatorio, perché abbassa i valori della
pressione arteriosa, riduce i battiti cardiaci e, aumentando il numero di
globuli bianchi, rafforza il sistema immunitario; equilibrando il sistema
nervoso lenisce le ferite del cuore, riempie il vuoto interiore. Dunque, tutto
questo si ottiene abbracciando ogni essere vivente: non solo un uomo o una
donna, ma il proprio gatto, il proprio cane e anche un albero. Diversi
anni fa tante donne della comunità Bishnoi nel Rajasthan in India sotto la
guida di Gaura Devi sacrificarono le proprie vite per salvare dall'abbattimento
i loro alberi sacri abbracciandoli. Cingendoli con le braccia, attaccate ai
tronchi, difesero con il proprio corpo gli alberi e la foresta fonte di sostentamento
della loro società.

Da allora e fin dagli anni Settanta si consolidò il rito di
abbracciare gli alberi e resistere e il movimento prese il nome di Chipko che
in India significa aggrapparsi. Il governo fu obbligato a costituire un
comitato per comandare la cessazione per 15 anni dei tagli degli alberi a scopo
commerciale e nel dicembre del 1987 a Stoccolma fu consegnato il Premio Nobel
per il diritto alla vita alle donne del Movimento. Le donne diventarono figure
iconiche essendo riuscite a collegare la lotta ecologica alla giustizia sociale
e ai diritti delle donne stesse. Non fu solo una protesta ma anche una difesa
delle risorse naturali legate agli alberi come acqua cibo e legno. “Abbraccia i
nostri alberi” fu lo slogan semplice ma potente: simbolo globale di
disobbedienza civile non violenta a difesa dell’ambiente. Gli
alberi con la loro maestosità e la loro presenza ancestrale hanno sempre
esercitato un fascino speciale sull’essere umano e l’atto di abbracciare gli
alberi va ben oltre il semplice gesto fisico: si tratta ancora per ciascuno di
noi, se dovessimo farlo, di un’azione profonda che coinvolge il corpo la mente
e l’anima e mira a creare un’armonia tra l’individuo e la natura perché gli
alberi sono entità viventi che emanano energie, connessi all’essenza della
terra. Abbracciare un albero è un modo per riconnettersi con la natura, per
sentirne l’energia vitale, per sincronizzarsi con i ritmi naturali del pianeta
e se è vero che gli alberi hanno la capacità di assorbire le energie negative
rilasciando energie positive, abbracciare un albero, uno qualsiasi, può aiutare
a bilanciare e purificare la propria energia portandoci, tutte le volte che ne
avvertiamo la necessità, verso una sensazione di rinnovato benessere. Invita,
allora, così il grande poeta spagnolo Juan Ramon Jimenéz: “Taci! Gusta lo zenith, / ascolta il sole. / Non parlarmi! / Unisci. /
Nel fiore permanente / di un infinito amore, / le tue mani alle mie, / il tuo
silenzio al mio. / Taci! Aspira l’azzurro, / Ascolta l’oro”.
Questa è la magia che contiene ogni abbraccio.