UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

domenica 6 aprile 2025

DIALOGANDO CON I MAESTRI
di Alessandra Paganardi


 
Angelo Gaccione è poeta di razza, da sempre. Lo è stato nelle prime prove, anche precocissime, che ho avuto la fortuna di leggere e che mi auguro di veder presto pubblicate. Lo è da mezzo secolo (durata davvero insospettabile per un eterno ragazzo come lui) di attività letteraria, giornalistica, critica, divulgativa, aforistica, civile e polemica. Lo è tanto più in questo libro, che unisce alla vena creativa un’idea profonda e luminosa: quella di un singolare Bildungsroman poetico, inventato da chi affianca la propria produzione alla gratitudine verso i maestri scomparsi (alcuni dei quali realmente incontrati nel corso della vita) e fa di tale nobile sentimento un’ulteriore materia di ispirazione. Questo Poeti è dunque molto più di una raccolta di poesie: è un’autobiografia, un documentario, un laboratorio di scrittura, un formidabile archivio fotografico, un petrarchesco Secretum.
Viene allora spontaneo domandarsi, prima di procedere nella lettura: perché proprio ora? Perché un autore poliedrico come Gaccione, che ha nelle sue prime corde il sentimento della poesia, sceglie di presentarsi soltanto tardivamente come poeta “in proprio”? Una prima risposta possibile ha forse a che vedere con il sentimento di gratitudine di cui parlavo prima: si chiama, con termine un po’ fuori moda ma assai necessario di questi tempi, “pudore”. Dove tutti pubblicano tutto, si autoproclamano poeti, si propongono fin troppo informalmente su social e altri canali privi di qualunque selezione critica (e soprattutto di qualunque autoselezione), Gaccione promuove, come è suo costume, una via controcorrente: quella che il grande Milan Kundera chiamerebbe “elogio della lentezza”. Gaccione, a differenza di tanti scriventi contemporanei, è troppo colto (e troppo poeta) per non esercitare sulla propria parola un controllo ferreo, una selezione accurata, che va di pari passo con la scelta di farla partire da una parola più vasta e antica. Galimberti ha scritto che l’umiltà è dei grandi e la modestia è dei deboli. Cos’è questa se non autentica, grande umiltà, pienamente e immodestamente consapevole del proprio valore, al punto da voler dare una silenziosa lezione ai posteri?



Niente è casuale in questo libro: dalla scelta di scansione cronologica dei testi in ordine di composizione (a sottolineare la prevalenza del criterio personale su quello storico-letterario) alla versificazione policentrica, polimetrica, che soltanto a fine lettura comprendiamo essere stata in qualche modo ispirata dal maestro autore dell’archiverso: sì, ma in che modo? Chiariamo subito: i versi di Gaccione non sono mai “variazioni” del testo ispiratore - di cui si cita in corsivo il primo verso, in genere abbastanza famoso da suscitare il ricordo dell’intera poesia. Ne sono piuttosto, per proseguire nel campo metaforico musicale, un accompagnamento, suonato tuttavia interamente con lo strumento personale di Gaccione, più spesso totalmente diverso rispetto a quello del brano originale. E gli strumenti linguistici di Gaccione – l’ho già ricordato – sono polifonici, ibridi, mimetici, in se stessi orchestrali e orchestranti: a dimostrarlo basterebbe l’intera carriera letteraria dell’autore. È come se Gaccione volesse dirci: ecco che cosa ha significato per me, per la mia personale Bildung, questo autore, questa poesia; ecco da dove sono partito e dove vorrò ritornare, fermarmi. Ed è proprio in questo filtro, in questo irrepetibile impregnarsi (tramite i versi) di un’anima con un’altra anima di poeta,  è in questa ossessione comune di sensibilità affini, coltivate e distillate nella parola, che gli stessi maestri del Novecento prendono vera vita: vengono in senso letterale “immortalati”, nell’atto stesso di dimostrare quella che per ogni poeta è la missione al di là del tempo: scuotere la coscienza del lettore, rivelarlo a sé stesso, insegnargli forse  (per citare un bellissimo verso del poeta contemporaneo Francesco Piscitello) «la difficile arte di morire».



Il dialogo con la morte – apotropaico, teatrale, ironico o struggente, mai drammatico – è il vero leitmotif di questa raccolta, interamente ispirata (forse non a caso) a poeti non più viventi. La morte è una presenza costante, talora l’argomento implicito nelle conversazioni animiche fra Gaccione-lettore e il poeta di volta in volta amato, ascoltato, venerato. Non soltanto la morte, naturalmente (non potremmo certo aspettarcelo in uno scrittore vibrante e solare come Gaccione), ma tutti i suoi spiazzanti correlati: il nulla, l’incomunicabilità, la perdita, il nonsenso, l’oblio. Ma anche in ciò il nostro autore rivela un eccezionale talento mimetico, ponendo domande là dove coglie, nella sua sensibilità di interprete, il tarlo di uno scetticismo mai superato nel maestro, e agendo invece parti sempre diverse, a seconda del tipo di ricerca e di voce che vede praticata. Speculari, a questo proposito, e fra i più riusciti del libro, i versi per Montale e quelli per Testori: i primi sono intessuti di domande dall’inizio alla fine (come avviene anche nel caso di Antonia Pozzi, unica donna della raccolta, peraltro assai apprezzata da Montale stesso, che fu uno dei suoi primi estimatori); i secondi mimano invece un corpo a corpo con il dubbio, una lotta con l’angelo che fu il demone esistenziale del poeta lombardo. Gli esempi potrebbero naturalmente continuare: lascio tuttavia al lettore il compito e la sorpresa di scoprire le molteplici sfumature di questo dialogo con le ombre, in cui Gaccione, rivisitando nella propria esperienza l’influsso che può avere su un animo sensibile la parola dei maestri, finisce per rivelare la missione non soltanto estetica, ma anche pedagogica della grande poesia italiana del Novecento. 

Angelo Gaccione
Poeti. Ventinove cavalieri e una dama
Di Felice Editore 2025
Pagg. 56 € 10                                         

 

 

POETI
di Antonella Rizzo
 
Antonella Rizzo

Fame
 
Ogni cosa deve crollare
invece resta immobile
tutto l’inutile è ancora qui a chiudere le porte
a farsi memoria senza aria, pietra per case.
 
Se non ci fosse più nulla da riconoscere
se sparisse l’albero dal ramo storto
e la rosa malata
ogni cosa sarebbe nuova, potrebbe pensarsi.
 
Abbiamo bisogno di distruzione,
la presenza occupa ogni spazio tra cielo e strade
impossibile ogni verso rapace
ogni predazione innocente
tutto è sfinito e non muore, consuma e paga.
 
Abbiamo bisogno di essere macerie
di quel silenzio del crollo quando chi sopravvive ha fame vera. 



 
Odio
 
E noi che andiamo senza origine di verbo
di là dal fiume 
diamo assedio alle ombre.
 
Qualcuno è venuto dall'altra parte 
dove le rive si uniscono in trincee
e le soste non fanno pane. 
 
Prendiamo le case e le teste bruciamo
e i denti e i cani e i tappeti buoni di storia
ogni cosa qui è nulla. 
 
Due proiettili nella tasca fanno odio
e per quello che sappiamo 
da questa parte del fiume nulla fa più differenza. 

  

WILLIAM BLAKE
di Anna Rutigliano

 
Visionario sin dalla tenera età, fervido sostenitore della rivoluzione francese e ribelle verso tutto ciò che incatena l’immaginazione in regole e dogmi, Sir William Blake è noto soprattutto per essere un abile incisore più che il poeta inglese della cerchia dei romantici; si dice che, in punto di morte, stesse proseguendo la propria opera di incisione della Divina Commedia del sommo poeta, commissionatagli dal pittore John Linnel. Nella sua raccolta di poesie Songs of Innocence and of Experience, edita nel 1794 durante gli anni del regime del terrore, e dal poeta definita “illuminated books”, libri profetici, Blake ci rende partecipi di un vero e proprio viaggio metaforico-allegorico negli stati contrari dell’anima e della coscienza che solo l’immaginazione, vero motore della gnosi, può sintetizzare. Essa si materializza nella parola poetica, superando la dicotomia fra bene e male e rendendo possibile la simbiosi con il divino, con l’universo. Blake aspira dunque a superare sia la concezione manichea veicolata dai rigidi dogmi delle istituzioni ecclesiastiche della sua epoca, sia l’idea del peccato originale, causa di sofferenze esistenziali. Esemplari a tal proposito sono i Canti dell’esperienza e dell’innocenza intitolati ‘Lo Spazzacamino’ (The Chimney Sweeper) in cui leggiamo versi altamente ossimorici: “and because I am happy & dance& sing, they think they have done me no injury… who make up a heaven of our misery/ e poiché sono felice danzando e cantando, loro pensano di non avermi fatto del male, preti e re,  i quali sono coloro che hanno creato il paradiso della nostra miseria) o ancora nel canto ‘Londra’ (London), “but most thro’ midnight streets I hear how the youthful Harlot’s curse blasts the new born Infant’s tear…/ ma ciò che più odo, aggirandomi per le strade a mezzanotte è la maledizione della giovane prostituta che inaridisce il pianto del neonato…). Analogamente, per il Canto The Human Abstract, ho cercato di conservare la rima nella resa in lingua italiana. Qui il mistero del frutto dell’inganno, di cui la Chiesa detiene il significato più profondo, assurge a simbolo dei limiti imposti dalla ragione umana sull’antitesi fra bene e male, creando false illusioni: una corrispondenza totalmente inesistente in natura. L’originalità e universalità della poesia blakeana consistono nel dare voce poetica alle miserie, timori e drammi dell’umana esistenza facendo appello alla facoltà immaginativa capace di fondersi, proprio come in una incisione a rilievo su lastra, con la Divina Immagine, custode di amore, grazia, pietà e pace.



Sunto dell’Umanità
 
Pietà non vi sarebbe,
se non fosse creata la Povertà,
né vi sarebbe Carità
se tutti fossimo felici allo stesso modo.
 
Pace porta la reciproca paura
Finché l’amore di sé cresce in dismisura,
la Crudeltà quindi tesse la sua trappola e
diffonde le proprie esche con cura.
 
Con sacro timore ella siede
inondando di lacrime il terreno,
l’Umiltà spunta allora sotto il suo piede.
 
Presto la cupa ombra del Mistero
si dispiega sulla sua testa
e bruco e mosca ne traggono festa.
 
Esso sostiene il frutto del Peccato,
dannato e dolce a mangiarsi
mentre il corvo, all’ombra più corposa
il suo nido ha già formato.
 
Gli Dei del Mare e della Terra invano
questo albero in Natura hanno cercato:
è tutto frutto dell’umana mente.
 

 

 

MAX HAMLET A LECCE
Alla Casa degli Artisti    




 

sabato 5 aprile 2025

PAREGGIO DI BILANCIO E COSTITUZIONE
di Alfonso Gianni


 
Schwarze Null Auf Widersehen
 
I venti di guerra, in Europa e nel mondo, sono talmente forti che travolgono facilmente quelle che erano ritenute essere le pietre miliari su cui si fondava il credo neoliberista in tempi di austerity. Così può avvenire che la Germania decida, con rapidità degna di miglior causa, di eliminare il cosiddetto “freno al debito” inserito nel 2009 in Costituzione - come reazione alla grande crisi economico-finanziaria iniziata a fine 2007 - che obbligava lo Stato tedesco a mantenere il pareggio di bilancio. Così non si è aspettato che si convocasse il nuovo parlamento, il Bundestag, emerso dagli esiti del voto del 23 febbraio scorso, ma si è fatta passare la modifica costituzionale nel vecchio parlamento, in modo da essere sicuri di avere la maggioranza qualificata dei due terzi. Si è trattato di una fin troppo evidente forzatura istituzionale, contro la quale l’opposizione di sinistra e di destra - ovviamente con motivazioni diverse e discordanti - ha elevato grandi proteste che però non hanno scosso la Corte Costituzionale di Karlsruhe che ha ratificato l’astuzia della vecchia maggioranza considerandola del tutto legale. Se la votazione fosse avvenuta nel nuovo parlamento non ci sarebbe stata possibilità di fare passare il provvedimento, voluto fortemente dal vincitore delle elezioni Friedrich Merz, sostenuto dalla Spd e dai sempre più scoloriti Verdi, per il quale era necessaria la maggioranza dei due terzi, visto l’incremento dei deputati della Linke e dei fascisti dell’Afd, malgrado che sia venuta meno la presenza dei liberali e dei seguaci di Sahra Wagenect (questi ultimi comunque contrari alla mossa della maggioranza). Pochi giorni dopo il Bundestrat - la camera alta che raccoglie i rappresentati dei 16 lander - ha reso definitiva la modifica costituzionale, con un voto che un tempo si sarebbe detto (quasi) bulgaro.
La vecchia norma, entrata in vigore durante uno dei governi di Angela Merkel, prevedeva che il debito pubblico tedesco non potesse eccedere lo 0,35% del Pil ogni anno, tranne che in situazioni del tutto eccezionali, quale fu la pandemia di Covid-19. Era un vincolo molto rigido che in diversi criticavano, ma che nessuno aveva avuto il coraggio di cercare di modificare, malgrado che l’economia tedesca fosse entrata in recessione da almeno due anni e che il debito pubblico non fosse certamente tra i più elevati in Europa. Per la precisione il debito pubblico lordo tedesco in rapporto al Pil era, alla fine del primo trimestre del 2024, pari al 63,4%, mentre nella media dei paesi dell’eurozona tale valore si situava all’88,7% (in Italia ci trovavamo al 137,3% e in Francia al 110,8%). D’altro canto il rapporto tra deficit e Pil in Germania era pari al 2,8% alla fine del 2024, in crescita non travolgente sui valori dell’anno precedente.



Ma il sistema di guerra, nel quale la Ue è ormai profondamente immersa, ha fatto saltare ogni mantra e ogni titubanza. Metz ha cercato di mettere qualche foglia di fico sul suo piano, ma la spesa militare è assolutamente prevalente. Si tratta di 500 miliardi di euro per “implementare la difesa militare e le infrastrutture civili” e altri 100 per finanziare ciò che resta della svolta ecologica varata dalla precedente coalizione (detta Semaforo), per fornire una qualche giustificazione ai Verdi. Inoltre la leva del debito permetterà al paese di contrarre prestiti per oltre mille miliardi di euro. Le spese militari potranno così superare l’1% del Pil all’anno, quindi circa 45 miliardi di euro. Come si vede lo spostamento di risorse a fini bellici è ingente. Il piano di riarmo europeo, che ha cambiato nome per il maquillage richiesto e ottenuto da Giorgia Meloni, e che ora si chiama Readiness (Prontezza) 2030 non poteva che basarsi su questa svolta storica di uno dei due maggiori contraenti il patto che ha originato la Ue, cioè la Germania, dal momento che la Francia non aveva remore in questo campo ed anzi era ed è già pronta ad offrire il proprio “ombrello nucleare” per rispolverare in chiave bellica la sua grandeur, negli ultimi anni piuttosto opacizzata. In altri termini il voto del parlamento tedesco è in linea con l’intento espresso a chiare lettere dalla Commissione europea di essere pronti alla guerra entro il 2030, visto che analisti di provata fede atlantista stimano per quella data un attacco russo ai paesi della Ue. Importa poco - a loro - che tale ipotesi non trovi conferma tra chi ha più seriamente studiato l’evoluzione e l’involuzione della Russia ed i suoi comportamenti concreti sullo scacchiere internazionale. L’idea che l’invasione dell’Ucraina sia la pista di lancio per un attacco generalizzato all’Occidente, corrisponde più a una giustificazione per alimentare una guerra per procura, che non ad una previsione realistica.



Ma la decisione del parlamento tedesco ci porta a considerazioni non solo negative. In sostanza l’interrogativo è il seguente: è possibile trarre da una cosa pessima - il riarmo della Germania - un insegnamento positivo? Trasformare una sciagura in un’occasione? Ovvero, più precisamente, volgere il keynesismo bastardo (copyright Joan Robinson), in questo caso militare, in un keynesismo che consista nell’allargare i freni della borsa fino a prevedere una spesa in deficit finalizzata a un intervento pubblico per un diverso modello di sviluppo sociale ed economico, in primo luogo per difendere e ricostruire un welfare bersagliato da una privatizzazione ormai totalizzante? Non può infatti sfuggire che l’abbattimento del vincolo costituzionale sulla parità di bilancio potrebbe essere utilizzato - in teoria - in modo ben diverso, anzi alternativo, a quello dell’incremento della spesa bellica. Per quanto il passaggio dalla teoria alla pratica sia assai arduo - lo era anche prima di entrare in un sistema di guerra - mi pare non solo utile, ma necessario riaprire la discussione su questo punto. In effetti già ci avevamo tentato in un tempo che, visto tutto quello che ci è passato in mezzo, ci appare oggi persino lontano. Ma non dimenticato. Nel nostro paese la legge costituzionale n.1 del 2012 ha introdotto nella Carta costituzionale il principio del pareggio di bilancio (pudicamente chiamato “equilibrio tra le entrate e le spese”). La riforma dell’articolo 81 Cost., che conteneva questa norma, passò con la maggioranza dei due terzi in entrambi i rami del parlamento alla seconda lettura. Quindi in base all’articolo 138 Cost. non era possibile promuovere alcun referendum abrogativo. Nelle ultime battute del dibattito parlamentare si chiese ai dirigenti del gruppo parlamentare del Pd al Senato almeno di non partecipare al voto finale sulla legge di modifica costituzionale, in modo da fare mancare il quorum dei due terzi e di rendere così possibile il referendum che avrebbe quanto meno permesso di portare la discussione al livello del paese, strappandola al chiuso delle aule parlamentari. La risposta fu seccamente negativa. Si tentò allora la strada di una legge di iniziativa popolare di modifica costituzionale, ma, al di là delle parole, mancò poi la capacità - e più probabilmente la convinzione da parte di alcuni - di raccogliere il numero sufficiente di firme nei tempi dettati dalle norme che regolano la materia. Allora non c’era la possibilità, oggi invece esistente, di raccogliere le firme anche online e neppure l’obbligo - anche se per ora vale solo per il Senato in base al suo regolamento - di discutere e decidere su una proposta di legge di iniziativa popolare entro un determinato periodo dalla sua ricezione.



La necessità di evitare la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio non riguardava solamente questioni di principio pur tutt’altro che secondarie, come quella che non poteva essere preclusa in Costituzione una strada di politica economica - peraltro già sperimentata nella storia in altri paesi - basata su un deficit di bilancio che poteva finanziarsi non solo in base al ricorso al debito ma soprattutto con l’incremento di Pil messo in atto dagli investimenti economici e sociali di carattere pubblico. Cosa necessaria visto che le condizioni della nostra economia e dell’occupazione all’inizio degli anni dieci erano in cattive condizioni. D’altro canto neppure i vincoli europei erano tali da rendere inevitabile la scelta del revisore costituzionale italiano. Le politiche di austerità erano già cominciate e i documenti che venivano prodotti a livello della Ue portavano tutti l’impronta del rigore. In questo quadro si collocavano nuovi vincoli introdotti in quegli anni direttamente nella normativa europea e in quella collaterale (Patto Euro plus e Six Pack del 2011, Fiscal Compact del 2012, Two Pack del 2013), ma da nessuno di questi atti si poteva meccanicamente dedurre la indispensabilità di una modifica costituzionale nei Paesi soggetti alla normativa europea. Lo stesso Fiscal compact si limita a una semplice indicazione di “preferenza” della collocazione in Costituzione di “disposizioni vincolanti e di natura permanente” sulle politiche di bilancio. Insomma, un conto è praticare politiche di bilancio regressive, rigoriste, votate all’austerità, anche per un non breve periodo, un altro conto è fissarle nel dettato costituzionale al quale sono tenute ad obbedire le maggioranze politiche di governo qualunque sia il loro colore politico. La responsabilità della modifica negativa dell’art. 81 Cost ricade quindi sulle forze politiche italiane che l’hanno votata. Il “ce lo chiede l’Europa” era una fola. Del resto basta leggere - e capire - la nostra Costituzione. Particolarmente nei suoi principi fondamentali che concernono i diritti. Questi diritti, che nell’art.2 Cost sono dichiarati “inviolabili” sono collegati allo sviluppo della personalità e richiedono in ogni caso “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Una tutela che non può essere abbandonata a seconda delle contingenze economiche. Tantomeno in nome di quella guerra che l’Art.11 Cost. non solo “ripudia” come strumento di offesa ma anche “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Per queste ragioni di fondo il vincolo del pareggio di bilancio non ha ragione di stare in Costituzione. Riaprire la discussione e l’iniziativa su questo tema non solo è ancora più necessario di prima, ma possibile una volta che il totem del pareggio di bilancio, dello Schwarze Null è crollato in mille pezzi.

 

A RAVENNA IL DODICI APRILE



Costruiamo assieme uno spezzone libertario, anticapitalista e antimilitarista contro le fonti fossili e il mondo che le necessita, il rigassificatore e la linea adriatica Snam ad esso collegata, la distruzione ambientale e delle altre specie animali, ma soprattutto il legame tra l’approvvigionamento di fonti energetiche e la guerra degli Stati e dei padroni. 


Il prossimo 12 Aprile a Ravenna ci sarà la manifestazione nazionale “Usciamo dalla camera a gas” indetta da comitati e associazioni ambientaliste. Come libertari/e invitiamo alla partecipazione e alla formazione di uno spezzone libertario, anticapitalista e antimilitarista per portare assieme ai contenuti ecologisti anche una ferma opposizione alle politiche economiche e di guerra dei padroni, in cui i progetti strategici e politico-economici legati agli idrocarburi e al gas si inseriscono, ancor più dopo il conflitto in Ucraina e la riduzione dei flussi di gas russo verso il continente europeo. Negli ultimi anni il consumo di gas in Italia è calato rispetto al passato: consumiamo circa 60 miliardi di metri cubi di gas all'anno che importiamo dall'estero, in più ne produciamo altri 3 miliardi. Il GNL (gas liquefatto) che arriverà al rigassificatore di Ravenna da Qatar, Algeria e Stati Uniti, che all’anno garantirà l’8% degli approvvigionamenti italiani, oltre ad avere costi economici e un impatto ecologico molto superiori rispetto al gas prodotto con le tecniche tradizionali, è un di più che l’Italia venderà ai paesi dell’Europa centrale. Il governo Meloni, in continuità col precedente esecutivo Draghi, e in piena sintonia con la Commissione europea, vuol far diventare l’Italia un hub del metano nel Mediterraneo. Oltre ai nuovi rigassificatori, infatti, è previsto il raddoppio del gasdotto TAP, in cui Snam è implicata, che da Melendugno (Lecce) porta il gas dell’Azerbaijan verso il nord Italia e l’Europa.
Il vero problema è la domanda di energia che cresce sempre di più invece di diminuire, come sarebbe necessario. I presupposti stessi del sistema capitalista si basano su un’iperbole di crescita infinita, a livello economico, industriale e tecnologico. Cementificazione e produzione industriale di massa, spesso di merce di veloce deperimento, hanno un impatto energetico e quindi ecologico devastante, solo per citare alcuni dei molteplici aspetti che rendono impossibile in un mondo così organizzato (e imposto) un decremento del fabbisogno globale. Ma ora la domanda di energia sta crescendo in un modo mai visto prima, con gli investimenti pubblici e privati che si stanno concentrando in produzioni energivore come l’hi-tech, il digitale, l’IA, i data-center, l’automazione, la robotica, l’industria militare e l’aerospaziale.
I piani di riarmo dell’Europa (ReArm EU) e quelli per l’approvvigionamento e la transizione energetica (RePower EU), dal gas al nucleare ma che non tralasciano le stesse “rinnovabili”, rispondono alle medesime logiche del complesso militar-industriale e viaggiano su un binario parallelo. Mentre UE e Italia si apprestano a spendere centinaia di miliardi di euro per l’acquisto di armamenti e la costruzione di grandi opere e rigassificatori, non un euro è giunto degli 1.2 miliardi del Pnrr promessi da Von Der Lyen e struttura commissariale per le persone alluvionate dell'Emilia-Romagna, mentre continuano come sempre i tagli a sanità e spesa sociale per dirottare fondi verso Interno e Difesa. Ordine poliziesco e opzione militare, guerra interna e guerra esterna, sono sempre più connessi. Il nuovo DDL sicurezza, con più tutele e poteri alle polizie e repressione sfrenata contro chi protesta, si situa perfettamente in questo contesto. In un presente segnato da conflitti, massacri e genocidi che si stanno compiendo davanti ai nostri occhi - pensiamo solo a quello in corso nella Striscia di Gaza, commesso per mezzo delle armi che transitano anche nel porto di Ravenna - non può esserci ecologismo possibile senza antimilitarismo e anticapitalismo.



  

SABATO 12 APRILE / RAVENNA / ORE 14.00
CONCENTRAMENTO IN PIAZZALE ALDO MORO 
CORTEO NAZIONALE “USCIAMO DALLA CAMERA A GAS”.
CI RITROVEREMO DIETRO LO STRISCIONE “CONTRO GUERRA E NOCIVITÀ”.
Graditi cartelli e bandiere di area libertaria, antimilitarista, anticapitalista e contro le grandi opere.  


Brigata Prociona Imola / Collettivo Samara
Centro Sociale Anarchico Capolinea Faenza 
Equal Rights Forlì 
Centro Sociale Anarchico Spartaco Ravenna
Piccoli Fuochi Vagabondi
Spazio Libertario “Sole e Baleno” Cesena 
Assemblea Anarchica Imolese/ Vascello Vegano.
  

DAZI E FALSITÀ PERSISTENTI    
di Luigi Mazzella
 

Sarebbe oltremodo ragionevole analizzare il comportamento di Donald Trump “sui dazi”, mettendo la sordina all’aggressiva “propaganda” della Sinistra mondiale che, duramente sconfitta alle elezioni statunitensi ed in crisi evidente in tutte le sue vere e proprie “filiazioni” dei Paesi dell’Occidente scatena, a ogni  piè sospinto, nel nuovo e nel vecchio continente, uragani politici che trovano, a causa della presenza di visioni (religiose o politiche) esclusivamente assolutistiche, irrazionali e inconciliabili, popolazioni  divise e frantumate. E ciò per effetto della scomparsa di ogni tipo di solidarietà (personale, familiare, nazionale). Occorrerebbe, in altre parole, ispirandosi alla saggezza del noto brocardo latino, ricordarsi che “Qui suo iure utitur neminem laedit” e che uno Stato, ha certamente il diritto di modificare il proprio sistema fiscale. Nel caso specifico, la riforma del Fisco statunitense era già nel programma elettorale di Trump di “salvare e rilanciare” l’economia del proprio Paese. Era scontato, quindi, che il Presidente neo eletto dovesse fare di tutto per perseguire l’obiettivo promesso. Gli “alti lai” dei Paesi esportatori devono considerarsi equivalenti, nella sostanza, in tutto alle proteste ipotizzabili degli immigrati se gli Stati del Mediterraneo decidessero di applicare il loro diritto-dovere di difendere i “sacri” confini dei loro Paesi.
Sul problema dei dazi è verosimile immaginare che il neo eletto Presidente americano si sia avvalso degli studi di economisti di sua fiducia per realizzare il suo obiettivo e giungere alle conclusioni oggi note. Sulla base di tali risultati egli, con buona probabilità ha, conseguentemente deciso di agire con razionalità non disgiunta da sperimentazione concreta. E cioè in base ai canoni insuperati della civiltà greco-romana, all’origine di quella Occidentale, poi tradita a causa delle ben note invasioni barbariche di diversa provenienza.


La ballista di 800 miliardi
di armi

Ragionando con pacatezza, si dovrebbe ritenere del tutto conseguente alla sua scelta che il resto del mondo, per rispondere in modo adeguato alla tutela dei propri interessi segua lo stesso percorso logico, prima di assumere iniziative. E ciò senza pretendere di interferire, biasimare o condannare scelte altrui, liberamente assunte e conformi alle regole dello Stato di diritto prima che della democrazia. Questo ragionamento non farebbe una grinza se non ci trovassimo di fronte a un Occidente in preda a una progressiva e inarrestabile follia collettiva. Seguendo gli irrazionalismi che costituiscono l’unica essenza della sua “cultura” (termine inappropriato, data la totale assenza di un pensiero libero non condizionato da credenze, ma invalso, ormai, nell’uso comune) la parte di mondo da noi abitata, a differenza del resto del globo che non presenta nulla di pari ferocia, si massacra al suo stesso interno con atti aggressivi e violenti che, come suole dirsi, sul terreno di guerra “non lasciano prigionieri”. E ciò sia per gli irrazionalismi e assolutismi religiosi, sia  per gli irriducibili  fanatismi ideologici. E così, mentre sul piano religioso i fedeli di Mosè massacrano quelli di Maometto (che reagiscono sul campo e anche oltre i loro confini con attentati e tagli di gole), i seguaci degli hegeliani di Destra e di Sinistra (questi ultimi unitisi sotto il manto protettivo del Partito Democratico di Obama e di Biden e sorretti dall’Intelligence e dalla Casta militare dell’intero Occidente) tendono reciprocamente a eliminarsi dalla scena politica. Allo stato, entrambe le guerre che un tempo si consideravano appannaggio solo degli “opposti estremismi” e che oggi sono divenute furibonde anche per il mutato comportamento delle ali cosiddette “moderate” sono in pieno svolgimento: sul fronte religioso è Israele a segnare punti a proprio favore in termini  di distruzioni belliche; su quello politico l’armata della Sinistra, con uno strombettio mass-mediatico a dir poco imponente e con l’aiuto istituzionale dell’Unione Europea, tende a mettere in angolo, puntando ad annientarli, i nuclei sparsi della Destra mondiale. Lo stravolgimento intervenuto nella sua vita politica porterà in maniera inevitabile al suo diapason la follia, già avanzata, dell’Occidente. Gli eccessi, le disumanità, le panzane clamorose della propaganda, le aberrazioni compiute nei fumi delle battaglie sui mass media (e non solo) condurranno a risultati ancora più aberranti di quelli attuali: è prevedibile che qualche ebreo dissenziente sia indotto a rivoltarsi contro lo Stato ebraico e che persone che non hanno mai votato per un partito di destra lo facciano per contrastare e arginare l’attuale egemonia aggressiva e violenta della Sinistra. Il risultato sarà paradossale: la vita degli Occidentali passerà dagli eccessi di un certo segno, religioso o politico, unicamente a quelli di segno diametralmente opposto ma di uguale illogicità e nefandezza. E, trattandosi di una lotta fra irrazionalismi imperterriti presenti nell’un campo e nell’altro, gli errori strategici e tattici sono e saranno, per così dire, “all’ordine del giorno”.   
 
 

 

 

venerdì 4 aprile 2025

RIARMO
di Franco Astengo
 


Transizione ecologica e transizione digitale 
 
Dove ci porterà il combinato disposto tra guerra dei dazi e riarmo in quella che nella situazione internazionale appare la frontiera bellicista più prossima?
Quanto la prospettiva di guerra commerciale e di guerra “guerreggiata” inciderà sullo sviluppo delle due grandi transizioni che risulterebbe necessario compiere per approdare ad una idea di equilibrio nella crescita e nello sviluppo: la transizione ecologica e quella digitale? Questo interrogativo vale di più in particolare nel momento in cui enormi risorse e fattori fondamentali di know-how (penso all’utilizzo di IA, al ritorno al nucleare ecc., ecc.) saranno destinati all’armamento. Domande difficili e risposte ancor più problematiche mentre continuano a cadere le bombe su tanti scenari a livello mondiale: un cader delle bombe che non si arresta neppure di fronte a enormi tragedie naturali quale quella accaduta in Birmania (Myanmar). All’interno di questo quadro complessivo la posizione dell’Italia appare difficile anche rispetto agli altri paesi UE (Francia, Germania, Spagna) soprattutto sotto l’aspetto del posizionamento tecnologico. Ci riferiamo alla tecnologia necessaria per fronteggiare lo stato di cose in atto. Secondo i dati dell’Epo (European Patent Office), cioè l’ufficio brevetti europeo, nei principali settori di brevettazione tecnologica (informatica, macchinari elettrici, comunicazione digitale, prodotti farmaceutici, chimica fine organica, ecc.) il posizionamento dell’Italia appare nettamente inferiore al livello medio europeo anche considerando i dati al netto di trasporti e macchinari dove comunque non eccelle. I settori-chiave della transizione ecologica e di quella digitale appaiono completamente trascurati sotto l’aspetto dei tassi di crescita in termini di valore aggiunto (comprensivi di salari, profitti e livelli di conoscenza incorporati). Nel settore della produzione di macchinari industriali l’Italia è presente con pochi grandi player che esprimono un impatto limitato sull’industria nazionale. A conferma di questa tendenza l’EPO conferma come la Germania detenga il 60% dei brevetti europei, la Francia il 6,9%, l’Olanda il 5,6% e l’Italia il 5,3%: questi dati indicano con chiarezza dove si rivolge il ReArm inteso quale fattore di promozione della riconversione industriale anche rispetto alla conclamata “guerra dei dazi”.



Una promozione di riconversione industriale non soltanto semplicemente rivolta alle vicende belliche in corso o futuribili sul terreno del Vecchio Continente. L’Italia sta vivendo da molti anni un fenomeno di de specializzazione che influisce negativamente sulla dinamica economica e presenta conseguenze dirette sul posizionamento internazionale e sulle condizioni economiche interne (stagnazione salariale, povertà). Così sarà difficile se non impossibile affrontare il futuro e contribuire, eventualmente, a una risposta adeguata alla situazione in corso da parte di un’Italia in declino e orientata quasi esclusivamente verso la tecnologia militare (che include l'idea del ritorno al nucleare). Servirebbe una proposta di radicale trasformazione della struttura economica derivante dal lanciare una vera e propria sfida sistemica da elaborare portando al centro l’antica domanda sul cosa produrre e sul senso della crescita: soltanto così potrebbe scaturire una risposta europea unitaria. Risposta europea per la quale però sembrano proprio mancare le condizioni politiche e anche istituzionali. La sinistra avrebbe il dovere di muoversi sul terreno che si è cercato fin qui di indicare promuovendo un’elaborazione di dimensione sovranazionale: per adesso però sembrano prevalere incertezza e confusione.

LE “GANGS OF WESTERN WORLD”  
di Luigi Mazzella


 
Dopo l’esclusione eclatante (l’aggettivo, non a caso è di origine francese), con sentenza giudiziaria, dalla prossima competizione elettorale della candidata, probabile nuova Presidente della Repubblica d’Oltralpe, Marine Le Pen, è molto probabile che al film “capostipite” di Martin Scorsese Gangs of New York (imitato in Italia dal serial recentissimo Gangs of Milano) segua l’improcrastinabile “colossal” Gangs of Western World. Chi ne sarà il regista e lo sceneggiatore? Non è una previsione facile, perché i protagonisti della pièce sono di calibro eccezionale. Nel film (o serial) la Gang della Sacra Sinistra Unita dovrebbe essere costituita:
1) dalle maggiori Istituzioni pubbliche del “Grande Occidente” cosiddetto “Democratico”; 
2) dai partiti (privati) sedicenti “progressisti”;
3) dalle centrali finanziarie delle monete dominanti (dollaro ed euro) e dalle lobbies che le gestiscono;
4) dalle agenzie di “intelligence” del Nuovo e del Vecchio Continente, interconnesse dopo le cosiddette “deviazioni” operate da quella statunitense;
5) da una parte cospicua delle forze armate e dei magnati dell’industria bellica ;  
6) da appartenenti agli ordini giudiziari, di polizia e dei vertici amministrativi; 7) da molti cosiddetti “intellettuali” operanti nei settori del cinema, della televisione, dell’editoria della carta stampata, dell’Accademia (di origine platonica e osservante scrupolosa del verbo dei “maestri”).



La Gang della Destra Conservatrice, allo stato, meno organizzata perché costituita solo recentemente, dovrebbe comprendere:
1) grande parte del Partito Repubblicano statunitense e dai rappresentanti dissidenti degli Ordini affiliati alla gang avversaria;
2) pochi ma agguerriti intellettuali e accademici;
3) i magnati dell’high tech e dell’industria spaziale; 
4) i sostenitori di sistemi finanziari nuovi ed originali (cripto-valute).
I mezzi necessari alla realizzazione dell’opera dovrebbero essere notevoli: lo “scontro” tra i due nuovi “Mostri della Politica” minaccia di essere squassante, una vera lotta senza quartiere tra gangs aperte a ogni violazione dei più sacri diritti umani e all’uso maggiormente cinico e spregiudicato di manipolazione propagandistica. È prevedibile che si possa assistere a un mutamento radicale del linguaggio politico. Persino i finti “buonisti”, i pretesi fautori di nobili principi e di alti valori, gli assertori indefessi di battaglie per i diritti umani, per la vera e profonda democrazia, per il benessere universale potrebbero mettere la sordina ai loro falsi propositi e concentrarsi nella diffamazione degli avversari (definiti ora populisti, ora sovranisti, se non criminali e delinquenti). 
Chi è interessato alla realizzazione del colossal deve, però, sbrigarsi, perché il tempo necessario per giungere al definitivo, spengleriano “tramonto dell’Occidente” stringe paurosamente. Le cinque “irrazionalità” della cosiddetta Cultura Occidentale (da me sempre ricordate) spingono i capi delle rispettive gang allo scontro anche armato e, probabilmente nucleare. Si dice che Hitler, sperando di anticipare gli Americani del Nord per la scoperta del fungo atomico, da uomo di fede religiosa abbia detto: Dio mi perdoni gli ultimi minuti di guerra!
Domanda: Si può essere sicuri che tra i fautori del riarmo europeo non vi siano suoi “eredi”?
 

 

AL TEATRO COMUNALE DI CORATO
Lo Shakespeare di Zaccaria Gallo




LA SVEDESE AL CE.C.A.M. DI MARCONIA



Sabato 5 Aprile 2025, alle ore 18:30, nella sede dell’Associazione Culturale Ce.C.A.M., in Piazza Elettra, a Marconia, sarà presentato il libro La Svedese (amori imperfetti) di Gianfranco Blasi.  Dopo i saluti di Antonio De Sensi (Assessore alla cultura del Comune di Pisticci) e Giovanni Di Lena (Presidente del Ce.C.A.M.) interverranno Nicola Pascale (Presidente Accademia Tiberina Lucana); Anna Maria Molinari (Docente) e Gianfranco Blasi (Autore).
“Non si fa che parlare di cambiamento climatico e di riscaldamento globale. L’ambiente con i suoi risvolti educativi e culturali è ormai al centro della nostra vita. Greta Thunberg è l’icona non solo giovanile di questa vera e propria rivoluzione. Certo ci sono anche i disobbedienti, gli eco-imbrattatori, quelli che provocano disordine e minano la sicurezza di ciascuno di noi. Ma la violenza a Napoli ha soprattutto un altro nome. Si chiama criminalità organizzata. È la camorra che sfigura la città. Un giovane ragazzo materano, collaboratore di don Paolo Cantisani, prete anticamorra, viene trovato ucciso in una macelleria dei Quartieri Spagnoli. Un luogo in cui regnano le baby-gang. Un territorio marginale, dove prevalgono la dispersione scolastica e la povertà educativa. Tocca alla tenente dei vigili urbani di Piazza Municipio, la napoletanissima Assunta Chiaromonte, iniziare la caccia agli assassini. È lei la protagonista di questo nuovo romanzo di Gianfranco Blasi. Un fisico da atleta. Bionda, slanciata, la chiamavano La Svedese”.
Gianfranco Blasi, è nato e vive a Potenza. Numerose le sue pubblicazioni. Saggista, romanziere e poeta che non smette mai di sperimentare. Ha curato la stampa e la diffusione di opere editoriali di tantissimi autori esordienti, valorizzandone talenti e creatività. Ha partecipato negli ultimi anni alla realizzazione di volumi collettanei su Dante e Pasolini, oltre a quelli di promozione di storia locale fra i quali Lucani per sempre e Terre Lucane. Il suo lavoro di maggiore successo di critica e di vendite è il romanzo storico La croce diversa (2018), Editrice Universosud, Potenza.

 

giovedì 3 aprile 2025

NO ALLA GUERRA E NO AL RIARMO!


 
IComitato Contro la Guerra di Milano, in linea coi suoi principi fondativi per cui è necessario creare un ampio movimento contro la guerra in grado di coinvolgere i più ampi settori della società italiana, partecipa e invita a partecipare alla manifestazione lanciata dal Movimento 5 Stelle che si terrà a Roma sabato 5 aprile alle ore 13.00.
Dinanzi agli attacchi da parte di coloro che hanno interesse nel riarmo europeo, da Calenda agli Elkann, riteniamo di vitale importanza far fronte comune per urlare NO ALLA GUERRA e NO AL RIARMO! Questa non è la fase dei distinguo ma dell'unità, volta a ridare al popolo italiano voce in capitolo su tutte le questioni riguardanti la propria sopravvivenza. Per questo, dopo aver aderito con convinzione al Tutti a Casa promosso da varie associazioni, fra cui OttolinaTV e Multipopolare, ci ritroveremo nello spezzone dietro allo striscione #TUTTIACASA che partirà dall’angolo Via Machiavelli/Via Giusti (lato parco).
Comitato Contro La Guerra - Milano

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