UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

giovedì 13 febbraio 2025

PRODUZIONE INDUSTRIALE
di Franco Astengo


 
Il peggio deve ancora arrivare
 
C’è un virus che non abbandona il corpo cronicamente debilitato dell'economia italiana. E non si tratta, per adesso, del germe cinese. Si chiama recessione e, anche se i valori delle analisi statistiche non lo accertano formalmente, in realtà agisce sotto traccia e continua a proliferare. Dopo i dati della scorsa settimana sul Pil, è di ieri un nuovo, allarmante sintomo: l'Istat ha certificato che a dicembre la produzione industriale italiana è calata del 4,3%. Una percentuale davvero considerevole. Questa la notizia di oggi e dai media si lanciano segnali d’allarme e l’ex-ministro e presidente dell’ISTAT Giovannini afferma “l’Italia è un paese senza progetto”. Vale allora la pena ritornare su questi (decisivi) argomenti con alcune osservazioni.
La situazione italiana può essere, ancora una volta schematizzata in relazione alla nostra storia industriale dal dopoguerra in avanti. Si tratta di argomentazioni già sostenute in varie sedi ma mai come in questo caso “repetita juvant”.
Il punto di partenza non può che essere quello degli anni ’70: la fase di avvio dello “scambio politico”, attraverso l’operazione “privatizzazioni” realizzate in funzione clientelare rispetto alla politica. Negli anni ’80 le compensazioni delle perdite avvennero a spese dei contribuenti (ricordate i BOT a 3 mesi?) con la relativa esplosione del debito pubblico e all’inizio degli anni ’90, finiti i soldi dello Stato, dichiarati incostituzionali i prestiti, l’IRI trasformata in S.p.a. L’esito più grave della fase dello “scambio politico” infatti, si realizzò in una condizione di totale assenza di un piano industriale per il Paese, mentre stavano verificandosi almeno quattro fenomeni concomitanti:
1) L’imporsi di uno squilibrio nel rapporto tra finanza ed economia verificatosi al di fuori di qualsiasi regola e sfuggendo a qualsiasi ipotesi di programmazione;
2) La perdita da parte dell’Italia dei settori nevralgici dal punto di vista della produzione industriale: siderurgia, chimica, elettromeccanica, elettronica. Quei settori dei quali a Genova si diceva con orgoglio “produciamo cose che l’indomani non si trovano al supermercato”;
3) A fianco della crescita esponenziale del debito pubblico si collocava nel tempo il mancato aggancio dell’industria italiana ai processi più avanzati d’innovazione tecnologica. Anzi si sono persi settori nevralgici in quella dimensione dove pure, si pensi all’elettronica, ci si era collocati all’avanguardia. Determinante sotto quest’aspetto la defaillance progressiva dell’Università con la conseguente “fuga dei cervelli” a livello strategico. Un fattore questo della progressiva incapacità dell’Università italiana di fornire un contributo all’evoluzione tecnologica del Paese assolutamente decisivo per leggere correttamente la crisi;
4) Si segnalano infine due elementi tra loro intrecciati: la progressiva obsolescenza delle principali infrastrutture, in particolare le ferrovie ma anche autostrade e porti e un utilizzo del suolo avvenuto soltanto in funzione speculativa, in molti casi scambiando la deindustrializzazione con la speculazione edilizia e incidendo moltissimo sulla fragilità strutturale del territorio.
5) La totale acquiescenza sia ai meccanismi imposti dall’Unione Europea in ossequio ai trattati e la conseguente subalternità ai processi di globalizzazione e di nuova dimensione dello scambio a livello internazionale.



Sono questi riassunti in una dimensione molto schematica i punti che dovrebbero essere affrontati all’interno di quell’idea di riprogrammazione e intervento pubblico in economia completamente abbandonata dai tempi della “Milano da Bere” fino ad oggi.
 Sarà soltanto misurandoci su di un’idea di progetto complessivo che si potrà tornare a parlare d’intervento e gestione pubblica dell’economia: obiettivo, però, che una sinistra rinnovata dovrebbe porre all’attenzione generale senza tema di apparire “controcorrente”. La stessa questione del “deficit spending” andrebbe affrontata in questa dimensione, al contrario di quanto stanno facendo gli attuali partner di governo confermando reddito di cittadinanza e quota 100 così come quest’ultimo provvedimento era stato congegnato dall’alleanza Lega - M5S.
Nel quadro di una resa ai meccanismi perversi di quella che è stata definita “globalizzazione” e dei processi dirompenti di finanziarizzazione dell’economia, “scambio politico” e assenza di una visione industriale hanno pesato in maniera esiziale sulle prospettive dell’economia italiana.
 I risultati di questi giorni ci indicano ancora una volta ci si sta muovendo in direzione ostinatamente contraria, recuperando il “peggio” degli anni passati: dall’assistenzialismo, alla subordinazione delle scelte al clientelismo elettorale che arrivato, proprio in occasione delle elezioni del 4 marzo 2018, a codificare su scala di massa il “voto di scambio”, come pure era già avvenuto su scala numericamente più modesta negli anni scorsi: ricordando “meno tasse per Totti” e il solito “milione di posti di lavoro”.
Ma forse, da questo punto di vista, ci trovavamo ancor in una fase artigianale e il peggio deve ancora arrivare.
 

SCRIVETE A XAVIER BETTEL PER ÖCALAN



Mr. Bettel
Chair of the Committee of Ministers of the Council of Europe
E-Mail: zoltan.taubner@coe.int  Boîte.officielle@mae.etat.lu
 cc: to Members of the Committee of Ministers 
 
Gentile signor Bettel,
il 15 febbraio 2025 ricorre il 26° anniversario del rapimento del leader del popolo curdo Abdullah Öcalan che da allora è detenuto nell'isola-prigione turca di Imrali. Le visite della sua famiglia e dei suoi avvocati hanno seguito l'arbitrarietà politica dei governi turchi. Nel 2014, la CEDU ha stabilito che la condanna all'ergastolo aggravato di Öcalan, che esclude la possibilità di libertà condizionata, violava la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. La Corte ha raccomandato alla Turchia di modificare le proprie leggi per garantire che i detenuti siano informati della possibilità di essere rilasciati, nota come Diritto alla Speranza. In occasione della riunione del 17-19 settembre, il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha nuovamente esortato la Turchia a prendere provvedimenti immediati per conformarsi alla norma CEDU del 2014. Il Comitato ha avvertito che avrebbe preso in considerazione la stesura di una risoluzione provvisoria se non fossero stati compiuti progressi entro il 20 settembre.
Dal 10 ottobre 2023, milioni di persone in Kurdistan e in tutto il mondo hanno partecipato alla campagna “Libertà per Abdullah Öcalan - Una soluzione politica per il Kurdistan” per attirare l'attenzione sulla situazione di Öcalan e richiamare l'attenzione del mondo sulla via della pace.
L'importanza politica di Öcalan per il conflitto turco-curdo non può essere sottovalutata e una risoluzione del conflitto turco-curdo, che ora si è esteso oltre i confini della Turchia con l'attacco, l'invasione e l'occupazione da parte dell'esercito turco di aree nel nord della Siria e dell'Iraq, potrebbe portare la pace anche in Medio Oriente. Oltre a 69 premi Nobel, 1.500 avvocati di diversa provenienza insieme a persone di diverse professionalità (sindacati, movimenti sociali, partiti politici, funzionari eletti, artisti, intellettuali, attivisti e milioni di curdi e loro sostenitori) hanno lanciato un appello anche al CoE e al Presidente della Repubblica di Turchia per porre fine alla detenzione in isolamento di Öcalan e rilasciarlo. Inoltre, sono state fondate numerose reti internazionali che lavorano per il suo rilascio e i loro sforzi continuano tuttora.
Il fatto che le delegazioni politiche del partito DEM (Partito Popolare per l'Uguaglianza e la Democrazia) ricevano ora selettivamente il permesso di visitare Öcalan in carcere, grazie alle pressioni del CoE e delle organizzazioni politiche e della società civile mondiale, può essere uno sviluppo positivo. Tuttavia, Öcalan è ancora un prigioniero politico detenuto in violazione di diverse leggi e convenzioni sui diritti umani. La situazione attuale dimostra quanto poco la leadership e il governo turco credano nella pace, quando la dichiarazione di Nelson Mandela “solo un uomo libero può negoziare” risuona vera. È ora che il comitato ministeriale, alla luce dei recenti sviluppi, assuma una posizione proattiva verso una risoluzione definitiva della questione. Öcalan ha espresso la sua volontà di trovare una soluzione pacifica, nonostante le condizioni diseguali.
Al leader curdo Abdullah Öcalan deve essere permesso di incontrare i suoi avvocati e la sua famiglia e, infine, essere liberato in condizioni che gli permettano di svolgere un ruolo nella ricerca di una soluzione politica giusta e democratica al decennale conflitto curdo in Turchia.
Spetta ora al Comitato dei Ministri compiere passi concreti sul piano legale, diplomatico e politico per la liberazione di Öcalan e per una soluzione politica della questione curda.
Grazie per il tempo e la considerazione,
 
Angelo Gaccione, scrittore, Milano -Italia
e tutti i collaboratori del giornale “Odissea”
 
zoltan.taubner@coe.int 
Boîte.officielle@mae.etat.lu

 

LA BANCAROTTA MORALE DI ISRAELE
di Franco Continolo



Dopo il successo ottenuto con la firma del cessate-il-fuoco a Gaza, un po’ di ottimismo sul piano di Trump era giustificato. Ma ora, dopo l’ennesima conferma - ieri c’è stato l’incontro con il re Abdullah di Giordania - che il piano non è un diversivo, e che Trump intende veramente espellere i palestinesi da Gaza, Larry Johnson ammette l’errore. Va notato che ieri Trump non si è limitato a sostenere il suo irrealistico piano, ma si è schierato apertamente con Israele - ha, per così dire, gettato la maschera del mediatore. Ciò fa pensare che Netanyahu troverà presto il pretesto per rompere la tregua. Il piano di Israele è chiaro: la pulizia etnica di Gaza e della Cisgiordania - il completamento della Nakba. La conferma viene dal robot Smotrich, il ministro delle Finanze. Il fatto che questo piano abbia l’approvazione degli israeliani della Diaspora, in particolare americana, indigna giustamente Peter Beinart che parla di bancarotta morale del mondo ebraico. Di bancarotta morale si può parlare anche nel caso della libreria di Gerusalemme. 

 

mercoledì 12 febbraio 2025

“I COLORI DEL BORGO” A MARCONIA



Sabato 15 Febbraio 2025, alle ore 18:30, nella sede dell’Associazione Culturale Ce.C.A.M. in Piazza Elettra, a Marconia, sarà presentato il libro I colori del borgo di Donato Mastrangelo. Dopo i saluti di Antonio De Sensi (Assessore alla cultura del Comune di Pisticci) e Giovanni Di Lena (Presidente del Ce.C.A.M.) interverranno Liliana Falotico (Docente di Storia e Filosofia); Antonio Rondilelli (Docente di Letttere); Pasquale Colle (Artista) e Donato Mastrangelo (Autore). 

 

PALAZZO MARINO IN MUSICA


Quartetto Vagus

Domenica 16 febbraio 2024 ore11.00 la Sala Alessi ospita il Quartetto Vagus, formato da giovani musicisti di diverse nazionalità che con la loro presenza e il loro impegno testimoniano la vitalità e l’eccellenza nella formazione musicale del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano, che dal 1808 continua a essere un faro per l’arte e la cultura a livello internazionale. In programma brani di Haydn, Šostakovič e Casella, compositore che ha avuto un legame importante con Milano attraverso il Teatro alla Scala dove sono state rappresentate diverse sue opere.


I biglietti d’ingresso sono gratuiti: a partire dalle ore 09.30 del giovedì precedente ogni concerto è possibile prenotarli online sul sito della rassegna (www.palazzomarinoinmusica.it) oppure ritirarli (fino a un massimo di due biglietti a persona) presso la biglietteria delle Gallerie d’Italia - Milano in piazza Scala, 6.


La rassegna è realizzata in collaborazione con il Comune di Milano, Gallerie d’Italia – Milano ed è organizzata da EquiVoci Musicali, con il sostegno di Intesa Sanpaolo.


Sponsor tecnico Fazioli.


La direzione artistica è a cura di Davide Santi e Rachel O’Brien


Palazzo Marino in Musica: Dal Rinascimento ad oggi


Sala Alessi - Palazzo Marino
Contatti: Ufficio Stampa: Andrea Zaniboni


Social Media Manager: Gledis Gjuzi
Tel. 349 8523022
info@palazzomarinoinmusica.it
www.palazzomarinoinmusica.it
Facebook, Instagram, YouTube: Palazzo Marino in Musica
 

 

 

 

ATENEO LIBERTARIO


Cliccare sulla locandina per ingrandire


HAIKU A TORINO




martedì 11 febbraio 2025

CRUCOLI
di Cataldo Russo


Scorcio del centro storico
 

Crucoli è un piccolo paese di circa 3.000 anime della fascia ionica calabrese in provincia di Crotone. È composto da un capoluogo, Crucoli, e dalla sua frazione Torretta. È lì che sono nato 76 anni fa ed è lì che ho vissuto fino a 21 anni, prima di esplorare altre realtà e altri mondi. È lì che sono le mie radici inestirpabili e il mio cuore, anche se ho adottato Milano come mia città di vita e di passioni. Credo che in questa mia scelta ci sia molto del paradosso di Joyce, il grande scrittore irlandese, che preferì vivere lontano dalla sua Irlanda perché in questo modo sentiva di amarla più intensamente. Anch’io sento di amare più intensamente il mio paese quanto più mi trovo lontano, perché la lontananza decanta e disintossica da pensieri assurdi di rivalsa e rinverdisce i ricordi. Inoltre, fa rivivere i momenti belli della mia infanzia, poverissima ma piena di volti, colori, profumi, ricordi e sogni.



Ritorno mediamente a Crucoli due volte all’anno e non ho mai tradito, mai! Crollasse il mondo io devo abbeverarmi alla fonte della mia prima infanzia perché so che quell’acqua mi darà la forza di superare momenti di sconforto ed ostacoli di ogni genere. Il fatto di vivere a 1200 chilometri di distanza mi permette di vedere i tanti problemi in cui si dibatte il mio paese sotto una luce diversa. Mi rendo conto che spesso chi vive lontano tende a ingigantire le colpe di chi è rimasto. Difficilmente cado in questo tranello perché so quanto è difficile la vita giù senza la certezza di un lavoro, una sanità che funziona, una scuola attenta ai problemi dei più fragili, un’attenzione ai problemi del territorio. Amo il mio paese, dicevo e di esso conosco storie, volti, leggende, infamie, gesti eroici, atti di cupidigia e di nobile altruismo. Tutti questi segreti me li porto dentro e non permetto a nessuno di profanarli. 


Veduta storica

Il semplice cittadino, il vacanziere o il forestiero che passeggia per le strade di Torretta di Crucoli, difficilmente si rende conto che sta camminando su 2.500 anni di storia. In effetti la sua architettura urbana, fatta di case, negozi, condomini che non hanno più di ottant’anni, ad eccezione di un paio di costruzioni che risalgono alla fine dell’Ottocento e un’altra che potrebbe essere datata alla metà del Settecento, non aiuta a immaginare che lì tanti anni fa c’erano insediamenti greci, ville patrizie romane, piazze, edifici pubblici, chiese, strade lastricate, muri di templi, eccetera. Io no. Io so che sotto i miei piedi è scorsa l’acqua degli Enotri, dei Greci, dei Romani, dei Turchi, dei Saraceni e di molti altri popoli ed etnie.


Spesso negli anni ’60 e ’70 durante gli scavi per costruire case, scuole, strade e piazze sono venute alla luce tombe con i corredi funerari, mura di ville, lastroni a spalla stretta, anfore onerarie, tubazioni fittili, puntualmente e frettolosamente distrutte e ricoperte di ghiaia e cemento, con la complicità delle autorità locali che hanno avuto pochissimo rispetto per la propria storia, le proprie tradizioni e il proprio passato, per poter andare avanti nei lavori di costruzione. La giustificazione più ricorrente che veniva data era che si trattasse semplicemente di fornaci per la costruzione di laterizi, ma non di ritrovamenti d’epoca greca o romana.

 

Resti della torre normanna

Crucoli capoluogo sorge su un gruppo di colline monche. Non ci sono certezze sull’origine del suo nome. Alcuni sponsorizzano le sue origini greche per cui il nome deriverebbe da “Kara kolos”, vetta monca o piatta; altri invece propendono per la derivazione latina “ocriculum”, ossia piccolo monte. Nell’uno o nell’altro caso il monte c’entra.  Su quelle colline e sui muri del vecchio castello mi sono arrampicato tante volte per prendere nidi, catturare uccelli o raccogliere le violacciocche, e tante volte sono caduto riempiendomi il corpo di lividi ed escoriazioni. Crucoli allora era un paese vitale, ricco di fantasia e iniziative e c’era anche il teatro di strada che si ricollegava alla commedia dell’arte e ogni anno preparava la “frazza”, la farsa, ma soprattutto c’erano numerose botteghe artigiane che spesso agivano come luoghi di socializzazione. C’erano una mezza dozzina di sarti, veri artisti del cucito, altrettanti barbieri, calzolai, fabbri ferrai, impagliatori, eccetera.  Le loro botteghe pullulavano di apprendisti e persone che vi si recavano per fare quattro chiacchiere. Io ho frequentato tutte quelle botteghe, perché il solo privilegio che i miei potevano permettersi era quello di tenermi a bottega dai 9 ai 15 anni. Lo studio è venuto dopo, quasi per casualità.


Palazzo Comunale

Si dice che dove si nasce si lascia il cuore. E io il mio cuore l’ho lasciato a Crucoli capoluogo. Come ho detto, ritorno almeno due volte l’anno, anche perché ho la casa a Torretta che reclama presenza, ma io sento di essere stato veramente al mio paese solo quando visito il cimitero del capoluogo, il santuario del 1300 dedicato a Maria santissima di Manipuglia, la Chiesa di Santa Elia del 1300, mi siedo e chiacchiero nella piazza Di Bartolo, quando rivisito La Chiesa Madre di San Pietro e Paolo del 1600 o quella di Santa Maria dell’Assunta, ancora più antica della Chiesa Madre,  inspiegabilmente demolita negli anni’60 per costruire la canonica. Molte le case e i palazzi che da ragazzo ho guardato con un senso di fascino e mistero pensando ai tesori che potessero nascondere. 


Santuario Manipuglia

E cosa dire del suo territorio segnato da grotte, anfratti e precipizi che da bambini esploravamo con la segreta speranza di impadronirci dei tesori che i briganti vi avevano nascosto nelle loro rocambolesche fughe.

Certo, la mano dell’uomo verso il territorio non è sempre stata benevole. Si sono abbattuti con troppa facilità vecchi palazzi e case che avevano una storia e un’anima per costruirne delle nuove, si è costruito quasi a ridosso della battigia, sono stati deviati i corsi dei torrenti e della fiumara, sono stati disboscati ettari di boschi ricchi di biodiversità nell’indifferenza di chi avrebbe dovuto vigilare e preservare. Per non dire dei numerosi interventi che sono stati fatti sui muri del castello risalente al X-XI secolo mirati a spalmare malta su malta fino a coprire le pietre di cui era fatto, senza minimamente pensare che invece occorreva scavare per fare emerge stanze, suppellettili, libri, forzieri e armi sepolte sotto le macerie causate da vari crolli.

 
La spiaggia di torretta in una foto
anni sessanta

Un’altra cosa che mi fa rabbia è pensare che il museo archeologico aperto nella splendida villa Ciuranà più di vent’anni fa, sia perennemente chiuso per l’incapacità di saperlo o volerlo gestire. 

Quando attraverso le vie di Crucoli sento ancora gli antichi profumi di fagioli cotti nelle pignatte di terracotta, di salsiccia e pancetta arrostita sulla brace, di “pipi e patate”, ma soprattutto sento l’odore della sardella, il caviale dei poveri, un impasto di neonata di sarda, dopo averla fatta maturare in salamoia, con pepe rosso e aromatizzata con finocchio selvatico. Con la sardella si possono condire gli spaghetti, fare le uova strapazzate o semplicemente spalmarla su una fetta di pane con un po’ di olio di oliva e gustarla accompagnandosi con un buon bicchiere di vino locale, il Cirò, perché Crucoli fa parte del comprensorio che produce questo prezioso nettare risalente ai tempi degli Enotri e dei Greci.   

ALBUM

Santi Pietro e Paolo


La Torretta









POETI
di Laura Margherita Volante



Colibrì


Diamanti nella vetrina
son le gioie del mercato.
Il nero velluto e le luci ne
esaltano la bellezza.
il valore glielo dà il mercato...
Tutto è un mercato!
Questione di mercato!
Quel dipinto non ha mercato!
Il mercato decide ricchezza e
povertà,
pure l’uomo è una merce
a peso d’oro o di niente.
Il mercato va su e giù...
Il valore va su e giù
come il calcio in un
pallone...
Tutto un sali e scendi
Osiris non c’è più a
far sognare e neppure
Maradona.
L’amica o l’amico
a ridere, a piangere e a vivere
insieme
non si compra e non si vende
sul tramonto.
Son gemme senza cartellino
i monti, il mare, il cinguettio del
colibrì.
Vola felice, avanti e indietro
librandosi fra mille colori
su sé stesso,
tuffatore dell’aria e
delle nuvole compare e scompare
Non è che la vita che si fa sogno
in un sorriso.

 

CONFLITTO GIUDICI GOVERNI   
di Luigi Mazzella


 
Il match che appassiona l’Occidente
 
Non si è rilevato a sufficienza che l’uso dei tazebao con slogan propagandistici delle varie parti politiche nelle aule parlamentari è un chiaro segno del decadimento dell’istituzione rappresentativa della nostra cosiddetta  democrazia”. Gli eletti dal popolo Italiano, verosimilmente, non credono più di poter raggiungere risultati utili a una accettabile se non tranquilla convivenza grazie all’uso colloquiale del linguaggio e delle parole, consapevoli, come, molto probabilmente,  sono diventati, che una cultura composta da tre assolutismi religiosi e due politici, irriducibili e inconciliabili, determinando il sonno della ragione possa solo generare mostri (come insegna il dipinto di Goya). Dopo l’uso dei telegrafici cartelli propagandistici c’è solo da attendersi che deputati e senatori emettendo aspri  rumori gutturali (più simili ai ruggiti, agli ululati e ai barriti che non ai miagolii), affrontino l’inevitabile lotta corporale, con esito disastroso per gli esemplari più deboli. Nella sovrana assenza del potere legislativo, gli altri due (esecutivo e giudiziario) si menano botte da orbi, imitando ciò che avviene anche negli Stati Uniti d’America ritenuto (non si sa ancora per quanto tempo, dato il visceralismo anti-Trumpiano diffuso dai “Democratici” transnazionali presenti in tutto l’Occidente) “Paese Guida” delle “Democrazie” (in cui il popolo con somma e callida  ironia, continua a essere definito “sovrano”). In quel Paese, ritenuto supremo garante dei diritti umani nonostante l’ inutile atomica a Nagasaki, il napalm in Vietnam e il waterboarding a Guantanamo, il Ministro per l’efficienza nella vita amministrativa del Paese, su incarico del Presidente della Repubblica, si apprestava a eseguire un controllo sulle spese militari, quando è stato “bloccato” da un ordine del potere giudiziario che  gli vietava e impediva di svolgere un ruolo che, secondo il risultato delle nobili fatiche del volenteroso Montesquieu di qualche secolo fa, si doveva ritenere  appartenente al governo. Gli esempi fanno scuola. In Italia, mentre le forze politiche sostengono accese discussioni sulla linea del governo di sistemare gli emigranti in Albania con l’uso di dispendiosi mezzi economici (ritenuti dalle opposizioni degni di miglior causa) un organo giudiziario decide non di togliere ma di aggiungere “castagne al fuoco” (id est: altre spese per il viaggio di ritorno) ordinando il rientro degli immigrati “deportati” nei nostri confini. Ciò non basta. A bloccare sostanzialmente o a perseguire, in vario modo, sul piano giudiziario, iniziative del governo si pongono addirittura  i rappresentanti della pubblica accusa, sorretti nelle loro iniziative dal clamore suscitato da rappresentanti del sistema mass-mediatico nazionale.



La gente comincia a capire sempre meno ciò che accade e si dimena  nel marasma di idee più assoluto. Le polemiche in corso per la separazione delle carriere di organi giudicanti e requirenti aumentano la sua confusione mentale. C’è chi si oppone alla separazione, dando un’interpretazione del tutto anomala e contraria alla sua etimologia della parola “giurisdizione” (dal romano iuris dictio) di cui i pubblici ministeri pretendono di fare parte (come, a loro dire,  dimostrerebbe l’unificazione della loro carriera a quella dei giudici). C’è invece chi auspica la separazione, sostenendo che la verità è ben diversa. Il potere di ius dicere (id est: giurisdizionale = stabilire qual è il diritto e dalla parte di chi sta) competerebbe solo a chi giudica e non a chi accusa. Altrimenti, si osserva, si finirebbe con il dire che una parte del processo, a differenza dell’altra, abbia un ruolo diverso e più pregnante  nella decisione. 
Anche un “quidam de populo” comincia a chiedersi dove vada a finire la tanto millantata equivalenza di accusa e difesa nel contraddittorio. Essa varrebbe nelle cause civili per gli avvocati dell’Avvocatura dello Stato  e non in quelle penali per gli avvocati della Pubblica Accusa? Perché mai?
Esaminare quali effetti sulla vita sociale e collettiva italiana abbia prodotto e produca una situazione così confusa potrebbe avere un senso se lo scontro tra Magistratura e Governo non avesse assunto proporzioni di tale entità da mettere a rischio di crollo tutta l’impalcatura di uno Stato, ancora detto, senza pudore alcuno, “di diritto”. Allo stato delle cose non c’è che da attendere e chiedersi nel frattempo, se non si condivide la mia tesi sui cinque assolutismi inconciliabili e generatori di irrazionalismi irriducibili, quali siano le ragioni di tanto caos nella vita dell’Occidente.
 

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DA GAZA




lunedì 10 febbraio 2025

LA CINA È VICINA
di Luigi Mazzella
 


 
Non è solo il titolo di un film.
 
Se si ritiene che l’agire con raziocinio, con lucida e logica determinazione, rappresenti la condizione umana migliore per il progredire di una civiltà e per stabilire relazioni di buona convivenza con gente di altra cultura, non v'è dubbio che la Cina con la percentuale del 67% di non credenti, di atei, agnostici e razionalisti sia in posizione di netto vantaggio rispetto al resto del mondo. Persino il contagio subito dell’assolutismo marxista comunista di matrice teutonica è stato neutralizzato dall’uso del raziocinio ed oggi l’economia cinese è tra le più floride e avanzate del mondo.
L’Africa e la zona Medio Orientale, con la loro percentuale del 15% di non credenti, costituiscono il fanalino di coda del Pianeta, quanto a evoluzione del pensiero e della civiltà, e probabilmente sono destinate a logorarsi anche in futuro da quelle guerre che da millenni rappresentano il loro pane quotidiano. Chi crede in Dio è portato a distruggere, annientare, massacrare   gli “inimici sui” senza limiti temporali, permanentemente. 
Gli Europei, invece, con il 43% di credenti e il 57% di atei, agnostici e razionalisti costituirebbero la parte di mondo più vicina a quella cinese; anche ai fini della possibilità di un dialogo, in vista di un diverso assetto geopolitico del globo. Esso, infatti, si svolgerebbe, senza lo schermo della passionalità e dell’emotività religiosa e ideologica che ha un effetto obnubilante per intelligenza e per la razionalità dei comportamenti politici.
Certo, pesa ancora sugli Europei il condizionamento ideologico che gli Stati Uniti d’America ai fini del “divide et impera” hanno mantenuto in vita, appoggiandosi ora ai post fascisti e ora ai post-comunisti per avere il controllo delle loro colonie europee e che anni di malgoverno emotivo nel vecchio continente   in nome dell’una o dell’altra aberrante ideologia post-hegeliana hanno rafforzato, generando illogici, irrazionali e innaturali legami geopolitici. Oggi, però, la politica annunciata da Trump per l’Europa consentirebbe alla libertà degli Europei di affrancarsi non solo dagli assolutismi religiosi ereditati dagli usi e costumi rimasti primitivi dei mediorientali ma anche delle utopie, ugualmente irrazionali e irrealizzabili degli eredi di Hitler, Mussolini e Franco, da una parte, e Lenin, Stalin e Fidel Castro dall’altra. In soccorso di una tale politica verrebbero sia la lezione della Storia con la memoria delle catastrofi provocate da tutti i fascismi e comunismi tirannicamente realizzati nel corso dei tempi, sia il ricordo di quella d luminosa filosofia stoica e presocratica del mondo greco-romano, impostata sull’empirismo, sulla sperimentazione e sulla razionalità più libera.
In conclusione: se i giovani del futuro liberi dai condizionamenti dei loro padri,  creduli e non pensanti, sapranno razionalmente intessere rapporti creativi e positivi con altri abitanti del globo, legati ugualmente alla ragione, alla concretezza della realtà, all’edonismo vitale  (che solo legittima l’esistenza terrena dei viventi), si potrà pensare che con vi sarà quel tramonto ipotizzato da Oswald Spengler  se non per tutto l’Occidente, almeno per quella parte di esso che avrà saputo liberarsi dalla logica del “credere”, instaurando quella del “pensare”.
 

IL PENSIERO DEL GIORNO



“La verità viene a galla da sola,
la menzogna ha bisogno di complici”.
Sigfrido Ranucci
 

SPILLI
di Laura Margherita Volante


 

Il fascismo è una mentalità”.

domenica 9 febbraio 2025

CHI TUTELA I TRAFFICANTI?
di Gian Giacomo Migone



 
 
È ormai chiaro che la presidente del consiglio è riuscita a trasformare il caso Almasri in una disputa contro il potere giudiziario in Italia, oscurando il patto scellerato tuttora vigente che consegna i sopravvissuti delle traversate clandestine alle guardie costiere libiche e, quindi, a campi di concentramento al di fuori di ogni controllo. È meno chiaro che buona parte dell’opposizione, rispondendo nella stessa chiave, sta contribuendo, a sua volta, ad oscurare la vera posta in gioco: quella di vittime inermi, prima ancora dell’indipendenza della magistratura. Resta, invece, del tutto nascosta la cattiva coscienza che spinge l’opposizione, consapevolmente o meno, a non smascherare se non, addirittura, a concorrere a questo espediente tattico del governo. Salvo la protesta delle SOS e qualche singola battuta - ad esempio di Formigli e della presidente di Magistratura Democratica - nessuno denuncia la radice del problema di cui la liberazione di Almasri, gestore del sistema di oppressione nei confronti degli emigranti, costituisce la coerente conseguenza. Si tratta dell’accordo sottoscritto dall’Italia - Renzi e Gentiloni consulibus - e poi assecondato dall’UE, con cui essa s’impegna a privilegiare la guardia costiera libica, consegnando ad essa i migranti sopravvissuti nelle acque del Mediterraneo. Per poi restituirli al porto libico tuttora dichiarato “insicuro” dalle competenti organizzazioni internazionali. Una parte, ma non tutta la maggioranza governativa di centro sinistra, a suo tempo si è opposta al rinnovo di quell’accordo, previsto in un comma surrettiziamente inserito in un provvedimento di altra natura. Non così Marco Minniti - prima sottosegretario con delega ai servizi segreti del governo Renzi e, successivamente, ministro dell’Interno del governo Gentiloni - autore dell’accordo raggiunto d’intesa con la rete degli scafisti, nel contempo adibiti a gestori di campi di concentramento libici, ad oggi inaccessibili dall’UNHCR e dall’OIM.
A suo tempo un editoriale del “New York Times” (25 settembre 2017) imputò all’Italia - dopo una precedente inchiesta (NYT, 17.9.2017) - a Minniti, la responsabilità di “essersi collocata nel ruolo di chi assume come sorveglianti [dei campi] la stessa gente che trae profitto con l’estorcere denaro, affamare, vendere come schiavi, torturare e stuprare migranti”. Una macchia, che annullò il credito conquistato in precedenza dalla nostra guardia costiera con il salvataggio di numerose vite umane, come riconosciuto dagli alti commissari per i diritti umani del Consiglio d’Europa e dell’ONU. Resta da spiegare la rinuncia, apparentemente paradossale, da parte di Meloni ad una chiamata a correo di una buona parte dell’opposizione, come in molti altri casi. La risposta è semplice. L’attuale governo non intende rinunciare alla paternità (o maternità) di una politica spregiudicatamente ostile ad ogni forma di immigrazione, anche legale e controllata, mettendo in pericolo l’accordo libico tuttora vigente. Preferisce tutelarlo con il ricorso al segreto di stato. È appena il caso di aggiungere che ogni opposizione, per risultare efficace, deve partire dal riconoscimento delle proprie responsabilità passate ed esigere la tardiva denuncia dell’accordo.  

RICORDO DI GIORGIO ROCHAT   
di Gabriele Scaramuzza


Giorgio Rochat

È mancato a Torre Pellice sabato 19 ottobre 2024 Giorgio Rochat, nato a Pavia il 4 aprile 1936. Conservava sicuramente ricordi personali della seconda guerra mondiale, che aveva attraversato da bambino. È stato allievo del Ghislieri, l’ho conosciuto al mio arrivo in collegio nell’autunno del 1958; era ormai laureando. L’anno successivo si laureò in Lettere (con 110 e lode) con una tesi su “Giovanni Breganze e la convenzione militare di Parigi (2 maggio 1915)”. Gli erano compagni d’anno Diego Lanza (grecista), Giuseppe Nava (italianista), Franco Pesenti (storico dell’arte), Mario Vegetti (filosofo); tutti appartenenti all’allora Facoltà di Lettere e Filosofia, e tutti studiosi di fama poi. Poco discosto Marco Vitale, tuttora attivo nel mondo degli studi giuridico-economici.
Insigne studioso di storia militare e politico-coloniale, era, presumo proprio per questo, animato da un profondo pacifismo. Dal 1978 al 1996 Rochat fece parte del direttivo dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia, e ne divenne presidente per quattro anni. Dal 1981 al 1989 ricoprì la carica di vicepresidente del Centro interuniversitario di studi e ricerche storico-militari. Dal 1990 al 1999 fu presidente della Società di studi valdesi a Torre Pellice.
A Pavia mi ha da subito colpito il suo modo singolare, unico anzi, di gestire il cosiddetto tirocinio matricolare (così era eufemisticamente chiamato dall’allora rettore del collegio, Aurelio Bernardi). Un modo allegramente umano, del tutto benevolo nei miei confronti; gliene sono sempre restato grato. Mi è rimasto vivo nella memoria, anche se non l’ho più rivisto; se non occasionalmente una volta in cui non ci siamo riconosciuti, su un treno verso Milano.
 
UN PENSIERO PER ROCHAT

di Angelo Gaccione


 
Avevo ricordato Giorgio Rochat martedì 26 settembre del 2023 nella Sala Conferenze di Palazzo Reale a Milano, in occasione del Convegno dedicato a don Lorenzo Milani di cui ricorreva il centenario. Il mio intervento verteva sul don Milani ferocemente antimilitarista e nemico delle guerre, e poiché avevo sostenuto uno degli esami del mio corso di laurea all’Università Statale di Milano con il prof. Rochat, che aveva inserito tra i libri del programma il celebre scritto del priore di Barbiana L’obbedienza non è più una virtù, che a don Milani aveva procurato un processo, non potevo non citare il professore. Lo ricordo magro e altissimo, un vero gigante, con in mano la sua borsa di cuoio e la falcata bella distesa. Aveva un sorriso simpatico e un eloquio marcato dalla “erre arrotata” che pronunciava come i parmensi. I capelli corti e un po’ ribelli contrastavano con il clima e le fogge di quel tempo che contrassegnavano le Università negli anni della contestazione. Aveva sì l’aria del professore, ma con un che di aristocratico. Purtroppo la mia condizione di studente lavoratore non mi permetteva che raramente di seguire le sue lezioni. Seppi molto più tardi che era di fede valdese questo docente, e destino ha voluto che nel 1985 scrivessi un dramma sul massacro dei Valdesi, La Porta del Sangue, avvenuto nella Calabria del tardo Cinquecento. Del libretto, introdotto da una splendida nota del sociologo e urbanista Roberto Guiducci, si occupò più volte la rivista dei Valdesi “Riforma”, e quando una compagnia teatrale decise di metterlo in scena, facemmo la conferenza stampa proprio nella libreria dei Valdesi milanesi di via Francesco Sforza, la Claudiana, che è attaccata al Tempio della Comunità. Negli anni successivi in quella libreria presentai tanti miei libri ed organizzai incontri culturali, mentre al Tempio ho continuato ad andare a sentire concerti di musica sacra di cui sono appassionato. Fu una sorpresa per me sapere che anche il poeta Franco Fortini era di fede valdese, ma lo seppi solo alla sua morte. 

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