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UNA NUOVA ODISSEA...
DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES
Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.
Angelo Gaccione
LIBER
L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

(foto di Fabiano Braccini)
Buon compleanno Odissea

1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)
domenica 6 aprile 2025
DIALOGANDO CON I MAESTRI
Angelo Gaccione
POETI
di Antonella
Rizzo

Antonella Rizzo
Fame
Ogni cosa deve crollare
invece resta immobile
tutto l’inutile è ancora
qui a chiudere le porte
a farsi memoria senza
aria, pietra per case.
Se non ci fosse più nulla
da riconoscere
se sparisse l’albero dal
ramo storto
e la rosa malata
ogni cosa sarebbe nuova,
potrebbe pensarsi.
Abbiamo bisogno di
distruzione,
la presenza occupa ogni
spazio tra cielo e strade
impossibile ogni verso
rapace
ogni predazione innocente
tutto è sfinito e non
muore, consuma e paga.
Abbiamo bisogno di essere
macerie
di quel silenzio del
crollo quando chi sopravvive ha fame vera.

Odio
E noi che andiamo senza
origine di verbo
di là dal fiume
diamo assedio alle ombre.
Qualcuno è venuto
dall'altra parte
dove le rive si uniscono
in trincee
e le soste non fanno
pane.
Prendiamo le case e le
teste bruciamo
e i denti e i cani e i
tappeti buoni di storia
ogni cosa qui è
nulla.
Due proiettili nella tasca
fanno odio
e per quello che
sappiamo
da questa parte del fiume
nulla fa più differenza.
WILLIAM BLAKE
di
Anna Rutigliano
Visionario sin dalla tenera età,
fervido sostenitore della rivoluzione francese e ribelle verso tutto ciò che
incatena l’immaginazione in regole e dogmi, Sir William Blake è noto
soprattutto per essere un abile incisore più che il poeta inglese della cerchia
dei romantici; si dice che, in punto di morte, stesse proseguendo la propria opera
di incisione della Divina Commedia del sommo poeta, commissionatagli dal
pittore John Linnel. Nella sua raccolta di poesie Songs of Innocence and of Experience, edita nel 1794 durante gli
anni del regime del terrore, e dal poeta definita “illuminated books”, libri
profetici, Blake ci rende partecipi di un vero e proprio viaggio metaforico-allegorico
negli stati contrari dell’anima e della coscienza che solo l’immaginazione,
vero motore della gnosi, può sintetizzare. Essa si materializza nella parola
poetica, superando la dicotomia fra bene e male e rendendo possibile la
simbiosi con il divino, con l’universo. Blake aspira dunque a superare sia la
concezione manichea veicolata dai rigidi dogmi delle istituzioni ecclesiastiche
della sua epoca, sia l’idea del peccato originale, causa di sofferenze
esistenziali. Esemplari a tal proposito sono i Canti dell’esperienza e dell’innocenza
intitolati ‘Lo Spazzacamino’ (The Chimney
Sweeper) in cui leggiamo versi altamente ossimorici: “and because I am
happy & dance& sing, they think they have done me no injury… who make
up a heaven of our misery/ e poiché sono felice danzando e cantando, loro
pensano di non avermi fatto del male, preti e re, i quali sono coloro che hanno creato il
paradiso della nostra miseria) o ancora nel canto ‘Londra’ (London), “but
most thro’ midnight streets I hear how the youthful Harlot’s curse blasts the
new born Infant’s tear…/ ma ciò che più odo, aggirandomi per le strade a
mezzanotte è la maledizione della giovane prostituta che inaridisce il pianto del
neonato…). Analogamente,
per il Canto The Human Abstract, ho cercato di
conservare la rima nella resa in lingua italiana. Qui il mistero del frutto
dell’inganno, di cui la Chiesa detiene il significato più profondo, assurge a
simbolo dei limiti imposti dalla ragione umana sull’antitesi fra bene e male,
creando false illusioni: una corrispondenza totalmente inesistente in natura. L’originalità
e universalità della poesia blakeana consistono nel dare voce poetica alle
miserie, timori e drammi dell’umana esistenza facendo appello alla facoltà
immaginativa capace di fondersi, proprio come in una incisione a rilievo su
lastra, con la Divina Immagine, custode di amore, grazia, pietà e pace.
Sunto
dell’Umanità
Pietà
non vi sarebbe,
se
non fosse creata la Povertà,
né
vi sarebbe Carità
se
tutti fossimo felici allo stesso modo.
Pace
porta la reciproca paura
Finché
l’amore di sé cresce in dismisura,
la
Crudeltà quindi tesse la sua trappola e
diffonde
le proprie esche con cura.
Con
sacro timore ella siede
inondando
di lacrime il terreno,
l’Umiltà
spunta allora sotto il suo piede.
Presto
la cupa ombra del Mistero
si
dispiega sulla sua testa
e
bruco e mosca ne traggono festa.
Esso
sostiene il frutto del Peccato,
dannato
e dolce a mangiarsi
mentre
il corvo, all’ombra più corposa
il
suo nido ha già formato.
Gli
Dei del Mare e della Terra invano
questo
albero in Natura hanno cercato:
è
tutto frutto dell’umana mente.
sabato 5 aprile 2025
PAREGGIO DI BILANCIO E COSTITUZIONE
di Alfonso Gianni
Schwarze
Null Auf Widersehen
I venti di guerra, in Europa e nel
mondo, sono talmente forti che travolgono facilmente quelle che erano ritenute
essere le pietre miliari su cui si fondava il credo neoliberista in tempi di austerity. Così può avvenire che la
Germania decida, con rapidità degna di miglior causa, di eliminare il cosiddetto
“freno al debito” inserito nel 2009 in Costituzione - come reazione alla grande
crisi economico-finanziaria iniziata a fine 2007 - che obbligava lo Stato
tedesco a mantenere il pareggio di bilancio. Così non si è aspettato che si
convocasse il nuovo parlamento, il Bundestag,
emerso dagli esiti del voto del 23 febbraio scorso, ma si è fatta passare la
modifica costituzionale nel vecchio parlamento, in modo da essere sicuri di
avere la maggioranza qualificata dei due terzi. Si è trattato di una fin troppo
evidente forzatura istituzionale, contro la quale l’opposizione di sinistra e
di destra - ovviamente con motivazioni diverse e discordanti - ha elevato
grandi proteste che però non hanno scosso la Corte Costituzionale di Karlsruhe
che ha ratificato l’astuzia della vecchia maggioranza considerandola del tutto
legale. Se la votazione fosse avvenuta nel nuovo parlamento non ci sarebbe
stata possibilità di fare passare il provvedimento, voluto fortemente dal
vincitore delle elezioni Friedrich Merz, sostenuto dalla Spd e dai sempre più
scoloriti Verdi, per il quale era necessaria la maggioranza dei due terzi, visto
l’incremento dei deputati della Linke e dei fascisti dell’Afd, malgrado che sia
venuta meno la presenza dei liberali e dei seguaci di Sahra Wagenect (questi
ultimi comunque contrari alla mossa della maggioranza). Pochi giorni dopo il Bundestrat - la camera alta che
raccoglie i rappresentati dei 16 lander
- ha reso definitiva la modifica costituzionale, con un voto che un tempo si
sarebbe detto (quasi) bulgaro.
La vecchia norma, entrata in vigore durante uno dei governi di
Angela Merkel, prevedeva che il debito pubblico tedesco non potesse eccedere lo
0,35% del Pil ogni anno, tranne che in situazioni del tutto eccezionali, quale
fu la pandemia di Covid-19. Era un vincolo molto rigido che in diversi
criticavano, ma che nessuno aveva avuto il coraggio di cercare di modificare,
malgrado che l’economia tedesca fosse entrata in recessione da almeno due anni
e che il debito pubblico non fosse certamente tra i più elevati in Europa. Per
la precisione il debito pubblico lordo tedesco in rapporto al Pil era, alla
fine del primo trimestre del 2024, pari al 63,4%, mentre nella media dei paesi
dell’eurozona tale valore si situava all’88,7% (in Italia ci trovavamo al
137,3% e in Francia al 110,8%). D’altro canto il rapporto tra deficit e Pil in
Germania era pari al 2,8% alla fine del 2024, in crescita non travolgente sui
valori dell’anno precedente.
Ma il sistema di guerra, nel quale la Ue è
ormai profondamente immersa, ha fatto saltare ogni mantra e ogni titubanza. Metz
ha cercato di mettere qualche foglia di fico sul suo piano, ma la spesa
militare è assolutamente prevalente. Si tratta di 500 miliardi di euro per
“implementare la difesa militare e le infrastrutture civili” e altri 100 per
finanziare ciò che resta della svolta ecologica varata dalla precedente
coalizione (detta Semaforo), per fornire una qualche giustificazione ai Verdi.
Inoltre la leva del debito permetterà al paese di contrarre prestiti per oltre
mille miliardi di euro. Le spese militari potranno così superare l’1% del Pil
all’anno, quindi circa 45 miliardi di euro. Come si vede lo spostamento di
risorse a fini bellici è ingente. Il piano di riarmo europeo, che ha cambiato
nome per il maquillage richiesto e
ottenuto da Giorgia Meloni, e che ora si chiama Readiness (Prontezza) 2030 non poteva che basarsi su questa svolta
storica di uno dei due maggiori contraenti il patto che ha originato la Ue,
cioè la Germania, dal momento che la Francia non aveva remore in questo campo
ed anzi era ed è già pronta ad offrire il proprio “ombrello nucleare” per
rispolverare in chiave bellica la sua grandeur,
negli ultimi anni piuttosto opacizzata. In altri termini il voto del parlamento
tedesco è in linea con l’intento espresso a chiare lettere dalla Commissione
europea di essere pronti alla guerra entro il 2030, visto che analisti di
provata fede atlantista stimano per quella data un attacco russo ai paesi della
Ue. Importa poco - a loro - che tale ipotesi non trovi conferma tra chi ha più
seriamente studiato l’evoluzione e l’involuzione della Russia ed i suoi
comportamenti concreti sullo scacchiere internazionale. L’idea che l’invasione
dell’Ucraina sia la pista di lancio per un attacco generalizzato all’Occidente,
corrisponde più a una giustificazione per alimentare una guerra per procura,
che non ad una previsione realistica.
Ma la decisione del parlamento tedesco ci
porta a considerazioni non solo negative. In sostanza l’interrogativo è il
seguente: è possibile trarre da una cosa pessima - il riarmo della Germania - un
insegnamento positivo? Trasformare una sciagura in un’occasione? Ovvero, più
precisamente, volgere il keynesismo bastardo (copyright Joan Robinson), in
questo caso militare, in un keynesismo che consista nell’allargare i freni
della borsa fino a prevedere una spesa in deficit finalizzata a un intervento
pubblico per un diverso modello di sviluppo sociale ed economico, in primo
luogo per difendere e ricostruire un welfare
bersagliato da una privatizzazione ormai totalizzante? Non può infatti sfuggire
che l’abbattimento del vincolo costituzionale sulla parità di bilancio potrebbe
essere utilizzato - in teoria - in modo ben diverso, anzi alternativo, a quello
dell’incremento della spesa bellica. Per quanto il passaggio dalla teoria alla
pratica sia assai arduo - lo era anche prima di entrare in un sistema di guerra
- mi pare non solo utile, ma necessario riaprire la discussione su questo
punto. In effetti già ci avevamo tentato in un tempo che, visto tutto quello
che ci è passato in mezzo, ci appare oggi persino lontano. Ma non dimenticato.
Nel nostro paese la legge costituzionale n.1 del 2012 ha introdotto nella Carta
costituzionale il principio del pareggio di bilancio (pudicamente chiamato
“equilibrio tra le entrate e le spese”). La riforma dell’articolo 81 Cost., che
conteneva questa norma, passò con la maggioranza dei due terzi in entrambi i
rami del parlamento alla seconda lettura. Quindi in base all’articolo 138 Cost.
non era possibile promuovere alcun referendum abrogativo. Nelle ultime battute
del dibattito parlamentare si chiese ai dirigenti del gruppo parlamentare del
Pd al Senato almeno di non partecipare al voto finale sulla legge di modifica
costituzionale, in modo da fare mancare il quorum dei due terzi e di rendere
così possibile il referendum che avrebbe quanto meno permesso di portare la
discussione al livello del paese, strappandola al chiuso delle aule
parlamentari. La risposta fu seccamente negativa. Si tentò allora la strada di
una legge di iniziativa popolare di modifica costituzionale, ma, al di là delle
parole, mancò poi la capacità - e più probabilmente la convinzione da parte di
alcuni - di raccogliere il numero sufficiente di firme nei tempi dettati dalle
norme che regolano la materia. Allora non c’era la possibilità, oggi invece
esistente, di raccogliere le firme anche online e neppure l’obbligo - anche se
per ora vale solo per il Senato in base al suo regolamento - di discutere e
decidere su una proposta di legge di iniziativa popolare entro un determinato
periodo dalla sua ricezione.
La necessità di evitare la
costituzionalizzazione del pareggio di bilancio non riguardava solamente
questioni di principio pur tutt’altro che secondarie, come quella che non
poteva essere preclusa in Costituzione una strada di politica economica -
peraltro già sperimentata nella storia in altri paesi - basata su un deficit di
bilancio che poteva finanziarsi non solo in base al ricorso al debito ma
soprattutto con l’incremento di Pil messo in atto dagli investimenti economici
e sociali di carattere pubblico. Cosa necessaria visto che le condizioni della
nostra economia e dell’occupazione all’inizio degli anni dieci erano in cattive
condizioni. D’altro canto neppure i vincoli europei erano tali da rendere
inevitabile la scelta del revisore costituzionale italiano. Le politiche di
austerità erano già cominciate e i documenti che venivano prodotti a livello
della Ue portavano tutti l’impronta del rigore. In questo quadro si collocavano
nuovi vincoli introdotti in quegli anni direttamente nella normativa europea e
in quella collaterale (Patto Euro plus e Six Pack del 2011, Fiscal Compact del
2012, Two Pack del 2013), ma da nessuno di questi atti si poteva meccanicamente
dedurre la indispensabilità di una modifica costituzionale nei Paesi soggetti
alla normativa europea. Lo stesso Fiscal compact si limita a una semplice indicazione
di “preferenza” della collocazione in Costituzione di “disposizioni vincolanti
e di natura permanente” sulle politiche di bilancio. Insomma, un conto è
praticare politiche di bilancio regressive, rigoriste, votate all’austerità,
anche per un non breve periodo, un altro conto è fissarle nel dettato
costituzionale al quale sono tenute ad obbedire le maggioranze politiche di
governo qualunque sia il loro colore politico. La responsabilità della modifica
negativa dell’art. 81 Cost ricade quindi sulle forze politiche italiane che
l’hanno votata. Il “ce lo chiede
l’Europa” era una fola. Del resto basta leggere - e capire - la nostra Costituzione.
Particolarmente nei suoi principi fondamentali che concernono i diritti. Questi
diritti, che nell’art.2 Cost sono dichiarati “inviolabili” sono collegati allo
sviluppo della personalità e richiedono in ogni caso “l’adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Una tutela che non
può essere abbandonata a seconda delle contingenze economiche. Tantomeno in
nome di quella guerra che l’Art.11 Cost. non solo “ripudia” come strumento di
offesa ma anche “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Per
queste ragioni di fondo il vincolo del pareggio di bilancio non ha ragione di
stare in Costituzione. Riaprire la discussione e l’iniziativa su questo tema
non solo è ancora più necessario di prima, ma possibile una volta che il totem
del pareggio di bilancio, dello Schwarze
Null è crollato in mille pezzi.
A RAVENNA IL DODICI APRILE
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Costruiamo assieme uno spezzone libertario, anticapitalista e antimilitarista contro le fonti fossili e il mondo che le necessita, il rigassificatore e la linea adriatica Snam ad esso collegata, la distruzione ambientale e delle altre specie animali, ma soprattutto il legame tra l’approvvigionamento di fonti energetiche e la guerra degli Stati e dei padroni.
Il prossimo 12 Aprile a Ravenna ci sarà la manifestazione nazionale “Usciamo
dalla camera a gas” indetta da comitati e associazioni ambientaliste. Come
libertari/e invitiamo alla partecipazione e alla formazione di uno spezzone
libertario, anticapitalista e antimilitarista per portare assieme ai contenuti
ecologisti anche una ferma opposizione alle politiche economiche e di guerra
dei padroni, in cui i progetti strategici e politico-economici legati agli
idrocarburi e al gas si inseriscono, ancor più dopo il conflitto in Ucraina e
la riduzione dei flussi di gas russo verso il continente europeo. Negli
ultimi anni il consumo di gas in Italia è calato rispetto al passato: consumiamo circa 60 miliardi di metri cubi di
gas all'anno che importiamo dall'estero, in più ne produciamo altri 3 miliardi.
Il GNL (gas liquefatto) che arriverà al rigassificatore di Ravenna da Qatar,
Algeria e Stati Uniti, che all’anno garantirà l’8% degli approvvigionamenti
italiani, oltre ad avere costi economici e un impatto ecologico molto superiori
rispetto al gas prodotto con le tecniche tradizionali, è un di più che l’Italia
venderà ai paesi dell’Europa centrale. Il governo Meloni, in continuità col
precedente esecutivo Draghi, e in piena sintonia con la Commissione europea,
vuol far diventare l’Italia un hub del metano nel Mediterraneo. Oltre ai nuovi
rigassificatori, infatti, è previsto il raddoppio del gasdotto TAP, in cui Snam
è implicata, che da Melendugno (Lecce) porta il gas dell’Azerbaijan verso il
nord Italia e l’Europa.
Il vero problema è la domanda di energia che
cresce sempre di più invece di diminuire, come sarebbe necessario. I
presupposti stessi del sistema capitalista si basano su un’iperbole di crescita
infinita, a livello economico, industriale e tecnologico. Cementificazione e
produzione industriale di massa, spesso di merce di veloce deperimento, hanno
un impatto energetico e quindi ecologico devastante, solo per citare alcuni dei
molteplici aspetti che rendono impossibile in un mondo così organizzato (e
imposto) un decremento del fabbisogno globale. Ma ora la domanda di energia sta
crescendo in un modo mai visto prima, con gli investimenti pubblici e privati
che si stanno concentrando in produzioni energivore come l’hi-tech, il
digitale, l’IA, i data-center, l’automazione, la robotica, l’industria militare
e l’aerospaziale.
I piani di riarmo dell’Europa (ReArm EU) e
quelli per l’approvvigionamento e la transizione energetica (RePower EU), dal
gas al nucleare ma che non tralasciano le stesse “rinnovabili”, rispondono alle
medesime logiche del complesso militar-industriale e viaggiano su un binario
parallelo. Mentre UE e Italia si
apprestano a spendere centinaia di miliardi di euro per l’acquisto di armamenti
e la costruzione di grandi opere e rigassificatori, non un euro è giunto degli
1.2 miliardi del Pnrr promessi da Von Der Lyen e struttura commissariale per le
persone alluvionate dell'Emilia-Romagna, mentre continuano come sempre i tagli
a sanità e spesa sociale per dirottare fondi verso Interno e Difesa. Ordine poliziesco e opzione militare, guerra interna e
guerra esterna, sono sempre più connessi. Il nuovo DDL sicurezza, con più
tutele e poteri alle polizie e repressione sfrenata contro chi protesta, si
situa perfettamente in questo contesto. In
un presente segnato da conflitti, massacri e genocidi che si stanno compiendo
davanti ai nostri occhi - pensiamo solo a quello in corso nella Striscia di
Gaza, commesso per mezzo delle armi che transitano anche nel porto di Ravenna -
non può esserci ecologismo possibile senza antimilitarismo e anticapitalismo.
SABATO 12 APRILE / RAVENNA / ORE 14.00
CONCENTRAMENTO IN PIAZZALE ALDO MORO
CORTEO NAZIONALE “USCIAMO DALLA CAMERA A GAS”.
CI RITROVEREMO DIETRO LO STRISCIONE “CONTRO GUERRA E NOCIVITÀ”.
Graditi cartelli
e bandiere di area libertaria, antimilitarista, anticapitalista e contro le grandi
opere.
Brigata Prociona Imola / Collettivo Samara
Centro Sociale
Anarchico Capolinea Faenza
Equal Rights
Forlì
Centro Sociale
Anarchico Spartaco Ravenna
Piccoli Fuochi
Vagabondi
Spazio Libertario
“Sole e Baleno” Cesena
Assemblea
Anarchica Imolese/ Vascello Vegano.
DAZI E FALSITÀ PERSISTENTI
di Luigi Mazzella
Sarebbe oltremodo ragionevole analizzare il
comportamento di Donald Trump “sui dazi”, mettendo la sordina all’aggressiva
“propaganda” della Sinistra mondiale che, duramente sconfitta alle elezioni
statunitensi ed in crisi evidente in tutte le sue vere e
proprie “filiazioni” dei Paesi dell’Occidente scatena, a
ogni piè sospinto, nel nuovo e nel vecchio continente, uragani
politici che trovano, a causa della presenza di visioni (religiose o politiche)
esclusivamente assolutistiche, irrazionali e
inconciliabili, popolazioni divise e frantumate. E ciò per effetto
della scomparsa di ogni tipo di solidarietà (personale, familiare, nazionale). Occorrerebbe, in altre parole, ispirandosi alla
saggezza del noto brocardo latino, ricordarsi che “Qui suo iure utitur
neminem laedit” e che uno Stato, ha certamente il diritto di
modificare il proprio sistema fiscale. Nel caso specifico, la riforma del
Fisco statunitense era già nel programma elettorale di Trump di “salvare e
rilanciare” l’economia del proprio Paese. Era scontato, quindi, che il
Presidente neo eletto dovesse fare di tutto per perseguire l’obiettivo
promesso. Gli “alti lai” dei Paesi esportatori devono considerarsi equivalenti,
nella sostanza, in tutto alle proteste ipotizzabili degli immigrati se gli
Stati del Mediterraneo decidessero di applicare il loro diritto-dovere di difendere
i “sacri” confini dei loro Paesi.
Sul problema dei dazi è verosimile immaginare
che il neo eletto Presidente americano si sia avvalso degli studi di
economisti di sua fiducia per realizzare il suo obiettivo e giungere alle
conclusioni oggi note. Sulla
base di tali risultati egli, con buona probabilità ha, conseguentemente deciso
di agire con razionalità non disgiunta da sperimentazione concreta. E cioè
in base ai canoni insuperati della civiltà greco-romana, all’origine di
quella Occidentale, poi tradita a causa delle ben note invasioni
barbariche di diversa provenienza.

La ballista di 800 miliardi
di armi
Ragionando con pacatezza, si dovrebbe
ritenere del tutto conseguente alla sua scelta che il resto del mondo, per
rispondere in modo adeguato alla tutela dei propri interessi segua lo stesso
percorso logico, prima di assumere iniziative. E ciò senza pretendere di
interferire, biasimare o condannare scelte altrui, liberamente
assunte e conformi alle regole dello Stato di diritto prima che della
democrazia. Questo ragionamento non farebbe una grinza se non
ci trovassimo di fronte a un Occidente in preda a una progressiva e
inarrestabile follia collettiva. Seguendo
gli irrazionalismi che costituiscono l’unica essenza della sua
“cultura” (termine inappropriato, data la totale assenza di un pensiero libero
non condizionato da credenze, ma invalso, ormai, nell’uso comune) la parte
di mondo da noi abitata, a differenza del resto del globo che non presenta
nulla di pari ferocia, si massacra al suo stesso interno con atti aggressivi e
violenti che, come suole dirsi, sul terreno di guerra “non lasciano
prigionieri”. E ciò sia per gli irrazionalismi e assolutismi religiosi,
sia per gli irriducibili fanatismi ideologici. E
così, mentre sul piano religioso i fedeli di Mosè massacrano quelli di Maometto
(che reagiscono sul campo e anche oltre i loro confini con attentati e tagli di
gole), i seguaci degli hegeliani di Destra e di Sinistra (questi ultimi unitisi
sotto il manto protettivo del Partito Democratico di Obama e di Biden e
sorretti dall’Intelligence e dalla Casta militare dell’intero Occidente)
tendono reciprocamente a eliminarsi dalla scena politica. Allo stato, entrambe le guerre che un tempo si
consideravano appannaggio solo degli “opposti estremismi” e che oggi sono
divenute furibonde anche per il mutato comportamento delle ali cosiddette
“moderate” sono in pieno svolgimento: sul fronte religioso è Israele a segnare
punti a proprio favore in termini di distruzioni belliche; su quello
politico l’armata della Sinistra, con uno strombettio mass-mediatico a dir poco
imponente e con l’aiuto istituzionale dell’Unione Europea, tende a mettere in
angolo, puntando ad annientarli, i nuclei sparsi della Destra
mondiale. Lo stravolgimento intervenuto nella sua vita politica porterà in
maniera inevitabile al suo diapason la follia, già
avanzata, dell’Occidente. Gli eccessi, le disumanità, le panzane clamorose
della propaganda, le aberrazioni compiute nei fumi delle battaglie sui mass
media (e non solo) condurranno a risultati ancora più aberranti di quelli
attuali: è prevedibile che qualche ebreo dissenziente sia indotto a
rivoltarsi contro lo Stato ebraico e che persone che non hanno mai votato per
un partito di destra lo facciano per contrastare e arginare l’attuale egemonia
aggressiva e violenta della Sinistra. Il risultato sarà paradossale: la
vita degli Occidentali passerà dagli eccessi di un certo segno, religioso o
politico, unicamente a quelli di segno diametralmente opposto ma di uguale
illogicità e nefandezza. E, trattandosi
di una lotta fra irrazionalismi imperterriti presenti nell’un campo e
nell’altro, gli errori strategici e tattici sono e saranno, per così
dire, “all’ordine del giorno”.

di armi
venerdì 4 aprile 2025
RIARMO
di
Franco Astengo
Transizione
ecologica e transizione digitale
Dove
ci porterà il combinato disposto tra guerra dei dazi e riarmo in quella che
nella situazione internazionale appare la frontiera bellicista più prossima?
Quanto
la prospettiva di guerra commerciale e di guerra “guerreggiata” inciderà sullo
sviluppo delle due grandi transizioni che risulterebbe necessario compiere per
approdare ad una idea di equilibrio nella crescita e nello sviluppo: la transizione
ecologica e quella digitale? Questo interrogativo vale di più in particolare
nel momento in cui enormi risorse e fattori fondamentali di know-how (penso all’utilizzo
di IA, al ritorno al nucleare ecc., ecc.) saranno destinati all’armamento. Domande
difficili e risposte ancor più problematiche mentre continuano a cadere le
bombe su tanti scenari a livello mondiale: un cader delle bombe che non si
arresta neppure di fronte a enormi tragedie naturali quale quella accaduta in
Birmania (Myanmar). All’interno di questo quadro complessivo la posizione dell’Italia
appare difficile anche rispetto agli altri paesi UE (Francia, Germania, Spagna)
soprattutto sotto l’aspetto del posizionamento tecnologico. Ci riferiamo alla
tecnologia necessaria per fronteggiare lo stato di cose in atto. Secondo i dati
dell’Epo (European Patent Office), cioè l’ufficio brevetti europeo, nei
principali settori di brevettazione tecnologica (informatica, macchinari
elettrici, comunicazione digitale, prodotti farmaceutici, chimica fine
organica, ecc.) il posizionamento dell’Italia appare nettamente inferiore al
livello medio europeo anche considerando i dati al netto di trasporti e
macchinari dove comunque non eccelle. I settori-chiave della transizione
ecologica e di quella digitale appaiono completamente trascurati sotto l’aspetto
dei tassi di crescita in termini di valore aggiunto (comprensivi di salari,
profitti e livelli di conoscenza incorporati). Nel settore della produzione di
macchinari industriali l’Italia è presente con pochi grandi player che
esprimono un impatto limitato sull’industria nazionale. A conferma di questa
tendenza l’EPO conferma come la Germania detenga il 60% dei brevetti europei,
la Francia il 6,9%, l’Olanda il 5,6% e l’Italia il 5,3%: questi dati indicano con
chiarezza dove si rivolge il ReArm inteso quale fattore di promozione della
riconversione industriale anche rispetto alla conclamata “guerra dei dazi”.
Una
promozione di riconversione industriale non soltanto semplicemente rivolta alle
vicende belliche in corso o futuribili sul terreno del Vecchio Continente. L’Italia
sta vivendo da molti anni un fenomeno di de specializzazione che influisce
negativamente sulla dinamica economica e presenta conseguenze dirette sul
posizionamento internazionale e sulle condizioni economiche interne
(stagnazione salariale, povertà). Così sarà difficile se non impossibile
affrontare il futuro e contribuire, eventualmente, a una risposta adeguata alla
situazione in corso da parte di un’Italia in declino e orientata quasi
esclusivamente verso la tecnologia militare (che include l'idea del ritorno al
nucleare). Servirebbe una proposta di radicale trasformazione della struttura
economica derivante dal lanciare una vera e propria sfida sistemica da
elaborare portando al centro l’antica domanda sul cosa produrre e sul
senso della crescita: soltanto così potrebbe scaturire una risposta europea
unitaria. Risposta europea per la quale però sembrano proprio mancare le
condizioni politiche e anche istituzionali. La sinistra avrebbe il dovere di
muoversi sul terreno che si è cercato fin qui di indicare promuovendo un’elaborazione
di dimensione sovranazionale: per adesso però sembrano prevalere incertezza e
confusione.
LE “GANGS OF WESTERN WORLD”
di Luigi Mazzella
Dopo l’esclusione eclatante (l’aggettivo,
non a caso è di origine francese), con sentenza giudiziaria, dalla
prossima competizione elettorale della candidata, probabile nuova
Presidente della Repubblica d’Oltralpe, Marine Le Pen, è molto probabile
che al film “capostipite” di Martin Scorsese Gangs of New York
(imitato in Italia dal serial recentissimo Gangs of Milano)
segua l’improcrastinabile “colossal” Gangs of Western World. Chi
ne sarà il regista e lo sceneggiatore? Non è una previsione facile, perché
i protagonisti della pièce sono di calibro eccezionale. Nel film (o
serial) la Gang della Sacra Sinistra Unita
dovrebbe essere costituita:
1) dalle maggiori Istituzioni pubbliche del “Grande Occidente” cosiddetto
“Democratico”;
2) dai partiti (privati) sedicenti “progressisti”;
3) dalle centrali finanziarie delle monete dominanti (dollaro ed euro)
e dalle lobbies che le
gestiscono;
4) dalle agenzie di “intelligence” del Nuovo e del Vecchio Continente,
interconnesse dopo le cosiddette “deviazioni” operate da quella statunitense;
5) da una parte cospicua delle forze armate e dei magnati
dell’industria bellica ;
6) da appartenenti agli ordini giudiziari, di polizia e dei vertici
amministrativi; 7) da molti cosiddetti “intellettuali” operanti nei settori del
cinema, della televisione, dell’editoria della carta stampata, dell’Accademia
(di origine platonica e osservante scrupolosa del verbo dei “maestri”).
La Gang della Destra Conservatrice, allo stato, meno organizzata
perché costituita solo recentemente, dovrebbe comprendere:
1) grande parte del Partito Repubblicano statunitense e dai rappresentanti
dissidenti degli Ordini affiliati alla gang avversaria;
2) pochi ma agguerriti intellettuali e accademici;
3) i magnati dell’high tech e dell’industria spaziale;
4) i sostenitori di sistemi finanziari nuovi ed originali (cripto-valute).
I mezzi necessari alla realizzazione dell’opera dovrebbero essere notevoli:
lo “scontro” tra i due nuovi “Mostri della Politica” minaccia di essere
squassante, una vera lotta senza quartiere tra gangs aperte a ogni violazione
dei più sacri diritti umani e all’uso maggiormente cinico e spregiudicato di
manipolazione propagandistica. È prevedibile che si possa assistere a un
mutamento radicale del linguaggio politico. Persino i finti “buonisti”, i
pretesi fautori di nobili principi e di alti valori, gli assertori
indefessi di battaglie per i diritti umani, per la vera e profonda democrazia,
per il benessere universale potrebbero mettere la sordina ai loro falsi
propositi e concentrarsi nella diffamazione degli avversari (definiti ora
populisti, ora sovranisti, se non criminali e delinquenti).
Chi è interessato alla realizzazione del colossal deve,
però, sbrigarsi, perché il tempo necessario per giungere
al definitivo, spengleriano “tramonto dell’Occidente” stringe
paurosamente. Le cinque “irrazionalità” della cosiddetta Cultura
Occidentale (da me sempre ricordate) spingono i capi delle rispettive gang
allo scontro anche armato e, probabilmente nucleare. Si dice che Hitler, sperando di
anticipare gli Americani del Nord per la scoperta del fungo
atomico, da uomo di fede religiosa abbia detto: Dio mi perdoni gli ultimi
minuti di guerra!
Domanda: Si può essere sicuri che tra i fautori
del riarmo europeo non vi siano suoi “eredi”?
LA SVEDESE AL CE.C.A.M. DI MARCONIA
Sabato 5 Aprile 2025, alle ore 18:30, nella
sede dell’Associazione Culturale Ce.C.A.M., in Piazza Elettra, a Marconia, sarà
presentato il libro La Svedese (amori imperfetti) di Gianfranco Blasi. Dopo i saluti di Antonio De Sensi (Assessore alla cultura del Comune di
Pisticci) e Giovanni Di Lena (Presidente
del Ce.C.A.M.) interverranno Nicola Pascale
(Presidente Accademia Tiberina Lucana);
Anna Maria
Molinari (Docente) e Gianfranco Blasi (Autore).
“Non si fa che parlare
di cambiamento climatico e di riscaldamento globale. L’ambiente con i suoi
risvolti educativi e culturali è ormai al centro della nostra vita. Greta
Thunberg è l’icona non solo giovanile di questa vera e propria rivoluzione. Certo
ci sono anche i disobbedienti, gli eco-imbrattatori, quelli che provocano
disordine e minano la sicurezza di ciascuno di noi. Ma la violenza a Napoli ha
soprattutto un altro nome. Si chiama criminalità organizzata. È la camorra che
sfigura la città. Un giovane ragazzo materano, collaboratore di don Paolo
Cantisani, prete anticamorra, viene trovato ucciso in una macelleria dei
Quartieri Spagnoli. Un luogo in cui regnano le baby-gang. Un territorio
marginale, dove prevalgono la dispersione scolastica e la povertà educativa.
Tocca alla tenente dei vigili urbani di Piazza Municipio, la napoletanissima
Assunta Chiaromonte, iniziare la caccia agli assassini. È lei la protagonista
di questo nuovo romanzo di Gianfranco Blasi. Un fisico da atleta. Bionda,
slanciata, la chiamavano La Svedese”.
Gianfranco
Blasi, è nato e vive a Potenza. Numerose le
sue pubblicazioni. Saggista, romanziere e poeta che non smette mai di
sperimentare. Ha curato la stampa e la diffusione di opere editoriali di
tantissimi autori esordienti, valorizzandone talenti e creatività. Ha
partecipato negli ultimi anni alla realizzazione di volumi collettanei su Dante
e Pasolini, oltre a quelli di promozione di storia locale fra i quali Lucani per sempre e Terre Lucane. Il suo lavoro di maggiore successo di critica e di
vendite è il romanzo storico La croce
diversa (2018), Editrice Universosud, Potenza.
giovedì 3 aprile 2025
NO ALLA GUERRA E NO AL RIARMO!

Il Comitato
Contro la Guerra di Milano, in linea coi suoi principi fondativi per cui è
necessario creare un ampio movimento contro la guerra in grado di coinvolgere i
più ampi settori della società italiana, partecipa e invita a partecipare alla manifestazione
lanciata dal Movimento 5 Stelle che si terrà a Roma sabato 5 aprile alle
ore 13.00.
Dinanzi
agli attacchi da parte di coloro che hanno interesse nel riarmo europeo, da
Calenda agli Elkann, riteniamo di vitale importanza far fronte comune per
urlare NO ALLA GUERRA e NO AL RIARMO! Questa non è la fase dei
distinguo ma dell'unità, volta a ridare al popolo italiano voce in capitolo su
tutte le questioni riguardanti la propria sopravvivenza. Per questo, dopo aver
aderito con convinzione al Tutti a Casa promosso da varie associazioni,
fra cui OttolinaTV e Multipopolare, ci ritroveremo nello spezzone dietro
allo striscione #TUTTIACASA che partirà dall’angolo Via Machiavelli/Via
Giusti (lato parco).
Comitato Contro La Guerra - Milano
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