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UNA NUOVA ODISSEA...
DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES
Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.
Angelo Gaccione
LIBER
L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

(foto di Fabiano Braccini)
Buon compleanno Odissea

1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)
sabato 5 luglio 2025
IL TEMPO LIBERATO
A FIRENZE PER LA PIRA

Giorgio La Pira
Conferenza - Giorgio La Pira: attualità di un pensiero per la
pace
Lunedì 7 luglio 2025 - ore 16:00 - 19:00 - Sala del
Refettorio - Camera dei Deputati Palazzo San Macuto - Via del Seminario 76,
Roma
In occasione del settimo anniversario del riconoscimento di
Giorgio La Pira come Venerabile della Chiesa cattolica, si terrà a Roma il
convegno “Giorgio La Pira: attualità di un pensiero per la pace”, promosso da
Vision & Global Trends - International Institute for Global Analyses, in
collaborazione con l’On. Fabio Porta (Commissione Affari Esteri - Camera dei
deputati), con il patrocinio della Fondazione Giorgio La Pira e della Società
Italiana di Geopolitica - Progetto di Vision & Global Trends. L’incontro -
ospitato lunedì 7 luglio 2025 presso la Sala del Refettorio della Camera dei
Deputati - vuole essere un omaggio profondo e articolato alla figura del
“sindaco santo” di Firenze: testimone del Vangelo, intellettuale profetico e
protagonista del dialogo tra i popoli. Ma non solo. Il convegno si propone come
uno spazio di riflessione politica, culturale e spirituale sull’eredità di La
Pira, oggi più che mai attuale, in un mondo attraversato da conflitti,
instabilità e trasformazioni globali. Durante la Guerra Fredda, La Pira seppe
elaborare e praticare una politica di pace che superava i confini ideologici,
con gesti coraggiosi come i viaggi a Mosca e Hanoi, l’impegno per il disarmo,
il dialogo interreligioso e la promozione dello sviluppo nei paesi del cosiddetto
Terzo Mondo. Il suo sguardo universalista e cristiano anticipava un ordine
internazionale fondato sulla giustizia, la dignità umana e la cooperazione.
Rileggere oggi il suo pensiero significa interrogarsi sulla possibilità di una
nuova cultura politica della pace, capace di coniugare idealismo e concretezza,
spiritualità e progettualità, soprattutto in relazione al ruolo dell’Italia in
uno scenario multipolare dove emergono nuovi attori come Cina, India e i paesi
dell’Africa. Il convegno vedrà la partecipazione di accademici, analisti,
amministratori pubblici e protagonisti della vita politica e sarà articolato in
tre sessioni: sulla testimonianza di pace di La Pira, sui suoi fondamenti
filosofici e politici, e sulla sua visione geopolitica.
PROGRAMMA
16:00 - Apertura dei lavori
Fabio Porta - Commissione Affari Esteri - Camera dei deputati
Tiberio Graziani - Vision & Global Trends
16:30 - Relazioni
Giorgio La Pira, messaggero di pace
Abbattere i muri, costruire i ponti: Giorgio La Pira e la
Pace
Patrizia Giunti - Fondazione Giorgio La Pira
Sulla strada del “sindaco santo”: Comuni e cultura della Pace
Sergio Moscone - Sindaco di Serralunga d’Alba
Pensiero e azione in Giorgio La Pira
I principi del personalismo nella visione politica di Giorgio
La Pira
Giulio Alfano - Pontificia Università Lateranense
La lezione di La Pira e i democratici cristiani europei
Anton Giulio de’ Robertis - Università degli Studi di Bari
La visione geopolitica di Giorgio La Pira
Il ruolo geopolitico del Mediterraneo nel pensiero di Giorgio
La Pira
Maurizio Gentilini - ISEM, Consiglio Nazionale delle Ricerche
La “via italiana” di Giorgio La Pira e la trasformazione
odierna degli equilibri internazionali
Maurizio Vezzosi - Analista di geopolitica
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Giorgio La Pira |
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venerdì 4 luglio 2025
ANCORA SULL’ARTICOLO 5 DEL PATTO ATLANTICO
di Luigi Mazzella
Repetita iuvant
Sembra innegabile che
l’Occidente, in parte per la propagazione dal Medio Oriente dei feroci
contrasti ivi esistenti tra i tre inconciliabili monoteismi religiosi, in parte
per l’analogo odio reciproco insorto tra nazifascisti e socialcomunisti,
entrambi generati dalla scuola idealistica tedesca, rappresenti il vulcano in
eruzione permanente del bellicismo mondiale. Motivato quest’ultimo, è bene
aggiungerlo, dalle proposte ugualmente irrazionali di utopie irrealizzabili,
irrealizzate o realizzate con massacri di massa. Naturalmente, un “panorama” per così dire “ideologico” di tanta atrocità
richiedeva una dose di ipocrisia “buonista” di proporzioni colossali e difatti,
agli occhi del mondo, i popoli anglosassoni si ponevano e continuano a
porsi come quelli che corrono in soccorso degli altri (in Africa per opere
di civilizzazione; in guerre avanzate per aiutare i perdenti): quelli latini,
soprattutto iberici, come evangelizzatori indefessi al servizio di Dio e
così via. All’idea “benefica” del soccorso bellico è ispirato il dettato
dell’articolo 5 del Trattato Atlantico. Ora, però, non c’è dubbio alcuno che i Paesi dell’Occidente (in
primis, Europei) aderenti alla NATO, hanno violato clamorosamente
tale disposizione, diventando, contro la previsione della
norma, co-belligeranti dell’Ucraina, Paese estraneo all’Alleanza e come
tale non previsto tra quelli da soccorrere. Pronunciando la sostanziale condanna a morte dell’articolo i Paesi
NATO hanno indotto Donald Trump a chiedersi a che fine fosse
utile mantenere in vita una norma di cui non si era tenuto di recente
alcun conto, tanto da indurre i Governi Occidentali a bypassare la
medesima senza neppure discuterne nei Parlamenti e mantenendo
nell’ignoranza più totale le popolazioni che si erano trovate, senza saperlo,
in guerra ed esposte a possibili rappresaglie e a ritorsioni russe.
Mia domanda: La sua abolizione non
sarebbe, altresì, più coerente con il principio di libertà: in guerra ci
va chi ha voglia di andarci e sente il bisogno di farlo e se ne astiene,
invece, chi, pacifista per sentimento, ritiene anche sul piano
razionale che la caduta del Patto di Varsavia abbia reso, con la scomparsa
del “nemico”, anche il trattato Atlantico, relegandolo al ruolo
di strumento di aggressione del tutto nocivo per la pace sul Pianeta?
Non è un caso che
l’abolizione della norma sarebbe nelle intenzioni di Trump, cui pure Elon Musk
aveva più opportunamente e saggiamente consigliato, l’uscita, senza
indugi, da un’Alleanza del tutto “fuori luogo” per gli Stati Uniti
d’America. Se poi in Europa,
spuntassero (come i funghi dopo il temporale: fuor di metafora, quello
russo-ucraino) uomini di governo degni di tal nome l’intenzione di Trump
potrebbe essere sorretta in modo autonomo, logico, utile, razionale e fuori da
ogni servilismo in un Occidente che intendesse sottrarsi, per smentire Splenger, al suo cupio dissolvi.
EGEMONIA E SOVRASTRUTTURA
di
Franco Astengo
Sulle
colonne de ‘il Manifesto1 (4 luglio 2025) Vincenzo Vita interviene sulla crisi
del Ministero della Cultura, segnato da abbandoni e uscite di scena da parte di
importanti dirigenti: la contesa in atto per il Ministro Giuli è l’impadronirsi
del cinema italiano considerato un fattore dirimente per la conquista di quell’egemonia
cui la destra aspira cercando addirittura di utilizzare - come giustificazione
teorica - categorie gramsciane. Giuseppe Giulietti commenta l’articolo
inserendo il tema del come l’assalto al pensiero
critico sia il tema centrale: la destra non riuscendo a realizzare egemonia con
la forza degli argomenti ora sta passando alla fase dello squadrismo e delle
epurazioni, che arrivano a colpire anche i più moderati. Il punto allora risiede davvero nell’assalto al pensiero
critico e la realizzazione di un’egemonia che lo escluda dalla dialettica e dal
dibattito pubblico. Vale la pena allora
andare a fondo anche perché è necessario non sottovalutare, attrezzarci,
respingere e ribaltare questo attacco. Occorre
individuare l’oggetto del contendere, quello che Vita individua così: “Il
sovranismo in salsa italiota ha compiuto un vero disastro, miscelando passati
ingloriosi e ossequio ai poteri contemporanei”.
Possiamo allora ben affermare che in questa miscela risiede
davvero un potenziale esplosivo. L’agire politico sembra
ormai ristretto in un confronto tra l’etica e l’estetica. Da un lato oggi, almeno nell’Occidente capitalistico sviluppato,
appare, infatti, ormai egemone il rapporto tra l’estetica e la politica.
L’egemonia nel rapporto tra estetica e politica trova
il suo fondamento nell’obiettivo di stravolgere funzione dei mezzi di
comunicazione.

Alberto Casiraghi
Omaggio a Odissea (2025)
L’estetica è ormai intesa come “visibilità” del fenomeno politico
portato nella dimensione pubblica. Meglio ancora,
nell’esercizio di riti collettivi e consensuali portati alla mostra della scena
pubblica. La prospettiva è quella della
teatralità della scena politica e il ruolo di “attori” degli agenti politici.
Si è così valorizzato l’agire comunicativo in luogo di quello
strategico ed è questo il vero punto di contatto con la dimensione
“orizzontale” nel rapporto tra cultura e informazione. Una
“forma del politico” armoniosa e composta dentro la cornice da un conflitto al
più agonistico: laddove anche la più stridente contraddizione rimane
“sovrastruttura” e il pubblico può essere oggetto soltanto di un processo di
una gigantesca “rivoluzione passiva” mascherata da “democrazia del pubblico”.
Una “democrazia del pubblico” (da qualcuno
mistificata da democrazia diretta) che viene esercitata in gran parte in agorà
virtuali nelle quali si sta proprio imponendo una “egemonia della
sovrastruttura”. È stato anche detto: un’estetica
utilizzata da una politica il cui obiettivo è quello dell’anestetizzazione del
“dolore sociale”. Il “dolore sociale” ha però
bisogno di essere rielaborato partendo da quella che storicamente abbiamo
definito come “contraddizione principale” e che adesso come adesso deve essere
intrecciata da altri due elementi: quello del limite che incontra il dominio
umano sulla natura e quello del nuovo tipo di esercizio dello sfruttamento
dell’uomo sull’uomo, comprensivo anche dell’ulteriore livello dello
sfruttamento di genere. Lo sfruttamento è
comunque agito nella società in una dimensione ben più vasta dello sfruttamento
esercitato a suo tempo sul “lavoro vivo” e classificato - appunto - come
“contraddizione principale”. La domanda finale
è questa: nell’era digitale è forse quello dell’egemonia della sovrastruttura
il solo orizzonte possibile e occuparsene in quei termini diventerà la forma
esclusiva dell’azione politica all’interno della logica dominante della ricerca
di un “potere sull’estetica”?
Sarebbe necessario essere capaci di esprimere con semplicità un
secco “No” ma la replica appare invece quanto mai difficile e complicata. La
deriva che sta assumendo la riflessione culturale posta sotto il dominio della
tecnica della casualità intesa come solo strumento di accesso al nodo vitale
dell’informazione pare essere il punto di una riflessione che avrebbe bisogno
di recuperare antiche categorie e inventarne di nuove.

Omaggio a Odissea (2025)
giovedì 3 luglio 2025
QUANDO CI AFFRANCHEREMO?
di Luigi Mazzella
Il miraggio italiano: una politica del
tutto autonoma.
Oggi, dopo
il servilismo dimostrato in oltre ottant’anni di tutti i politici
italiani del dopoguerra (e segnatamente dai democristiani alla Romano Prodi, ai
post-comunisti tipo Giorgio Napolitano ed ai neofascisti del modello
di Giorgia Meloni) nei confronti degli Stati Uniti d’America
(Democratici o Repubblicani che fossero i loro Presidenti), dopo il
naufragio di un’Unione Europea finita in mano a burocrati di terz’ordine,
lontani mille miglia da ogni utile scelta politica per l’Europa, dopo lo
scivolone collettivo del governo italiano in carica e di quelli
europei sulla decisione di entrare (stupidamente) in guerra
contro la Russia senza neppure avvertire i quidam de populo destinatari eventuali di missili e bombe
di rappresaglia o ritorsione, dopotutto ciò e altro
ancora, la comparsa in Italia di una classe di governo del Paese capace di un
pensiero autonomo, volto al perseguimento degli interessi nazionali
per un recupero accettabile di credibilità economica e politica pur
nelle disastrose condizioni date, può essere solo l’effetto di un miraggio
ottico reso possibile dal deserto di raziocinio e di pensiero
libero che gli abitanti dello Stivale sono “riusciti” a
fare sorgere nel luogo oltre che più bello e ridente del Mediterraneo (e, con
buona probabilità, del mondo) anche più ricco, storicamente, di
geni universalmente riconosciuti. Leader politici di cultura, che in alternativa è: a) periferica
urbana, o b) presuntuosamente contradaiola, o c) più
sempliciotta e meramente contadina, sono sempre influenzati e ossequienti
dagli e per gli antichi legami di sottomissione nazionale, a capi-popolo
stranieri di Paesi, come Francia, Inghilterra, Germania, “volenterosi
moschettieri di ogni guerra” e limitano il loro ruolo immaginativo allo
scimmiottamento di moduli e schemi altrui, soprattutto se bellicisti. Nessuno valuta in costi e benefici l’esempio di un Paese
neutrale e pacifico come la confinante Svizzera, perché nell’immaginario
collettivo italico Guglielmo Tell non è paragonabile a Napoleone
Bonaparte. E così la nostra Italia,
decaduta da gentil donna antico-romana, nobile e altera a
bigotta parrocchiana di campagna che racconta ai nipotini i
racconti dei cammellieri mediorientali immigrati da deserti aridi e
da terre brulle; resa “incerta” nei suoi tanti staterelli in cui è stata divisa
circa l’ossequio dovuto alle varie diramazioni parentali delle maggiori potenze
europee; divenuta, per gratitudine per così dire “unitaria” e per un certo
tempo, serva di Francia e Inghilterra (per i contributi
risorgimentali ricevuti in odio all’impero austro ungarico
considerato da quelle due potenze da demolire in Europa,
combattendolo nel “Bel Paese”); frastornata nel Novecento dalle
lusinghe circa un utopico futuro migliore da imbonitori di mestiere (sedicenti,
senza alcun vero e reale senso, di destra o di sinistra) si trova ad
essere oggi più che mai “nave senza nocchiero in gran tempesta”, più donna da
bordello (europeo) che prostituta autonoma di provincia (nostrana).
ANCORA SUL SOCIALISMO DELLA
FINITUDINE
di Franco Astengo
Una messa a punto nella destrutturazione
del sistema politico italiano.
Ancora una volta mi permetto di
rivolgermi ad alcuni esponenti dell’intellettualità e della politica di
sinistra in Italia per avanzare una proposta di riflessione sul tema del “socialismo
della finitudine”. Un tema che già avevamo affrontato con il compianto
compagno Felice Besostri nell’intento di porre un tema di soggettività che in
assieme allora e personalmente oggi ritengo ancora non colmato dalle strutture
politiche presenti nel sistema italiano sul versante della sinistra. Se
non fosse di eccessiva pretesa rispetto alla qualità della proposta si potrebbe
pensare ad incontri di approfondimento chiedendo in questo l’aiuto dei tanti
interlocutori molto più preparati che non lo scrivente (il testo che segue
sicuramente rappresenta infatti una sintesi superficiale).
In
un quadro di crisi internazionale della quale è difficile ravvisare i
precedenti e a tre anni di distanza dell’insediamento di un governo frutto di
un evidente spostamento a destra vale forse la pena interrogarsi sullo stato
del procedimento in atto ormai da qualche decennio di destrutturazione del sistema
politico italiano.
Sistema politico italiano nel quale sono avvenuti svariati
mutamenti del contesto istituzionale senza mai però addivenire a un completo
adeguamento all’imposizione dettata dal presentarsi di quella “Costituzione
Materiale” nel senso presidenzialista di cui fu interprete Silvio Berlusconi
nel corso della fase di maggioritario/bipolare.
Una fase a suo tempo impostata
esclusivamente quale prodotto della trasformazione della formula elettorale
voluta semplicisticamente per via referendaria e quindi come espressione di una
superficiale “autonomia della politica”.
Dopo la bocciatura popolare del
progetto portato avanti dal governo Renzi (2016) anche l’ipotesi di “premierato”
ideata dall’attuale maggioranza sta segnando il passo e forse la presidente del
consiglio sta aspettando l’occasione favorevole per definire meglio i rapporti
di forza attorno alla sua coalizione usufruendo anch’essa dei vantaggi di una
accettata “Costituzione Materiale” che le sta comunque conferendo una primazia
non prevista dalla nostra Carta fondamentale, ma sancita nella materialità
quotidiana dell’esercizio del governo.
In ogni caso andando per ordine.
Nel corso degli ultimi
anni si sono verificati fenomeni di vera e propria involuzione nella capacità
di espressione di un determinato grado di cultura politica, da parte dei
principali attori operanti nel sistema.
Sotto quest’aspetto alcune linee appaiono
assolutamente meritevoli di approfondimento:
1) Le influenze internazionali. L’Italia è l’unico
paese del mondo occidentale che vede il sistema politico destrutturarsi
totalmente con la crisi del ’92-’94 (fenomeno che va ripetendosi ai giorni
nostri). Solo nei paesi latino americani (e ovviamente in termini diversi, nell’Europa
dell’Est) è avvenuto un processo analogo. Questo fatto colloca le radici della
crisi in una storia di lungo periodo del sistema politico e individua negli
anni ’70-’80 la conclusione di un ciclo iniziato nel dopoguerra. Allo stesso
tempo avvicina (ovviamente solo sotto alcuni aspetti) il sistema politico
italiano ad alcuni modelli partitici più fragili e fortemente condizionati
dalle linee della Guerra Fredda. Pertanto l'intreccio nazionale/internazionale
è un punto di partenza decisivo, anche se solo nel definire la premessa, dello
scenario che ha avviato e determinato la crisi italiana.
2) Le influenze dei media. Le caratteristiche della
crisi del 1993 sono state assolutamente originali. Nel nostro Paese il peso di
forze mediatiche ed economiche è sproporzionato rispetto agli altri Paesi e
assegna ruoli decisivi a forze esterne al sistema politico (su questo punto è
apparsa notevole” l’intuizione presente nel documento della cosiddetta “Rinascita
Nazionale” elaborato dalla loggia massonica P2 nel 1975). Questo fatto ha
implicato una discontinuità con la storia dell’Italia repubblicana ed anche,
per alcuni aspetti, della stessa storia dell’Italia liberale. Sono state
capovolte gerarchie tradizionali nel rapporto tra sistema politico e forze
sociali. Alcuni di questi soggetti sono diventati protagonisti assumendo la
leadership o comunque condizionando partiti e coalizioni.
3) Nella fase stretta tra “Tangentopoli” e trattato di Maastricht era intervenuta una fase di passaggio: non trovandoci più dentro alla classica contrattazione di tangenti tra sistema politico e sistema economico, ma alla rappresentazione diretta del sistema economico nella politica: insomma, la politica viene “usata” direttamente, senza intermediazioni, per “fare affari” come ben dimostra, al massimo livello, la presidenza USA.
Sotto quest’aspetto chi si era permesso di dichiarare
che economia produttiva ed economia finanziaria, al giorno d’oggi, si
equivalgono nel giudizio di valore, non ha avuto ben presente la gravità e il
peso delle parole che stava pronunciando.
Su questa basi si è nel
frattempo aperto un vero e proprio “fronte” di decostituzionalizzazione del
nostro sistema politico.
Da tempo (fin dall’era dei governi “tecnici” da Monti a Draghi) si sta assistendo, in Italia, alla costruzione di un regime
illiberale di tipo nuovo, senza precedenti né confronti nella storia, che è il
frutto di molteplici fattori di svuotamento della rappresentanza politica.
Il fattore principale che ha generato lo stato di
cose in atto è rappresentato dalla verticalizzazione e personalizzazione della
rappresentanza.
Il fenomeno è presente in molte altre democrazie,
nelle quali la rappresentanza si è venuta sempre più identificando nella
persona del Capo dello Stato o del governo e si sono indeboliti o esautorati i
Parlamenti.
Nel nostro caso però siamo di fronte ad una forte
accelerazione verso il compimento di un passaggio verso quella che è stata
definita “democrazia recitativa” all’interno della quale la destra ha operato proprio nel senso appena indicato
della già definita “decostituzionalizzazione” del sistema.
Marx ha dedicato pagine
memorabili a descrivere la potenza rivoluzionaria e modernizzatrice del
capitalismo e come questo avesse travolto le società precedenti, rivelandosi il
più grandioso sistema di mobilitazione della ricchezza del mondo sviluppato:
oggi ci accorgiamo della forza di questo rinnovamento capitalistico capace di
imporre egemonia rivoluzionando la relazione tra struttura e sovrastruttura.
Compreso questo punto
dalla “nostra” parte serve mettere in moto un meccanismo nuovo che punti a
costruire una soggettività politica a partire dal basso, dalle presenze
territoriali (senza nessuna concessione, però ai movimentismi che hanno
caratterizzato, in senso deteriore, il primo decennio del nuovo secolo).
Oggi il ritorno della
guerra come prospettiva globale, il riferimento a innovazioni tecnologiche in
grado di mutare il quadro di riferimento sociale, l'emergere di tensioni “dittatoriali”
sconvolgono l’assetto consolidato in un momento in cui si stava attraversando
una forte difficoltà per quell’accelerazione nei meccanismi di scambio che
abbiamo definito come “globalizzazione” con l’ingresso nel novero delle grandi
potenze di nuovi attori politici portatori di diversi sistemi di governo della
politica e dell’economia.
Nasce da queste valutazioni la proposta di “Socialismo della Finitudine” di
vero e proprio mutamento di paradigma attuato da sinistra che da qualche anno
stiamo cercando faticosamente di portare avanti e di cui l’acquisizione del “senso
del limite” si deve collegare alla ricerca dell’uguaglianza offrendo spazi
diversi di libertà in un modello di società che potremmo definire “sobrio”. È urgente
rinnovare un tentativo per affrontare questo tema partendo da un punto fermo: l’inevitabilità
di ricostruire una coscienza e una volontà politica. La coscienza della propria
appartenenza e la volontà politica di determinare il
cambiamento rimangono fattori insuperabili e necessari come motore di
qualsivoglia iniziativa della trasformazione dello stato presente delle cose. Attenzione
però lo stato presente delle cose va cambiato sia nel senso della condizione
oggettiva della nostra esistenza sia in quello dell’assunzione di una
consapevolezza soggettiva del vivere con gli altri. Da questa consapevolezza
tra individuale e collettivo “si realizza la vita d’insieme che è solo la forza
sociale”, si crea il “blocco storico” (Gramsci: Quaderno 11).
mercoledì 2 luglio 2025
LA CORSA AL RIARMO È CORSA ALLA FINE
di Raniero La Valle
Se la “Sinistra” continuerà a dire che Trump è un bullo che non sa
quello che fa, invece di misurarsi con la nuova identità dell'America che
attraverso di lui si manifesta, la destra governerà in eterno. Se la “Sinistra”
continuerà a deplorare il riarmo in corso solo perché toglie denaro alla sanità
e allo Stato sociale, e non perché è una perversione dell’economia e della
politica, la guerra mondiale forse non sarà evitata. Trump è fuori misura con
le sue follie, ma è come il folle di Nietzsche che andava al mercato
dicendo “Dio è morto e noi lo abbiamo ucciso”: il Dio che è morto è la
pretesa messianica del dominio americano sul mondo che invece ha rovinato
l’America, come secondo lui hanno fatto “il peggiore presidente degli Stati
Uniti”, Joe Biden e gli altri come lui. Infatti l’America si è dissanguata per
le guerre fatte anche per conto degli altri (l’“Europa scroccona”), e per
essere stata derubata coi dazi, e le conseguenze sono state in America un freno
all’arricchimento degli uni e una spinta all’impoverimento e alla frustrazione
degli altri.

Trump è il primo governante del mondo che si dice contro la guerra
non per ragioni ideali, vere o false che siano, ma perché è “stupida”, come è
la guerra che ha rinfacciato a Zelensky e a Putin, in quanto produce migliaia e
migliaia di inutili morti, e come sarebbe stata la guerra all’Iran, che egli a
male parole (“che cavolo fate!”) ha bloccato sul nascere, dopo l’azione di
copertura delle bombe sui siti nucleari iraniani, senza neanche vendicarsi per
i pur simbolici missili lanciati dall’Iran contro la base americana in Qatar.
Dichiarando insensata la guerra, Trump riprende il giudizio che già aveva
formulato sessant’anni fa papa Giovanni XXIII quando aveva detto della guerra
come fosse ormai “fuori della ragione”, cioè dell’umano. Essa non serve a
raggiungere alcuno scopo. Ma non sempre è stata stupida, lo è diventata: per i
Greci (Eraclito) era addirittura il padre e re di tutte le cose, poi, come ha
ricordato Luciano Canfora sul “il Fatto Quotidiano”, è servita a procurare
bottino, schiavi, ricchezze e territori. Ma oggi non è più così, anche le terre
rare che Trump vuole dall’Ucraina non sono un dividendo della guerra, ma un
risarcimento per gli aiuti. Oggi la guerra non ottiene nulla, non fa che
distruggere e uccidere, e si risolve in terrorismo e genocidio (Hamas e Gaza),
si rivolta contro chi la fa, è un suicidio. Tuttavia la guerra è oggi la
costituzione materiale del mondo, è il sistema che lo struttura e ne determina
le relazioni e la vita: pertanto è una istituzione che dovrebbe essere abolita
per unanime consenso.

Trump, come gli altri, non arriva a questo: però vuol rompere gli
automatismi che portano alla guerra; semmai è lui a deciderla. Se si sta ai due
documenti sulla ideologia della sicurezza nazionale americana e sulla difesa
nazionale degli Stati Uniti, della Casa Bianca e del Pentagono, vigenti fino a
ieri a partire dall’attentato alle Due Torri, non si può non notare una
discontinuità e una rottura con l’oggi. Essi sostengono come la Russia sia
ormai decotta o prossima alla sconfitta e che la guerra finale, se del caso,
sarebbe quella con la Cina; e se si leggono insieme all’articolo 5 del
Trattato della NATO, si vede come essi inneschino un processo automatico che
potrebbe non essere controllato più da nessuno e attivare un pilota automatico
che ci porti dritto nella guerra mondiale; e se finora poteva sempre esserci un
sussulto di coscienza di uno Stranamore o un coraggio come quello del sovietico
Stanislav Petrov che ha evitato l’olocausto nucleare, domani l’Intelligenza
Artificiale potrebbe decidere che è venuto il momento dello scontro finale in
obbedienza agli algoritmi da noi stessi creati. Ciò innescherebbe la corsa
verso la fine, e non gioverebbe alla grandezza dell’America e al suo dominio
sul mondo. Perciò questa corsa deve essere interrotta, pensa il folle di
Washington.

Non c'è nulla di più pericoloso
di un moderato
Ma allora perché tutte queste armi e queste spese militari, e il
famoso 5 per cento del PIL? Gli europei si sono inventati la minaccia di Putin
(dai Paesi baltici al Portogallo!) con cui Trump invece vuole trattare e
considerano Xi Jinping un Nemico, con cui Trump invece ha avuto la prima
telefonata dopo l’insediamento. Trump per parte sua pensa ai dollari, alla
ricaduta delle commesse sulle industrie americane, e pensa a un uso keynesiano
della spesa militare, un piano Marshall, ma a suo favore. Il più affine a
questo calcolo è il cancelliere Merz, che non può sfiorare il ridicolo pensando
a una nuova Operazione Barbarossa, ma conta su un imponente e incontrastato
afflusso di denaro pubblico per costruire l’economia più forte del continente.
Secondo le vecchie regole del capitalismo, l’economia cresce anche con
l’inutile, si possono scavare fosse e poi riempirle di nuovo, e il PIL cresce.

di un moderato
Trump, per fare più grande l’America, conta sulla
controproduttività delle armi: si moltiplichino gli armamenti, ma che per
carità non ci si faccia la guerra. È il suo “new deal”. La follia è che la
guerra può scoppiare davvero, e l’errore è che lo sviluppo, il new deal, si fa
investendo su tutto ciò che fa la felicità e il lavoro degli uomini, non nei
profitti e nelle aberrazioni dei signori delle armi.
REQUIEM DELLO STATO DI DIRITTO
di Luigi Mazzella
Prescindiamo da ciò che
avviene nell’Occidente e segnatamente in Europa e rappresentiamo per l’Italia
uno scenario reale che metta in evidenza le falsità di quello
apparente; disegnato, quest’ultimo, dall’ignoranza o dalla malafede (o da
entrambe congiunte) della classe politica e dai mass media. Con la dichiarazione di guerra alla Russia e di co-belligeranza con
l’Ucraina è andato, come suole dirsi, “a farsi benedire”, in modo eclatante, il
concetto dello “Stato di Diritto” che, com’è noto, presuppone che l’agire dei
reggitori della res publica sia sempre vincolato e conforme
alle leggi vigenti. In altre parole, in tale sistema, lo Stato sottopone, prima
di ogni cittadino, sé stesso al rispetto delle norme di diritto e della
Costituzione. Nel silenzio complice
dell’intera classe politica italiana e del sistema mediatico Occidentale il
Governo Italiano ha violato, invece in maniera clamorosa, l’articolo 11
della nostra Carta Fondamentale che consente di derogare al principio di
ripudio della guerra solo in ipotesi particolari tra cui l’osservanza degli
obblighi derivanti dall’adesione alla NATO. Ora tali obblighi (soccorso,
difesa, assistenza di un Paese facente parte dell’Alleanza) non sussistevano,
perché l’Ucraina non era membro della NATO. Più chiaro di così…
Negli Stati Uniti
d’America, l’elettorato, consapevole o meno della situazione più che
incresciosa, gravissima, creata da Joe Biden, ha preferito “cambiare
la guardia” alla Casa Bianca, eleggendo Donald Trump che si è subito affrettato
ad “arrendersi” e ad uscire dal conflitto in Ucraina. In Italia, per avere lo stesso risultato si sarebbe dovuto procurare o
almeno sollecitare, chiedere a gran voce la caduta del governo in carica e mandare,
con mosse adeguate, a casa la Meloni, per sostituirla con leader pacifisti che
fossero d’accordo con gli Stati Uniti di Donald Trump. Così, come era avvenuto in America per Joe Biden. E ciò per i danni
provocati al Paese dalla Meloni: impoverendolo ed esponendolo al rischio
di ritorsioni e rappresaglie da parte della Russia.
Non è stato così. Come in
altri tipi di ordinamenti di collettività diverse dallo Stato, la gravissima
violazione delle leggi da parte del Governo in carica non è stata ritenuta
una colpa: né dall’opposizione di invasati e sbraitanti banditori di
equivoci slogan né dai membri solo apparentemente e cautamente dissenzienti
della stessa coalizione governativa. Il “popol morto” di carducciana
memoria ha dovuto assistere, nel “silenzio-stampa” (e radiotelevisivo),
all’ennesimo colpo inferto alla sua credibilità civile e democratica e
affidarsi sterilmente ai social, senza neppure più porsi la domanda: “fino a
quando?”.
GRATUITÀ VO’ CERCANDO
di
Vittorio Melandri
Leggere la notizia che i trecento
lavoratori della MCM (prov. di Piacenza), hanno appreso da un servizio
giornalistico, del possibile fallimento dell'impresa, con conseguente scomparsa
del loro posto di lavoro, mi ha riportato indietro di 45 anni, quando da ancor
giovane sindacalista della FIOM-CGIL, ancora parte della unitaria FLM, nutrivo
qualche speranza di cambiamento, e con qualche entusiasmo anche in quella
fabbrica ho condotto assemblee. Nonostante la disillusione accumulata negli
anni, mi ostino a riflettere attorno alla possibilità di far resuscitare
qualche speranza e appropriandomi del linguaggio della scrittrice ungherese
Magda Szabò (La porta, Einaudi), sono per dire che ciascuno di noi usa uno
“scandaglio suo e originale per esplorare il fondale dei propri ricordi”. Non
di rado questo scandaglio, come un sonar di cui si conoscono i comandi, ma non
la struttura, restituisce non solo immagini dimenticate, ma anche capaci di
comporre profili sorprendentemente ignoti, per come risultano collegate fra
loro. Ascoltando anni fa Corrado Augias commentare il Don Chisciotte, e
riferirsi a quanto quel capolavoro rimandi al concetto di “gratuità”, il mio
‘scandaglio’ ha saldato insieme quanto avevo letto per la penna di un
autorevole giornalista su un autorevole quotidiano economico, e quanto un paio
di anni prima mi ero annotato in tema di gratuità, da cittadino semplice quale
sono. Scriveva il giornalista: “L’Italia sana, (è) quella che combatte ogni
giorno per creare reddito e occupazione”, mentre l’Italia in-sana si consuma in
“chiacchiere e distintivo”, mi venne di chiosare. Ma siamo sicuri che reddito e
occupazione vengano prima, a prescindere, e non come conseguenza di una oculata
scelta di cosa sia di volta in volta prioritariamente necessario produrre? Così
come anteponiamo avventatamente nella nostra capacità di osservare, gli effetti
alle cause, così siamo spinti ad anteporre il “vivere per lavorare” al “lavorare
per vivere”.
Ne scaturisce la “logica” tragica conseguenza, che venuto meno il lavoro, quando “il libero mercato” ne sanziona la fine, viene meno anche la possibilità di vivere, senza nemmeno rendersi conto che basta guardarsi intorno per accorgersi, di quanto lavoro necessario rimanga inevaso attorno a noi. Dovremmo essere noi umani a collegare al lavoro che serve, un reddito, e non aspettare che sia l’inumano mercato a farlo. Ma noi umani con troppa sufficienza confondiamo costo con prezzo, e addirittura i vocabolari inducono all’errore, proponendo l’uno come sinonimo dell’altro. Non occorre però essere filosofi e nemmeno linguisti, per cogliere la sostanziale differenza fra i due termini. Con una banale ricerca etimologica si scopre che il primo termine discende dal verbo “costare” e questo rimanda ad un verbo latino “consistere”, che significa “aver fondamento in qualcosa”. Non esiste al mondo cosa od azione alcuna, che non abbia appunto “fondamento in qualcosa”, cioè che non abbia sempre e comunque, un costo. Il termine prezzo invece, deriva dal latino “pretium, astratto di un perduto verbo la cui radice pret, sta a significare scambio. Il cortocircuito linguistico che porta ad identificare i due termini, è molto di più che un mero inciampo lessicale, è la testimonianza di quanto sia appunto corrotto il linguaggio che ci insegnano ad usare e di conseguenza di quanto si sia imbarbarito il vivere di noi umani, proprio quando ci crediamo invece più civili (alcuni pensano, più furbi) di prima. È anche la testimonianza, amarissima e assurda, a pensarci solo un momento, che per noi umani ormai niente sembra avere più valore, se non può essere scambiato. E questo porta a sottolineare come pure il termine valore, che nella sua funzione di sostantivo aggettivante indica come e quanto e quando una cosa o un’azione sia valida, sia stato assorbito dagli altri due e come tutti e tre insieme costituiscano un vero e proprio “buco nero”, in cui la nostra capacità di discernimento si perde, ogni giorno di più. Parlo di quel “buco nero” dove di una cosa o di una azione che ha comunque un “costo”, e che potrebbe anche non essere scambiata o magari scambiata ad un “prezzo” qualsiasi, e comunque piena o priva che sia, di “valore”, gli si appiccica indifferentemente un costo o un prezzo o un valore, come se i tre termini descrivessero appunto lo stesso attributo. Prima e più illustre vittima di questa perdita di senso è a mio parere la “gratuità” dell’agire. (da non confondersi con l’ambitissimo “a-gratis”).
Oggi niente viene considerato così privo di valore, quanto appunto “l’agire
gratuito”, verso sé stessi e verso gli altri, e non di rado accade pure che
coloro che appaiono come i migliori fra noi, scambino il proprio “agire
gratuito”, niente meno che con il premio massimo, quello del Paradiso, senza lo
stimolo del quale stando ad una certa scuola di pensiero, la vita non avrebbe
nemmeno senso. Questo però configurandosi sì, almeno a mio parere come
barbarie. Personalmente credo sempre di più che l’agire “gratuito” sia oggi
l’agire dal costo più alto, essendo l’energia necessaria per sostenerlo e
produrlo la più “preziosa”, e del tipo più raro a trovarsi; sia l’agire
connotato dal prezzo più basso, anzi, senza prezzo, non essendo determinato
questo agire dalla volontà di innescare scambi di alcun genere; e sia pure,
l’agire gratuito, quell’agire dal valore inestimabile, per sé e per gli altri,
in quanto porta sempre con sé una utilità insita nel suo semplice esistere, e
pure capace di portare addirittura a compimento un qualche “utopistico” umano
obiettivo. Tutto questo, a differenza di quanto accade nella nostra sempre più
misera e triste normalità, dove, senza una qualche specie di utilità
conclamata, nulla si agisce, e tutto ha sempre un costo, sempre troppo alto per
chi acquista e un prezzo troppo basso per chi vende! E dove ahinoi soprattutto
anche il valore di un essere umano, è percepito come fosse quello di una
qualsiasi merce. Con una differenza, a favore delle merci: delle merci nessuno
mette infatti in discussione la “clandestinità”, basta che il valore, pardon,
il prezzo, pardon, il costo, sia quello giusto per le nostre esclusivissime
tasche, dove siamo anche così “pirla” di credere (basta che ce lo dica qualche
bravissimo ciarlatano) che solo noi mettiamo le mani.
CARO DIRETTORE
A
proposito dello svuotamento di tante zone d’Italia.
Ho appena
l’etto l’articolo. Terribile il destino riservato a questi posti. Sarebbe
davvero bello se la ricerca e la bellezza potessero partire da lì. Grazie all’infinito.
Roberta
Guccinelli - Lucca
*
Bravo, il
Sud muore e loro ci bevono su! Mors tua vita nostra…
Giuseppe
Faragasso -
Serricella, Acri
*
Non solo
il Sud! Ci sono villaggi in Liguria (conosco avendo una casa ad Apricale
nell’entroterra di Ventimiglia e a Grimaldi al confine) dove mancano totalmente
i servizi primari per quei pochi anziani rimasti. Però ci sono ristoranti (ad
Apricale) per i ricchi stranieri che vengono a visitare o che hanno comprato
casa. Tutto si fa per loro e niente per i vecchi residenti. A Grimaldi non c’è
un negozio alimentare e nemmeno un bar. Il deserto. Poiché i ricchi che han
comprato casa lì, possono scendere e fare la spesa. Ma gli anziani? Possono
morire.
Gianna
Caliari - Milano
*
Sul declino
delle aree interne vi è la stessa mentalità yankee delle riserve indiane!
Teniamo conto anche di questa ideologia profondamente sporca e produttrice di
rapporti servili e giustificanti soprattutto tra chi non è abituato a prendere
posizioni morali intransigenti.
Antonio
Lombardo - Orani,
Barbagia di Ollolai
*
Spopolamento,
abbandono, desertificazione, degrado sono fenomeni che da tempo ho colto
anch’io nelle mie zone montane. Tra Selva di Ferriere e Santo Stefano d’Aveto,
tra l’alta val Nure e l’alta val d’Aveto, nell’Appennino emiliano-ligure, nella
zona di confine tra le province di Piacenza, Parma e Genova. E sono davvero
terribili a vedersi soprattutto da parte di chi conserva il ricordo di quelle
zone ben altrimenti vive, tenute e abitate.
Franco
Toscani - Piacenza
martedì 1 luglio 2025
IL CAPITALE UMANO
di Angelo Gaccione
Sul
fenomeno che da alcuni decenni sta producendo la desertificazione di intere
aree del nostro Paese mediante la fuga e l’abbandono, quella che viene da più
parti definita “emigrazione di ritorno”, non si è riflettuto abbastanza. La si
è liquidata con una certa sufficienza, e addirittura si sono voluti vedere solo
aspetti positivi: lo spostamento in altre realtà sia interne, sia europee che
extraeuropee, conferiscono a chi lascia il proprio luogo sottosviluppato e
privo di risorse, stimoli e opportunità in grado di consentirgli una
gratificante emancipazione sia economica che intellettuale. Non viene però
affrontato l’altro corno del problema. Se il primo e più importante capitale di
un qualsiasi luogo è sempre quello umano, se ne dovrebbe facilmente dedurre che
deprivato di tale capitale, quel luogo sarà fatalmente destinato alla sua
cancellazione. La prova empirica la può fare facilmente chiunque ha, per un
tempo significativo, lasciato la propria abitazione e vi è ritornato a distanza
di alcuni anni. Se l’ha lasciata incustodita e nessuno vi ha messo piede, la
troverà greve di umidità e di muffa; di ragnatele, di singole parti sconnesse e
deteriorate. Se la casa possedeva un piccolo giardino e nessuno se ne è preso
cura, al ritorno lo si troverà secco, rovinato e pieno di sterpi.
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Cervelli in fuga |
Lo stesso discorso vale per i luoghi: nei quartieri abbandonati sono già visibili agglomerati di case dai tetti e dai muri crollati; all’interno delle corti sono cresciute piante ed arbusti che hanno rovinato il pavimento e gli infissi, e i rami si sono fatti largo in tutto il perimetro scardinando persino le porte. Lo stesso patrimonio pubblico, anche di notevole pregio architettonico e storico, in alcuni parti è risultato compromesso e in alcune perduto per sempre. Considerando che ad emigrare sono ora le generazioni giovani, il luogo di partenza si priva delle intelligenze più vive e dinamiche, delle più forti dal punto di vista della salute e della capacità di prendersi cura fisicamente del territorio. Il sottosviluppo conduce allo spopolamento e lo spopolamento sancisce il sottosviluppo: questa tragica dicotomia non può che produrre una totale deriva. Al contrario, i luoghi di arrivo si avvantaggeranno di questo capitale umano per progredire e marcare ancora di più il proprio vantaggio. Spostare l’intrapresa e la ricerca più avanzata lì dove il rischio di scomparsa di una intera entità geografica si sta verificando, è il solo modo per impedire un esodo dagli esiti disastrosi.
P. S. Avevo scritto questa breve nota un po’ di tempo fa ed era rimasta in cartella. Ieri ho letto su “il Fatto Quotidiano” l’articolo di Alfonso Scarano e me ne sono ricordato. Ho scoperto che il documento sulle aree interne e le parti spopolate del Paese (Piano Nazionale della Aree Interne), sono state dichiarate dal Governo in carica perdute per sempre. Ecco il passaggio: “Queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza (…) hanno bisogno di un piano mirato che le accompagni in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento”. Tradotto nella lingua delle persone normali significa che mentre si spenderà il 5% del Prodotto Interno Lordo per l’industria criminale della guerra e della distruzione, non verrà speso un centesimo per tutte quelle zone della nazione da cui fuggono le nuove generazioni rimaste senza lavoro e senza servizi, per invertire la condizione di declino che le politiche dei vari governi hanno contribuito ad aggravare. Una decisione delinquenziale, ma tacciono tutti: a cominciare dall’egregio Presidente della Repubblica. Aspetteranno semplicemente che si spenga l’ultimo anziano rimasto in quei luoghi depressi del Paese, soprattutto Sud e Isole. Lasceranno che il territorio vada lentamente ed inesorabilmente in rovina, e che di tutto ciò di cui era composto (boschi, colline, centri storici preziosi, culture e quant’altro) si possa tornare a dire: hic sunt leones.
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