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lunedì 30 settembre 2013

UN'EMERGENZA IN CASA DELLA CULTURA


di Ferruccio Capelli

La ripresa, dopo la pausa estiva, è molto diversa dagli altri anni. C’è un’emergenza cui bisogna far fronte e su cui dobbiamo concentrare tutte le nostre energie: un intervento straordinario di ristrutturazione della Casa della Cultura. Nei mesi scorsi c’è stato un improvviso cedimento del controsoffitto. Ora bisogna affrontare e risolvere il problema alle radici, con un intervento generale di sistemazione e messa in sicurezza della nostra sede. Vorrei che fosse chiaro a tutti che è in gioco la possibilità stessa di continuare l’attività della Casa della Cultura. Abbiamo tanti programmi in cantiere per i prossimi mesi e stiamo discutendo di molte nuove iniziative: la loro realizzazione dipende inevitabilmente dal ripristino dell’agibilità della sala. In queste settimane abbiamo predisposto i progetti per la ristrutturazione. Adesso bisogna fare i lavori e soprattutto reperire le risorse necessarie. Il costo dei lavori ammonterà, più o in meno, ad almeno 100.000 euro e, come ben sappiamo, la situazione del paese è tale che non si può fare affidamento su interventi pubblici di sostegno. Fortunatamente noi qui in Casa della Cultura abbiamo una risorsa straordinaria da valorizzare: la stima e la fiducia conquistata in sessantacinque e più anni di storia e rinnovate giorno per giorno. Per molti democratici e progressisti di Milano la “porta rossa” di via Borgogna è un simbolo vivo che significa ricerca, discussione, impegno culturale, democrazia partecipata. Ci rivolgiamo a tutti coloro che vogliono “mantenere aperta la porta rossa” di via Borgogna e che sono intimamente convinti che il “posto delle idee” deve continuare a vivere. A tutti chiediamo un impegno e un atto di generosità, il costo di un mattone simbolico per non interrompere la storia della nostra Casa della Cultura.

DALL’UMBRIA UNA LETTERA DI ANTONIO SPADINI

Caro Angelo,

Gaccione, Dalla Chiesa, Scaramuzza, Colombo, De Monticelli e Papi
dopo l'estate che mi ha visto a luglio in Umbria per organizzare il Centro Studi Piero Gauli (che per una esigenza logistica è stato spostato proprio davanti a casa mia), ad agosto per due settimane all'Elba e a settembre in Sardegna, sono rientrato a Milano proprio nel giorno in cui si celebrava il decennale di “Odissea” alla Sormani. Ci sarei venuto molto volentieri ad ascoltare Giovanni Bianchi (un mito per me), Morandini e Papi, che ultimamente ho conosciuto di persona alla Fondazione Corrente. Faccio i miei complimenti a te vulcanico direttore e animatore culturale in una Milano sonnecchiosa e arroccata su individualistici e decisamente piccoli (quando non mariuoli) orizzonti politici forzaleghisti di corto respiro. Leggendo i tuoi editoriali qualche volta ti ho avvicinato all'incazzatissimo Savonarola. Io mi scaldo a leggerti e riscopro una voglia di una primigenia purezza di intenti. Poi mi guardo intorno e, basta viaggiare nelle periferie di Milano sommerse di rifiuti e di abbandono specchio fedele di un Paese menefreghista, mi si chiude lo stomaco. Anche nelle nostre bellissime isole che, insieme al patrimonio artistico, dovrebbero costituire la ripartenza del turismo, unico vero bene di cui disponiamo in grande quantità e qualità, su spiagge mozzafiato... si trovano rifiuti di ogni genere! Avrei voluto collaborare meglio e con più costanza al mondo di Odissea, che avverto molto vicino alla mia sensibilità, ma sia per motivi di salute che per altri di varia natura l'ho fatto molto saltuariamente e male. Ora però dispongo di uno strumento di una certa consistenza: il Centro Studi Gauli sta prendendo finalmente avvio con lo scopo di valorizzare il territorio tutto a partire da quello più vicino alla sede che è l'Umbria. Siamo inseriti nel contesto del Centro di Paleontologia Vegetale della Foresta Fossile di Dunarobba, un ritrovamento di gigantesche "sequoie" di circa tre milioni di anni fa, da cui è derivata la lignite nelle cui miniere locali ha lavorato anche mio padre e che Gauli ha immortalato nei suoi acquarelli. Causa di tutto ciò la grande quantità di argilla che nel pliocene debordò dall'immenso Lago Tiberino  e ricoprì quei grandi alberi conservandoli in piedi e allo stato legnoso (unica rarità esistente al mondo). La singolarità del ritrovamento richiama ogni anno circa diecimila presenze di visitatori e solo da poco ci si sta organizzando per sfruttare a fini occupazionali il passaggio turistico: lo si fa, ma in maniera non adeguata perdendo così circa il 50% del transito turistico. Inoltre c'è la grande potenzialità dell'ottima argilla con la quale Gauli eseguì oltre 1300 ceramiche monotipiche e che attualmente usa solo un grande industriale umbro il quale ha acquistato tutto il territorio e lo sta morfologicamente modificando in maniera irreparabile...(attualmente la Fornace, che ha assunto dimensioni gigantesche portando alla luce durante gli scavi dell'argille le gigantesche "sequoie", risente della crisi edilizia con i piazzali pieni di materiale in giacenza. Allora? Mi dirai!  Allora il Centro Studi vuole lanciare iniziative per l'uso e la valorizzazione dell'argilla in altri modi, che sono tanti, a vantaggio della popolazione e non solo di un unico individuo!
Come vedi sono parecchi i motivi che mi spingono verso l'Umbria, ma non voglio lasciare Milano. Anzi in occasione dell'Expo 2015, che ha come tema "Nutrire il pianeta", con tutta la problematica legata alla difesa e alla conservazione dell'ambiente, e si propone di far visitare l'Italia tutta alle folle che verranno a Milano, vorrei creare un ponte tra la metropoli lombarda e il Centro Italia e ti vorrei fornire un punto di appoggio per le iniziative di "Odissea".  Posso darti ospitalità. L'iniziativa di mandare in rete "Odissea" mi  sembra ottima e io vi potrei collaborare anche da lontano; sarà l'occasione perché anche un vecchietto come me con l'idiosincrasia per la tecnologia si attrezzi all'uopo. Catone il censore, dopo aver per tutta la vita ostacolato la lingua e la cultura ellenica, a 80 anni decise a imparare il greco (si parva licet...!). Sentiamoci, adesso che ti ho esposto la mia situazione, tu invitami sempre alle tue iniziative; se sono a Milano parteciperò...e poi, vedremo che sviluppo si può dare alla nostra collaborazione. E proprio nella prospettiva di una mia collocazione in Umbria tu potrai essere il mio punto di riferimento per quanto avviene nella Metropoli. 
Ti saluto, ciao!

Antonio Spadini
Dieci domande a me stesso
di Paolo Maria Di Stefano


Ma che razza di popolo siamo diventati? Agli ultimi gradini ormai della cultura tra i così detti Paesi evoluti, neppure ci accorgiamo che stiamo perdendo il senso della Democrazia, della Politica e della Libertà. Due terzi di noi sembra abbiano scelto la via del servilismo e della obbedienza  cieca e assoluta, e nella forma peggiore dell’assenso alle volontà di personaggi da sempre attenti solo ai propri interessi, alle proprie ricchezze, ai propri privilegi. E per di più, dotati anche di una comicità involontaria quanto becera, fino a diventar ridicoli agli occhi del mondo.
Possibile che noi italiani non ci si accorga di essere stati strumentalizzati da personaggi (anche condannati in via definitiva per reati fiscali, ma non solo da questi)  i quali utilizzano le ventose alle dita non più soltanto per accrescere ricchezza e potere e privilegi propri e dei sodales, ma anche – e oggi soprattutto – per scalare gli specchi al fine di  giustificare come ovviamente lecita la loro azione e, per di più,  per farla accettare come rivolta al benessere di tutti?
Ma è mai ammissibile che nell’animo e nella mente degli italiani  possa ancora albergare il bisogno di uomini della provvidenza e di facondi tribuni, magari in una con la speranza di ricreare monarchie ereditarie?
E che il latrocinio nelle sue molteplici forme trovi in uomini e donne (che impegnano l’intera vita per lavorare onestamente e costruire un avvenire per sé e per i propri figli) una ragion d’essere accettabile, segnatamente quando i politici li mettono in atto a favore dei figli e della famiglia? Figli e famiglia propri, naturalmente.
Come è accaduto che gli italiani non si vergognino più di coloro che li rappresentano e non cerchino di liberarsene al più presto, punendoli per aver tradito mandato e fiducia?
E perché sopportano che qualcuno tratti deputati, senatori e ministri come oggetti di un diritto assai simile alla proprietà, e comunque come impiegati e servi, con ciò chiaramente dichiarando il disprezzo più assoluto per i cittadini, per le istituzioni e per il Paese?
Con quale faccia l’Italia si presenterà per guidare l’Europa nel semestre che le compete?
E come è successo che si dia consenso a gente che vuole vanificare gli sforzi ed i sacrifici sostenuti per fare dell’Italia un Paese unito, e che tenta di mettere gli italiani gli uni contro gli altri, in questo anche beneficiando in proprio?
Ma come mai gli italiani discutono della crisi economica, ne subiscono le conseguenze, sanno che la tanto sperata ripresa  non è  alle porte, e nel contempo consentono che la difesa a oltranza di un condannato in via definitiva, per di più almeno in apparenza schizofrenico, blocchi ogni azione intrapresa dal governo per creare fiducia e portare in Italia quegli investimenti così necessari per l’economia?





domenica 29 settembre 2013

INVITO CONFERENZA STAMPA

Consegna firme Legge Iniziativa Popolare Rifiuti Zero
Una delegazione incontrerà la presidente della Camera Laura Boldrini
Lunedì 30 settembre, ore 11.00, Piazza di Montecitorio

Roma. Ottantamila firme raccolte in tutta Italia per la Legge di Iniziativa Popolare Rifiuti Zero verranno consegnate la mattina di lunedì 30 settembre agli uffici della Camera dei Deputati. Prima della consegna il gli animatori della Legge incontreranno la stampa in Piazza di Montecitorio davanti ad una simbolica piramide di scatoloni di firme raccolte; successivamente una delegazione di Rifiuti Zero incontrerà la Presidente della Camera Laura Boldrini per raccomandare attenzione al tema e al percorso parlamentare della Legge Rifiuti Zero.
La Legge Rifiuti Zero disegna un progetto organico sull'intero ciclo dei rifiuti che mette al bando l'attuale sistema basato sull'incenerimento e sulle discariche. Sin dai primi mesi dell'anno in tutte le aree del Paese si è assistito ad una straordinaria mobilitazione attorno alla proposta di legge che ha animato moltissimi comitati territoriali, ha permesso l'organizzazione di convegni e momenti informativi, ha coinvolto centinaia di attivisti nella raccolta firme.
La consegna delle firme avviene nello stesso giorno in cui si chiude Malagrotta, la discarica più grande d'Europa al centro di una lunga mobilitazione dei comitati locali. Una circostanza certamente ben augurante per il percorso della legge e per un'Italia a Rifiuti Zero.                                                Saranno presenti in piazza i rappresentati territoriali del Comitato Legge Rifiuti Zero
Massimo Piras e Vincenzo Miliucci– Lazio
Rossano Ercolini e Alessio Ciacci - Toscana
Natale Belosi – Emilia
Claudio Pellone – Campania 

Luca Faenzi
Ufficio Stampa Legge Rifiuti Zero
ufficiostampa@leggerifiutizero.it
+39 338 83 64 299
Skype: lucafaenzi
www.leggerifiutizero.it


INVITO E COMUNICATO STAMPA

MILANO – TEATRO DELLA MEMORIA – 4 OTTOBRE 2013


Al Teatro della Memoria, via Cucchiari 4, Milano (tel. 02-313663) venerdì 4 ottobre 2013, ore 18, si parla del volume Vite milanesi di Franco Manzoni, edito da Meravigli, una selezione degli “Addii” pubblicati nella rubrica omonima dal 2004 al 2013 sul Corriere della Sera. Il libro si avvale dell’introduzione di Franco Tettamanti e della postfazione di Roberto Marelli. Presentano Enrico Beruschi (attore e regista), Roberto Marelli (cultore della milanesità), Aleardo Caliari (attore e regista). Intermezzo musicale del pianista e compositore Daniele Maietti dell’AMI (Associazione Mozart Italia), che esegue inediti ispirati agli “Addii”. E’ presente l’autore. Ingresso libero.

Bankitalia: Un Paese ricco, Anzi ricchissimo, ma Diversamente ricco.

Di Elio Veltri


Pavia. Trecento Miliardi di Nero. Questa la copertina dell'Espresso in edicola. Il servizio del giornalista Liviadotti è centrato sull'uso del denaro contante che favorisce, dati alla mano, il Nero e l'evasione fiscale e impedisce l'aumento del PIL. La cifra di 300 miliardi di PIL di economia sommersa è sottostimata, ma comunque enorme, se si tiene conto che corrisponde al 17% del PIL e negli altri Paesi Europei e negli USA non supera il 6% del PIL. Il Settimanale conferma quanto andiamo dicendo da 10 anni. Ma la politica tace e va a sbattere perché, se non interviene, i servizi essenziali, a cominciare dalla sanità, chiudono.
Molto interessante ( ma quanti leggono?) Il Supplemento Statistico di Bankitalia( Dicembre 2012) sulla ricchezza delle famiglie italiane. La Banca Centrale scrive:” Alla fine del 2011 la ricchezza netta( reale come case , terreni ecc e finanziaria come titoli e depositi bancari, meno i debiti, i più bassi d'Europa) delle famiglie italiane era pari a circa 8619 miliardi di euro, corrispondenti a poco più di 140 mila euro pro capite e 350 mila euro in media per famiglia. Le attività reali rappresentavano il 62,8% del totale, le attività finanziarie il 37,2% e le passività finanziarie( i debiti) pari a 900 miliardi rappresentavano il 9,5% delle attività complessive”. E ancora:” Nel confronto internazionale le famiglie italiane mostrano un'elevata ricchezza netta , pari, nel 2010 a 8 volte il reddito disponibile, contro l'8,2% del Regno Unito , l'8,1 % della Francia, il 7,8

del Giappone, il 5,5% del Canada, e il 5,3% degli Stati Uniti. Esse risultano inoltre poco indebitate”. La componente finanziaria dell'intera ricchezza supera i 3500 miliardi di euro ed è la terza al mondo, superiore a quella di Francia e Germania. Quanti, di questi 3500 miliardi, sono poco puliti, imboscati nei paradisi fiscali ed evadono il fisco? Quindi, un paese ricco, anzi ricchissimo, ma diversamente ricco perché la metà più povera della famiglie italiane deteneva il 9,4% della ricchezza totale, mentre il 10% più ricco deteneva il 45,9% della ricchezza complessiva. I fatti e i numeri che indico nell'articolo confermano : il sommerso, l'evasione fiscale e l'esportazione di capitali, riguarda soprattutto i ricchi. La politica di tutti i governi è stata fallimentare perché ha contribuito ad allargare la forbice tra ricchi e poveri.

sabato 28 settembre 2013

COMUNICATO  STAMPA

Oggetto: Rettifica Presentazione, "Programmazione Biblioteche"

Gentili/le

a rettifica della precedente, vi comunico che si è reso necessario spostare la conferenza stampa in oggetto, programmata lunedì 30 settembre, alle ore 12.30, a causa di un problema di sovrapposizioni.
La conferenza è stata riprogrammata per lunedì 7 ottobre, alle 12.30 presso la Sala Stampa di Palazzo Marino.
In attesa di un vostro cortese riscontro, ringrazio e saluto cordialmente.
Leda Toschi

Comune di Milano I DC Cultura
Segreteria Direzione – Settore Biblioteche
Corso di Porta Vittoria, 6
Tel. 02 884.63378

Fax 02 884.63379
L’APPELLO DI DARIO FO A BARILLA
La lettera di Dario Fo a Guido Barilla

"Caro Guido Barilla,

Ricordo i primi spot televisivi di Barilla, a cui ho partecipato non solo come attore ma anche come autore dei testi e della sceneggiatura nonché del montaggio. Ebbero un enorme successo e, in quel tempo, ho avuto anche l'occasione di conoscere Pietro, vostro padre.
Una persona piena di creatività ed intelligenza, appassionato d'arte e di cultura.
In quegli spot abbiamo raccontato di prodotti che sono diventati simbolo dell'Italia e degli italiani tutti, nelle nostre case e nel mondo. La pasta soprattutto è sinonimo d'Italia, di casa e di famiglia. Per tutti.
Ecco: oggi il nostro Paese è fatto di tante famiglie unite solo dall'amore delle persone che ne fanno parte. Amore che non è in grado di discriminare, che non ha confini: e l'amore, in tutto il mondo, può nascere tra un uomo e una donna, due donne, due uomini.
Sull'amore si fonda una famiglia, quella che la vostra azienda racconta nella sua comunicazione. Sull'amore si fonda una casa.
Alla domanda sul perché la sua azienda non faccia spot pubblicitari con famiglie gay, lei ha risposto: "Non farei mai uno spot con una famiglia omosessuale. Noi abbiamo un concetto differente rispetto alla famiglia gay. Per noi il concetto di famiglia sacrale rimane un valore fondamentale dell'azienda". Poi, in seguito alle polemiche che si sono scatenate, ha specificato: “Volevo semplicemente sottolineare la centralità del ruolo della donna all'interno della famiglia”. E ancora: “Ho il massimo rispetto per qualunque persona, senza distinzione alcuna. Ho il massimo rispetto per i gay e per la libertà di espressione di chiunque. Ho anche detto e ribadisco che rispetto i matrimoni tra gay. Barilla nelle sue pubblicità rappresenta la famiglia perché questa accoglie chiunque e da sempre si identifica con la nostra marca”
Ecco, Guido. La sua azienda rappresenta l'Italia: nel nostro Paese e in tutto il mondo. Un'Italia che è fatta anche di coppie di fatto, di famiglie allargate, di famiglie con genitori omosessuali e transgender. Ecco perché le chiedo di cogliere questa occasione e di ritornare allo spirito di quegli spot degli anni '50 dove io stesso interpretavo uno spaccato della società in profondo mutamento. Ecco perché le chiedo di uscire dalla dimensione delle polemiche e farsi ambasciatore della libertà di espressione di tutti. Mi appello a lei, caro Guido, perché ha modo di ridare all'Italia di oggi la possibilità di rispecchiarsi nuovamente in uno dei suoi simboli e alla sua azienda di diventare ambasciatore di integrazione e voce del presente. E chiedo quindi che lo faccia con le prossime campagne pubblicitarie del gruppo Barilla, dove la famiglia potrà finalmente essere rappresentata nelle sue infinite e meravigliose forme di questi nostri tempi. Come ho già scritto: "Buttiamoci con la testa sotto il getto del lavandino e facciamo capire ai briganti che qui siamo ancora in molti in grado di dimostrare di far parte di un contesto di uomini e donne libere e pensanti".


                                                                                                                         DARIO FO

venerdì 27 settembre 2013

DÈI E IMMORTALITÀ

Vorrei richiamare l’attenzione su un aspetto su cui non si è riflettuto abbastanza, a proposito del rapporto uomo-divinità: divinità intesa nelle sue varie formule linguistiche, così come ci sono state tramandate dalle numerose tradizioni elaborate dalla fantasia dei popoli e dai loro indovini, sciamani, stregoni, sacerdoti, profeti, aedi, filosofi e pensatori vari. Questo aspetto riguarda il concetto di immortalità. Sin dalle sue origini (da quando cioè si è reso conto, ha preso coscienza attraverso la ragione e la constatazione empirica di essere mortale come qualsiasi altro elemento del mondo naturale) l’uomo si è trovato davanti a questa dismisura, a questo orrore della sparizione definitiva, della sua uscita definitiva dal mondo, della separazione dolorosa dai suoi affetti e dai suoi cari, dalla comunità dentro cui era integrato. Gli si è aperto davanti questo baratro e ne ha avuto paura. Era una paura comprensibilissima, umanissima. Davanti a questa scoperta così ultimativa egli si è visto perduto, si è sentito misero, impotente, vulnerabile. Come accettare un destino così terribile? Come sopportare il peso tremendo di una separazione così ultimativa dai propri figli, dai visi più amati, dai beni faticosamente acquisiti?

Così come la notte e la paura lo avevano spinto a raffigurarsi un’entità, o più di una, in grado di proteggerlo, allo stesso modo l’incommensurabile spaventosa perentorietà della morte, lo ha spinto a proiettare fuori di sé, in un luogo beato ed eterno, un luogo di risarcimento, un’entità immortale che a sua volta lo rendesse immortale. Gli dèi immortali avrebbero reso immortali gli uomini; il Dio eterno e immortale avrebbe reso eterna e immortale l’anima di colui che lo aveva creato a sua immagine e somiglianza. Senza queste illusioni l’uomo delle varie epoche non avrebbe potuto sopravvivere. Senza questa illusione la vita di milioni di uomini contemporanei sarebbe oggi inutile e insensata; terribile da sopportare. Senza un fantastico luogo del risarcimento o, per dirla filosoficamente, della beatitudine eterna, non ci si potrebbe fare esplodere con una carica legata alla cintura, accettare la morte prematura di un figlio, le disgrazie quotidiane e le umiliazioni che la vita ci impone. È necessario che da qualche parte vi sia un luogo del ricongiungimento, un luogo dove ogni male e affanno abbia fine, un luogo dove un padre benigno accoglie per l’eternità. L’uomo dunque, si è creato un Dio immortale per poter rimanere immortale; un luogo eterno per poter vivere in eterno.
La paura della morte, del resto, sta all’origine di ogni fede, di tutte le fedi che conosciamo. Si tratta di una paura ancestrale, sedimentata nei recessi dell’uomo sin dal suo apparire ed è divenuta chimicamente consustanziale alla sua biologia e dunque ineliminabile. La ragione è impegnata da secoli per vincere questa dura battaglia, ma il suo sforzo resta vano; i suoi adepti sono tuttora agguerrite minoranze, ma comunque minoranze.

I fautori della metempsicosi e della trasmigrazione delle anime in altri corpi (reincarnazione) hanno dovuto, a loro volta, ricorrere a questo rassicurante espediente per potere, in qualche modo, venire a patti con la perentorietà ultimativa della morte. La convinzione che si potrà continuare a vivere, seppure in altra forma o in un altro corpo, mitigava e mitiga lo spettro spaventoso dell’annientamento, della cancellazione definitiva, della polvere restituita alla polvere.

L’unico vantaggio di queste culture, è che non esiste nella loro visione, come per il mondo pagano e le religioni teiste, un Aldilà doloroso di espiazione che necessita di un faticoso viaggio di purificazione prima di conseguire la meta agognata.

Da queste poche battute, si può evincere come dèi, divinità e luoghi dell’immortalità, siano stati, e sono, un bisogno umano creato dall’uomo per l’uomo stesso e dunque comprensibile, giustificabile.
Meno giustificabile appare invece la speculazione “razionale” e fideistica di filosofi (grandi e meno grandi) e teologi teisti. Entrambe queste due categorie di ragionatori, hanno contribuito non poco a intorbidare le acque. Su che cosa potevano basare la loro speculazione e il loro ragionamento se gli uomini avevano dal nulla creato un nulla, seppure rassicurante? Pensatori del nulla i filosofi teisti e studiosi e affabulatori del nulla i teologi; essi si sono arrogati il diritto di dire sull’indicibile, rappresentare l’irrappresentabile, dimostrare l’indimostrabile, dare sostanza a ciò che sostanza non aveva.

E con questo ridicolo e vano esercizio intellettuale, hanno posto le basi dottrinarie di tutto il male e di tutto il sangue che la stupidità degli uomini ha commesso, e continua a commettere, nel nome di un nulla che, da rassicurante, si è fatto tragico.  
Angelo Gaccione



mercoledì 25 settembre 2013


Salva gli Ayoreo Totobiegosode


La compagnia brasiliana Yaguarete Pora, produttrice di carne, sta distruggendo l’ultimo lembo di terra rimasto agli Ayoreo Totobiegosode incontattati. Le ultime immagini satellitari mostrano il nuovo percorso segnato dalle ruspe: tutto ciò che si trova a destra del confine tracciato, verrà abbattuto integralmente. La foresta si sta riducendo rapidamente. Viene trasformata in pascoli per il bestiame, la cui carne viene venduta in Europa, Russia e Africa. Presto gli Ayoreo non sapranno più dove rifugiarsi per salvarsi la vita. Qualsiasi contatto tra i lavoratori della compagnia e i gruppi incontattati potrebbe risultare devastante per gli Indiani, che non hanno difese immunitarie verso le malattie importate dall’esterno.
Per favore, scrivi subito al direttore della Yaguarete Pora per chiedergli di fermare i lavori e restituire la terra agli Ayoreo.
Basteranno pochi secondi perché il link sottostante ti porterà a un’e-mail già compilata e pronta per essere spedita. Grazie!
Manda una e-mail al direttore della Yaguarete Pora →

Cristina Vaccani


“IO VEDO, IO SENTO, IO PARLO”

Per ricordare una donna coraggiosa prenotiamo e esponiamo in ogni casa, palazzo e scuola:
                             Una bandiera per Lea Garofalo 

Con i colori di Libera e la scritta “Io vedo, io sento, io parlo”
Il 19 ottobre 2013 si celebreranno a Milano i funerali della testimone di giustizia Lea Garofalo, uccisa il 24 novembre del 2009, dopo essere stata interrogata e torturata dall' ex compagno Carlo Cosco e da altri uomini legati dal codice d’onore della "ndrangheta".
Negli ultimi due anni libera ha sostenuto Denise nel processo per l'omicidio di sua mamma Lea: volevamo starle vicini, volevamo non lasciare una ragazza di 20 anni sola mentre sfidava il padre e gli zii. Ora desideriamo soprattutto far ricordare  la figura di questa donna coraggiosa  che ha testimoniato per la dignità di tutti noi, contrapponendosi ad ogni omertà  e vogliamo far capire che è stata uccisa perché  noi non siamo stati abbastanza vigili .
Libera associazioni nomi e numeri contro le mafie, lancia la campagna:                                                IO VEDO, IO SENTO, IO PARLO!  e tu da che parte STAI?
La campagna sarà supportata anche con la produzione di una bandiera, che potete già prenotare!
Per saperne di più, contribuire e portare i tuoi suggerimenti, puoi scrivere a milano@libera.it
L'omicidio di Lea era stato deciso da tempo, ma rimandato perché i suoi aguzzini volevano assolutamente sapere cosa aveva denunziato ai magistrati e alle forze dell'ordine.
La sua denunzia metteva in pericolo la struttura milanese della "ndrangheta, rivelava il ruolo di piazzale Baiamonti  nel traffico di droga e metteva in luce le strategie di controllo territoriale e il rapporto di dipendenza  delle "ndrine della Lombardia con le "famiglie" calabresi.
La storia di Lea è esemplare: Una donna si ribella alle leggi e al codice della sua famiglia e lotta con tutte le sue forze per liberare se stessa e sua figlia da un destino inesorabile, cade in povertà e viene lasciata sola e la sua denunzia non trova i riscontri, gli approfondimenti e le attenzioni necessarie. È la storia di sempre che si ripete, di invisibilità della organizzazione mafiosa che non viene riconosciuta come tale per molto tempo e per questo può agire indisturbata e mietere le sue vittime... La discussione pubblica e le aperte prese di posizione, in particolare quelle dei ragazzi e dei giovani volontari e coetanei di Denise” in tutto il paese,  hanno fatto crescere nella coscienza collettiva la consapevolezza della natura mafiosa di questo delitto e del pericolo che comporta il processo di colonizzazione in atto della Lombardia. Oggi, dopo il ritrovamento del corpo, i funerali pubblici che si terranno sono l'occasione per rendere omaggio a una coraggiosa e irriducibile donna, fragile e forte nello stesso tempo, una donna che è morta riscattando la dignità di tutti noi cittadini milanesi che abbiamo ignorato ciò che avveniva sotto i nostri occhi; nello stesso tempo essi saranno anche l'occasione per dire definitivamente  no al silenzio, all'omertà e all'indifferenza. Il percorso per una Lombardia veramente Libera dalle mafie è ancora lungo e noi abbiamo bisogno dell'aiuto di tutti. Aiutateci a far partecipare tutta la città alla giornata dei funerali civili, aiutateci a preparare una profonda sensibilizzazione dei cittadini milanesi intorno a questi temi. Trasformiamo il dolore e la memoria in impegno quotidiano e in un cammino di libertà.
Come primo piccolo gesto di partecipazione e adesione chiediamo di esporre in luoghi pubblici, dalle case e dai palazzi, da ogni luogo, ove sia  possibile una bandiera/lenzuolo con la scritta " io vedo, io sento, io parlo, Lea Garofalo, testimone di giustizia".
A tutti chiediamo di fare, al più presto, una prenotazione di queste bandiere e di versare anticipatamente i soldi necessari alla preparazione e alla stampa: Il costo è di 4 euro a bandiera e la prenotazione va fatta all’indirizzo milano@libera.it

LIBERA. ASSOCIAZIONI, NOMI E NUMERI CONTRO LE MAFIE 

COORDINAMENTO REGIONE LOMBARDIA Via della Signora, 3 - 20122 Milano Tel.    02/7723210 - Fax 02/780968E- email: lombardia@libera.it Web: www.libera.it
LE PULCI


“La tecnologia estrema vizia il fisico
e sevizia il cervello.”

Laura Margherita Volante


“In solitudine nulla e godibile.
Nemmeno la ricchezza.”

Laura Margherita Volante






BOLOGNA.  A Bologna fioriscono le letture di landays,
distici di 9 e 14 sillabe, in uso presso le donne afghane
come denuncia contro la violenza.
Ne mando n.4 sul tema.  

                                                         Graziella Poluzzi
                         
                         *
Non so perché lui si agita...
La mano si trasforma in arma tagliente.
                         *
Il suo occhio si fa rovente
il terrore mi soffoca, mi paralizza.
                         *
Colei che vive nell'angoscia
ha già pronto il sudario della propria fine.
                          *
Il mio volto e le grida
perseguiteranno tutte le tue notti.

                       
                           *

lunedì 23 settembre 2013


Tanto per cambiare:
un rapido sguardo ai cinque fattori costitutivi
dell’economia

di Paolo Maria Di Stefano



Necessaria premessa. L’insegnamento dell’economia in Italia tradizionalmente individua i fattori della produzione in natura, capitale e lavoro. Non tutti i docenti ricordano che quasi un secolo fa, ormai, ad essi fu aggiunta l’organizzazione, così come non tutti realizzano e segnalano la funzione di capitale importanza che da sempre in economia assume la comunicazione, a mio avviso da considerarsi a pieno titolo il quinto fattore.
In compenso, capita sempre più spesso di imbattersi in tentativi più o meno suggestivi e corretti di attribuire la qualifica di “fattore della produzione” a fenomeni i più diversi, sì che il numero si espande all’infinito, e sempre con qualche grano di attendibile verità.
Ad esempio, da qualcuno si annovera tra i “fattori di produzione” l’impresa, che certamente con la produzione ha a che fare, ma che, a mio parere, è soggetto attivo di essa, non uno dei suoi elementi essenziali. Significa che l’impresa utilizza tutti o parte dei fattori di produzione per perseguire la propria causa ultima che non è il puro e semplice dar vita ad un prodotto – bene o servizio che sia – bensì di realizzare uno scambio avente per oggetto “quel determinato prodotto” al fine della creazione di utilità alla quale, nel caso specifico di un’impresa privata (soprattutto), si dà il nome di profitto.
L’impresa non è fattore della produzione ma soggetto che si attiva per utilizzare tutti o alcuni di essi al fine di creare utilità.

E poi, forse, è anche da ricordare che la produzione non è che uno degli aspetti dell’economia. Meglio: è così se alla produzione si guarda come processo realizzatore dei prodotti, ai quali occorre guardare come oggetto di quello scambio che crea utilità quando correttamente condotto. Diventa invece elemento essenziale al concetto stesso di economia quando a questa si guardi nel suo contenuto di ordine sociale della ricchezza, cioè di “ leggi secondo le quali la ricchezza delle collettività di individui si forma, si trasforma, si accumula, si distribuisce, si consuma.”[1] Ed è anche da ricordare quanto scriveva Marshall nel 1920: “L’economia è uno studio della ricchezza, e nello stesso tempo una parte dello studio dell’uomo”.[2]

Occorre anche ricordare che nulla esiste che non sia qualificabile come prodotto, cioè come risultato di attività, non necessariamente ed esclusivamente umana e non necessariamente volontaria e consapevole.

Ma la cosa forse più rilevante è che non esiste nessun prodotto che non sia destinato ad uno scambio, e che il concetto di “scambio” assorbe ogni e qualsiasi utilizzo di ogni e qualsiasi risultato di ogni e qualsiasi attività, sia esso utilizzo effettuato dallo stesso produttore, sia esso effettuato da soggetti terzi.
Poiché di scambio si può correttamente parlare sia in senso interpersonale che in senso intrapersonale[3].
Con conseguenze di non secondo momento. Per esempio, la cancellazione della qualifica di “inutilità” che vada al di là di un senso assolutamente relativo: inutile è un prodotto che non è adatto alla soddisfazione di “quel determinato bisogno”. Anche il prodotto apparentemente più inutile della faccia della terra ha la capacità di soddisfare almeno il bisogno “creativo” di colui che lo ha prodotto[4].
Mi rendo conto che la sintesi può apparire difficile, ma non ho altra scelta qui e in questo momento Ma è possibile un’ulteriore precisazione: non di “fattori della produzione” si dovrebbe parlare, bensì di “fattori dello scambio". La produzione non indirizzata allo scambio – ammesso e non concesso che ne sia possibile l’ipotizzarla - sarebbe qualcosa (questa sì!) di assolutamente inutile. E questo fa sì che al centro dell’economia si possa (si debba?) porre lo scambio, e non più il prodotto che dello scambio null’altro è se non l’oggetto, ed alla cui definizione è estranea la fisicità.



Di fattori della produzione si è parlato -e non del tutto trasversalmente- in una sera di settembre nel corso della presentazione a cura della Tigulliana di un saggio di Alberto Mingardi in quell’intimo e suggestivo piazzale San Francesco in una Chiavari da sempre attenta alla cultura.
Un “fuori onda” ha avuto per me un interesse particolare. Alla mia affermazione, peraltro del tutto informale e casuale “nelle nostre università si insegna ancora un’economia vecchia e superata, tanto che si sostiene che i fattori della produzione sono terra, capitale e lavoro, quanto meno dimenticando l’organizzazione e la comunicazione”, è stata opposta una nota interessante. “Ma organizzazione e comunicazione sono un lavoro e senza lavoro la terra forse non è così interessante. E dunque, i fattori della produzione possono essere indicati come capitale e lavoro”. La mia risposta a caldo è stata “forse sì, ma questo implica uno sforzo di classificazione ulteriore per spiegare concetti e fenomeni non semplicissimi”.
E’ stata la prima volta che mi si è prospettata la possibilità di ragionare in termini di “riduzione” anziché di moltiplicazione dei fattori della produzione. E la cosa mi ha fatto pensare, anche perché se non erro chi mi ha lanciato la provocazione è stato l’Autore del saggio all’onore della cronaca, ponderoso quanto interessante lavoro in strenua difesa dell’economia libera, del liberismo e della intelligenza del danaro-  perché il mercato ha ragione anche quando ha torto (Marsilio editore).

Intanto, ho messo del tempo a realizzare che i relatori ragionavano facendo coincidere il concetto di “economia” con quello di “capitalismo”. La conferma l’ho avuto solo a fine serata, quando l’alto dirigente al tavolo dei relatori ha fatto esplicito riferimento al capitalismo, tra l’altro rispondendo – solo in parte e a mio modo di vedere non correttamente – ad una mia domanda sul ciclo vitale del prodotto chiamato sistema economico attuale, ciclo a mio avviso nella fase discendente e dunque in uno stato tale da richiedere interventi “strutturali” (come oggi si dice), preceduti da un “disegno” di un sistema che, per esser diverso, sarebbe comunque nuovo.
Una mia carenza, senza dubbio, ma credo dovuta alla convinzione che parlare di economia, di mercato e di finanza non significasse assolutamente limitare il discorso al capitalismo e neppure all’economia libera o al libero mercato, come più comunemente si dice. Dal momento che si possono ipotizzare tipi diversi di economie e di sistemi economici, limitare il discorso alla sola economia capitalista è certamente fonte di equivoci.

Affermare che i fattori della produzione sono solo due, capitale e lavoro, conduce (tra l’altro) ad una conseguenza interessante. 
Questa. Anche il capitale è frutto di lavoro e comunque di attività, e su questo non  mi pare possano sussistere dubbi di sorta. In un modo o nell’altro, disporre di capitali significa che qualcuno – non necessariamente il capitalista del momento – quei capitali ha costruito e incrementato. Dunque, ha lavorato per poterne disporre e il disporne è a sua volta un lavoro.
E se così è, non vi pare che i fattori della produzione possano essere ridotti ad uno solo, il lavoro, appunto?
Se così fosse – se, cioè, al lavoro fosse possibile pensare come al solo vero “fattore della produzione” – bisognerebbe riconoscere al lavoro una funzione assolutamente preminente rispetto a qualsiasi altro elemento. Il capitale sarebbe di secondo momento, rispetto al lavoro, e così la natura (la quale, peraltro, dovrebbe trovare una sua collocazione a mezza via tra il capitale ed il lavoro), e così pure l’organizzazione e la comunicazione.
Il che porterebbe a cercare, individuare e realizzare una scala di priorità sia in termini di retribuzione che di sacrifici eventualmente da sostenersi per supplire le sempre possibili debolezze del sistema.

Forse non è così; forse è e rimane vero che i fattori della produzione sono natura, capitale, lavoro, organizzazione e comunicazione, ma certamente al lavoro spetta quel “quid” in più che ne fa il fattore più importante in un mondo – quello dei fattori della produzione – nel quale la natura, il capitale, l’organizzazione e la comunicazione si dividono con esso l’essenzialità, nel senso che non si può parlare di economia, non esiste economia e non esiste sistema economico che non dipenda dalla contemporanea presenza di lavoro, natura, capitale, organizzazione e comunicazione.

Allora il problema dei sistemi economici sembra essere  una questione di bilanciamento tra i fattori della produzione – e su questo nessuno credo possa obbiettare – e dipende dalle priorità di volta in volta riconosciute ed applicate.
Così, il sistema capitalistico discende dalla priorità assoluta data al capitale, e dunque dalla prevalenza data alla sua sicurezza, al suo incremento, alla sua retribuzione. Che in virtù della natura egoistica dell’essere umano, tende ad essere perseguita a scapito della retribuzione degli altri fattori. E quando, pur di retribuire il capitale, di accrescerlo o comunque di metterlo al sicuro da ogni rischio, si sacrifica il fattore lavoro fino a livelli eccessivi, il sistema entra in crisi.
Che è quello che sta accadendo, e che peraltro accade ogniqualvolta si ecceda nell’assegnare il peso ad uno qualsiasi dei fattori, si’ da determinarne la forza di prevaricazione.
Un esempio per tutti potrebbe essere rintracciato proprio in quanto è accaduto (e sembra continuare ad accadere) per quello che concerne la comunicazione la quale, soprattutto nella sua forma di pubblicità, ha teso e tende a creare nella mente dei potenziali consumatori o utilizzatori una visione distorta del prodotto proprio perché eccessivamente valorizzata.
Ragionando come noi stiamo cercando di fare, la crisi del sistema indica una via d’uscita proprio nel proporre un nuovo e diverso equilibrio tra i fattori dell’economia, segnatamente tra capitale e lavoro.
E questo può ottenersi approfondendo lo studio della componente “lavoro” presente in ogni fattore della produzione e determinando in base alla percentuale di impegno la sua retribuzione in ciascuno dei rispettivi “mondi”.

Che potrebbe essere una prima indicazione per tentare di strutturare un’uscita dalla crisi attuale che è, ripeto, crisi di sistema.

E, anche, forse la situazione di oggi potrebbe indurre a ripensare al significato profondo di quell’aggettivo “libera” che tanto spesso si accompagna ad “economia”, insieme realizzando una delle più profonde e drammatiche ragioni del contendere in tutto il vasto mondo della “società” e dunque dell’intero genere umano.
La questione potrebbe trovare una soluzione, probabilmente affidabile, se si ricordasse che al concetto di libertà sempre di più si è andato associando quello di assenza di ogni e qualsiasi limite, tanto che la definizione stessa di libertà suona “stato di autonomia essenzialmente sentito come diritto, e come tale garantito da una precisa volontà e coscienza di ordine morale, sociale, politico; la situazione relativa all’assenza di costrizioni o limitazioni.”[v]. Che in un certo senso, neppure troppo vago, riecheggia quella anarchia che si definisce come “stato di disordine politico dovuto a mancanza o debolezza di governo” o anche “dottrina sociale e politica che propugna l’abolizione, per mezzo di rivoluzioni, dell’ordine e della autorità costituita e accentrata, nonché di ogni forma di costrizione esterna”[vi].

Forse non sarà superfluo notare come a proposito dell’economia si insegni –almeno nelle nostre scuole- che il diritto e la morale non hanno molto a che vedere con la scienza economica, che da essi prescinderebbe proprio in nome della libertà.
In altre parole: gli scambi economici e quindi il fenomeno che noi chiamiamo in senso stretto mercato se non limitato da elementi e principi di etica e di diritto si realizza nel modo migliore raggiungendo un equilibrio che, se turbato, tende a rinascere dalle proprie ceneri, come l’araba fenice.
E proprio come accade per l’araba fenice - della quale che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa - dell’esistenza di questo equilibrio auto rigenerantesi dubita fortemente la scuola di Keynes.  Non perché non sia vero che, nei loro momenti migliori, i sistemi economici siano in equilibrio, bensì perché la storia sembra dimostrare che almeno per i turbamenti rilevanti, le cose vanno diversamente, e il sistema economico, anziché tornare alla posizione di equilibrio iniziale, tende ad allontanarsene sempre di più.

E noi stiamo attraversando un periodo di turbamenti inequivocabilmente epocali.

A questo si aggiunga che secondo la scuola di Keynes le posizioni di equilibrio di piena occupazione sono l’eccezione: la regola è rappresentata da posizioni di equilibrio con un grado più o meno rilevante di disoccupazione.
Allora il vero problema non è “la piena occupazione”, bensì la maggiore occupazione possibile, nel quadro del migliore equilibrio possibile tra i cinque fattori dell’economia.

I quali, tutti, sono condizionati dall’etica, dall’equità e dal diritto i quali si pongono come elementi essenziali di ogni e qualsiasi quadro di riferimento economico, sociale ed individuale.



[1] Marco Fanno, Elementi di scienza economica, Lattes  & C. Editori, Torino 1961, quattordicesima edizione.
[2] Alfred Marshall, Principi di economia, traduzione italiana dell’ottava edizione inglese del 1920, nella 4a collana degli economisti, UTET
[3] Qualcosa di più attorno al concetto di scambio è nel mio Il marketing e la comunicazione nel terzo millennio, Franco Angeli, Milano 16° edizione 2004, pagg. 63 e segg.
[4] In proposito, il mio Product management- dalla gestione del prodotto alla gestione dello scambio – Franco Angeli, Milano, 4° edizione 2010
[v] Devoto- Oli Dizionario della lingua italiana. La voce prosegue indicando per il lemma “libertà” al negativo “atto o episodio che rivela mancanza di controllo o di ritegno riconducibile, nei rapporti sociali, o a eccessiva coincidenza o a mancanza di rispetto”. Lo Zingarelli  specifica “condizione di chi (di ciò che) non subisce controlli, costrizioni, coercizioni, impedimenti e simili”.
[vi] Zingarelli e Devoto-Oli cit.

domenica 22 settembre 2013

LE DONNE NON POSSONO MORIRE

Locandina evento

Il Circolo Giordano Bruno e il Centro Culturale Candide invitano i lettori all'incontro pubblico sul libro di poesie Le donne non possono morire, di Lorenza Franco. Clicca qui per scaricare l'invito con tutte le informazioni dell'evento.

venerdì 20 settembre 2013

DELL’USO DI GAS VENEFICI CONTRO LE POPOLAZIONI

Nella guerra civile siriana sono state usati i gas aggressivi chimici in forma gassosa. Se ad opera delle forze governative o di quelle ribelli non ha importanza qui stabilire. La presente nota non ha lo scopo di accertare la verità e si giustifica persino se venisse accertato che i gas venefici non sono stati impiegati né da una parte né dall’altra. La questione riguarda il principio internazionale che considera l’uso delle armi chimiche un delitto contro l’umanità. Tale principio sembrerebbe incontestabile, apparendo anzi del tutto ovvio. E nondimeno esso lascia tacitamente intendere che, invece, l’uso delle armi tradizionali non sia affatto un crimine contro l’umanità. In altre parole: la guerra è la guerra e uccidere va benissimo (non ci sono forse anche le guerre “giuste”?) ma lo si deve fare onestamente, coi rumorosi mezzi tradizionali e non con silenziose esalazioni. Sembrerebbe infatti doveroso stabilire una gerarchia nelle efferatezze, poiché ce ne sono alcune che appaiono più nefande delle altre. I delitti non sono tutti uguali e si pensa che uccidere sia più grave che rubare e che derubare un cieco o una vecchietta indifesa sia, almeno moralmente, più grave che impadronirsi di una motocicletta. Nel nostro caso, ossia degli interventi sulle popolazioni, sembrerebbe che una morte dolce e silenziosa per via respiratoria sia più odiosa, perché frutto di ipocrisia, della morte violenta per deflagrazione, che ha in sé una sua lealtà; diffondere un gas appare più vile che gettare un missile.
E’ tuttavia curioso che di fronte alla violenza individuale la nostra emotività reagisca invece in modo opposto. Tutti troveremmo più elegante uccidere la moglie con l’arsenico piuttosto che tagliarle la carotide con un coltello da cucina. Nel Gattopardo, il principe di Salina cita l’episodio di un parroco ucciso durante la messa; e aggiunge che nessuno gli aveva sparato in chiesa con la lupara, cosa che sarebbe apparsa orrenda al cattolicesimo dei siciliani; semplicemente gli era stato messo il veleno nel vino da messa, atto più civile e persino più “liturgico”.
Nella violenza bellica, invece, niente arsenici, niente cianuri, niente ipriti, niente fosgeni, o il presidente degli Stati Uniti ti punisce: a scopo dimostrativo, beninteso, e senza dichiarare guerra, con un intervento armato ma lecito (ovviamente non con i gas), sorta di sacrosanta punizione, un po’ – fatte le debite proporzioni – come facevano un tempo i maestri di scuola con lo scolaro disubbidiente. È vero che in questo caso non si sarebbe trattato di bacchettate sulle dita ma di altri morti (essendo difficile, nonostante l’alto livello tecnologico degli armamenti leciti, che la “mira” di un missile sia tanto precisa da escludere, scoppiando, i filogovernativi dai ribelli, i bambini dagli adulti). Ma, notoriamente, è il principio che conta.
E soprattutto ci si domanda: perché usare un gas quando si può ottenere lo stesso effetto in altro modo? perché passare per nemico dell’umanità quando nessuno ti dice niente se fai fuori migliaia di persone con le bombe? che senso ha preferire l’iprite a un lanciafiamme? O vogliamo farne una questione di eleganza o di comodità?
La guerra, civile o no, è una nobilissima consuetudine, la si fa da che mondo è mondo, non accenna a passare di moda. Non si può contestarla, e il pacifista ad ogni costo si rivela più che mai nemico delle tradizioni e della storia. Ma le nazioni che ambiscono alla distruzione reciproca, coloro che hanno il potere e lo vogliono conservare, coloro che non ce l’hanno e lo vogliono conquistare, devono uccidersi a viso aperto, senza barare. La guerra è una sorta di gioco ma proprio per questo ha regole che devono essere rispettate. È una questione di galateo.  
Sandro Bajini
                                                                                         



In punta di penna
di Sandro Bajini

Facciamo un gioco? Confrontiamo il Partito Democratico e il Partito della Libertà. Non sul piano dei principi politici, poiché sarebbe impossibile: nel PD si scontrano le opinioni più diverse e nel PDL nessuna. Vediamo invece quali sono le differenze sul piano fenomenologico. La più incontestabile è la seguente: nel partito democratico la presenza di ex-comunisti è una palla al piede; nel partito della libertà la presenza di ex fascisti è un fiore all’occhiello. Si capisce dunque perché quest’ultimo appaia – indipendentemente dall’indissolubile vincolo d’amore che lega i cortigiani al sovrano – come un roccioso monolite, mentre il partito democratico si presenta come un castello di sabbia. E si capisce perché molti osservatori chiedano al partito democratico di rinnovarsi, mentre nessuno chiede che si rinnovi il partito della libertà. Il primo ha bisogno di cambiare, il secondo di rimanere com’è. Il primo deve liberarsi dell’eredità socialcomunista, che agisce come morta zavorra; il secondo non ha alcun bisogno di liberarsi dell’eredità fascista, che lungi dall’essere una zavorra è  colonna portante. Lo dimostra proprio la defezione di un ex fascista, avvenuta qualche anno fa.
Come il socialcomunismo, anche il fascismo ha i suoi pentiti. È questo un fenomeno che non è stato sufficientemente apprezzato. Fini lasciò il partito della libertà perché non lasciava sufficiente libertà agli iscritti e si dimostrò nell’occasione meno fascista del sovrano. Con tutto questo, non possiamo dire che il partito della libertà è un partito fascista, poiché sappiamo benissimo che il suo sovrano sarebbe prontissimo 
Ne fa testo la nota defezione di qualche anno fa, generata  da divergenze sulle regole interne di gestione, fatto in cui l’ex fascista (che aveva sconfessato il fascismo non meno degli ex comunisti il socialcomunismo), si dimostrò meno fascista del sovrano. Nulla vale la considerazione che non ci sono nel partito iscritti più anticomunisti degli ex comunisti, poiché il passato e la fama prevalgono sempre sui comportamenti e sulle dichiarazioni e non ci si fida.    

lunedì 16 settembre 2013

MARATONA DI CULTURA

    

Clicca sulle immagini per scaricare le locandine.

domenica 15 settembre 2013

ADDIO AD UN AMICO


Angelo con Leandro e la moglie Ambretta
Leandro Fossi è morto. Ha combattuto strenuamente contro un male feroce, lo ha fatto con la sua ironia e la sua caparbietà, ma alla fine il male è stato più forte. È morto a Milano in piena estate, il 17 agosto, quando la città si svuota, ed è solo grazie a qualche turista e straniero, che mantiene qualche traccia di vita, un argine totale alla sua desolazione.
Leandro era nato a Montemaggiore al Metauro provincia di Pesaro-Urbino, nel1937, ma aveva trascorso l'infanzia e parte della giovinezza a Fano. Dopo la laurea in economia alla Ca' Foscari di Venezia si era trasferito a Milano dove aveva lavorato presso una società privata, ed stato dirigente della regione Lombardia ed esercitato la professione di sindacalista.
Aveva collaborato a un quotidiano economico a diffusione nazionale e pubblicato saggi su temi economici e di strategia aziendale. Era appassionato di teatro e di musica classica. Dalla fine del 2001 soffriva di una grave malattia che ha comportato pesanti cure. Per superare lo stato di depressione in cui si era venuto a trovare, su suggerimento dei medici, aveva iniziato a scrivere, riprendendo una vecchia passione di gioventù.
Ha pubblicato nel 2005 il suo primo romanzo: Fuga in Oriente, nel 2006 una raccolta di racconti: La casa degli zii e altri racconti e nel 20011: Un passo troppo, lungo il suo terzo romanzo. Negli ultimi giorni prima di morire è riuscito a finire, pur se molto sofferente, le bozze di un quarto romanzo dal titolo emblematico: Anche questa è vita.
È stato sepolto per suo espresso desiderio al nuovo cimitero di Fano: Cimitero dell'Ulivo.
Avevo conosciuto Leandro perché era amico di Giuseppe Bonura e lo aveva incoraggiato a scrivere.
Claudina Bonura gli diede il mio numero di telefono, lui mi mandò il romanzo che io recensii   favorevolmente. Ci incontrammo e gli pubblicai dei pezzi su “Odissea” a cui era anche abbonato.
Nell’estate del 2011 fui ospite suo e della moglie Ambretta, e passammo alcuni giorni in allegria;
in quella occasione Mirella ci scattò diverse fotografie, compresa quella qui pubblicata. Ne approfittai per incontrare l’assessore alla cultura di quella città, per convincerlo a mettere una targa ricordo del nostro comune amico Bonura, sulla facciata della casa di via Martino Da Fano, dove lo scrittore aveva a lungo vissuto. La cosa andò felicemente in porto ed io scrissi il testo della lapide.
Purtroppo Leandro non poté prendere parte, per ragioni di salute, al Convegno su Bonura al Teatro della Fortuna che la Città di Fano organizzò. Da Milano scendemmo io e gli amici scrittori Alessandro Zaccuri e Giuseppe Lupo. La cerimonia della targa fu magnifica ed emozionante.
Un altro magnifico ricordo, anche questo suggellato da una serie di foto che ci ritraggono insieme, fu la sera del mio compleanno, nel gennaio 2012; venne con Ambretta e stemmo veramente bene con altri due fraterni amici: Carla e Fortunato Zarro. Poi ci furono le mie traversie ospedaliere ed il suo male che faceva le bizze. Si è arreso il 17 agosto di quest’anno lasciando, a chi lo ha conosciuto ed apprezzato, la fedeltà della memoria.

Angelo Gaccione
Caro Angelo, ispirandomi al tuo bellissimo pezzo Dèi e immortalità, ho scritto la schifezza che allego. Ribadisco che non mi piace il termine "atea", preferisco dirmi non superstiziosa.
Vale,  Lorenza.   


IL BISOGNO DI DIO
La religione promette l’immortalità per poter fare strage di mortali.

La cellula è immortale, si divide,
così ha decretato la natura.
Un bimbo nasce, alla vita sorride,
involucro che ancor non ha paura

di consumarsi e non servire più
a proteggere il prezioso tesoro,
della natura gran capolavoro
dopo averlo trasmesso in gioventù.

Corredi cromosomici immortali
di nuova protezione si circondano,
di corpi giovani, luoghi ideali
su cui le grandi promesse si fondano

di un’eternità ch’è garantita,
perché la cellula no, non muore mai,
e di carne e di sangue rivestita,
vivrà per sempre. Ma tu non ci stai,

 uomo che vuoi esser tu immortale,
non semplice astuccio contenitore,
ed un sogno coltivi esistenziale,
un garante, dal cielo protettore,

che ti trasmetta l’immortalità
a lui attribuita senza prove,
un’immaginaria divinità
abitatrice di un falso altrove.

Nasce così il disprezzo della vita,
esplodere si fa l’attentatore,
morire da cristiano o da sunnita,
che importa se hai creduto nell’errore?

Lorenza Franco

10 settembre 2013

venerdì 13 settembre 2013

DIRE BASTA E' IL DOVERE DEI DEMOCRATICI

«Dire basta è il dovere dei democratici». Lo dichiara Giovanni Bianchi, presidente nazionale dei Partigiani Cristiani - l'associazione fondata da Enrico Mattei - e già presidente del Ppi e delle Acli, a proposito del raduno a Cantù di Forza Nuova e dei movimenti europei di estrema destra. I quali, sottolinea Bianchi, «sono la vetrina terminale di una storia che ci ha regalato l'orrore della guerra, della dittatura e della Shoà. Non sono certo l'inizio di un discorso politico di destra né tantomeno democratico. Ricordarlo è il dovere del buon senso. Dire basta il dovere dei democratici. Chi non si oppone alla diffusione di quelle idee e dei comportamenti che oggi evidentemente ne discendono su razzismo, immigrazione e omofobia si aggira intorno ai confini del Lager con lo sguardo del guardiano di un parcheggio».

martedì 10 settembre 2013


Italia alle guerre stellari con i satelliti d’Israele
di Antonio Mazzeo

Messina.Tagli per tutti ma non per le forze armate, specie se le spese rafforzano la partnership tra le industrie d’armi nazionali e quelle israeliane. Quarantuno milioni e 600.000 euro sul bilancio 2013; 96 milioni per il 2014 e 53,8 per il 2015. Il ministero della Difesa prevede di spendere quasi 192 milioni di euro in tre anni per dotarsi di un nuovo sistema satellitare ad alta risoluzione ottica per l’osservazione dell’intero globo terrestre, l’OPTSAT 3000, progettato e prodotto da Israele.
Leggero e di dimensioni assai ridotte, l’OPTSAT 3000 si caratterizza per l’agibilità e la manovrabilità da terra e per le notevoli capacità di definizione delle immagini raccolte dallo spazio. Il satellite è tuttavia programmato per funzionare per periodi brevi, non oltre i 6-7 anni dalla sua messa in orbita (prevista entro il 2016).
L’accordo italo-israeliano per il nuovo sistema di telerilevamento satellitare prevede che la società Telespazio, controllata da Finmeccanica e dalla holding francese Thales, operi in qualità di prime contractor per la fornitura del satellite e del segmento di terra, dei servizi di lancio e messa in orbita, della preparazione ed esecuzione delle attività operative e logistiche. Telespazio ha sottoscritto con il Ministero della difesa italiano un contratto del valore complessivo di 200 milioni di dollari. Personale della società sarà dislocato in Israele durante le fasi di preparazione al lancio del satellite, nonché presso il Centro di Controllo di Tel Aviv durante le fasi di post-lancio. Il completamento dei test in orbita dell’OPTSAT 3000 sarà realizzato successivamente dal Centro Spaziale del Fucino di Telespazio.
La realizzazione del satellite per un costo di 182 milioni di dollari sarà affidata alla Mbt Space Division delle Israel Aerospace Industries (IAI), le industrie aerospaziali e missilistiche israeliane. A produrre la telecamera spaziale ad “alta definizione” (valore 40 milioni di dollari) sarà invece Elbit Systems Electro-Optics Elop Ltd., una controllata della Elby Systems Ltd, altra azienda strategica israeliana nel campo dei sistemi di comando, controllo, comunicazione, intelligence e dei velivoli senza pilota.
L’acquisizione del satellite è stata formalizzata con l’accordo di cooperazione militare Italia-Israele firmato a Roma il 19 luglio 2012 dai ministri della difesa dei due paesi. Oltre all’OPTSAT 3000, l’accordo ha previsto la fornitura alle forze armate israeliane di 30 velivoli da addestramento avanzato M-346 prodotti da Alenia-Aermacchi (valore complessivo un miliardo di dollari circa, di cui 600 milioni di pertinenza dell’azienda del gruppo Finmeccanica). I primi velivoli saranno consegnati a partire dalla metà del 2014 e sostituiranno gli A-4 “Skyhawks” utilizzati da Israele per l’addestramento dei piloti dei cacciabombardieri strategici. Le attività di formazione, il supporto logistico e la manutenzione dei velivoli saranno affidate alla società privata TOR di proprietà dei due colossi Israel Aerospace Industries Ltd. ed Elbit Systems Ltd.. Elbit implementerà sui caccia-addestratori un nuovo software, il Vmts (Virtual Mission Training System) che simulerà le funzioni di un moderno radar di scoperta attiva capace di gestire numerose funzioni tattiche e scelte d’armamento complesse. “Utilizzando il software una volta in volo - spiegano i tecnici israeliani - il pilota in addestramento potrà esercitarsi in scenari avanzati, quali la guerra elettronica, la caccia alle installazioni radar e l’uso di sistemi d’arma all’avanguardia”. I sistemi di identificazione e comunicazione e i computer per il controllo di volo saranno forniti invece da Selex ES, altra azienda del gruppo Finmeccanica.
Sempre nell’ambito dell’accordo di cooperazione del luglio 2012, l’Italia si è impegnata ad acquistare due aerei radar “Eitam” del tipo “Gulfstream 550” CAEW (Conformal Aerial Early Warning), con relativi centri di comando e controllo (costo stimato 791 milioni di dollari). Prodotti da Elta Systems ed Israel Aerospace Industries su licenza della statunitense General Dynamics, gli “Eitam” sono operativi con le forze armate d’Israele e Singapore, mentre una variante del velivolo è stato fornito a Cile ed India. L’Aeronautica militare italiana ha già avuto modo di familiarizzarsi con questi sistemi di guerra: a partire del 2010 gli “Eitam” vengono periodicamente dislocati nell’aeroporto di Decimomannu (Cagliari) per partecipare ad esercitazioni congiunte italo-israeliane.
I nuovi aeri-radar consentiranno di monitorare lo spazio aereo e marittimo ed intercettare a diverse miglia di distanza l’arrivo di velivoli, missili e unità navali veloci. Le aziende israeliane doteranno pure gli “Eitam” di sistemi di geo-localizzazione e identificazione dei segnali elettromagnetici emessi dai radar e delle comunicazioni d’intelligence “nemiche”. L’accordo prevede che 750 milioni di dollari finiscano nelle casse di IAI ed Elta System, mentre 41 milioni di dollari andranno a Selex ES per la realizzazione dei sottosistemi di comunicazione, link tattici e identificazione a standard NATO dei due velivoli CAEW.

La reciproca collaborazione per lo sviluppo dei programmi OPSAT 3000, M-346 ed “Eitam” consentirà alle aziende d’armi italo-israeliane di rafforzare la propria presenza nei mercati internazionali. Selex ES ed AEL Sistemas S.A, società controllata da Elbit Systems Ltd, stanno per costituire ad esempio una joint venture per la produzione di tecnologie e sistemi radar a scansione meccanica da destinare ai velivoli d’attacco e di trasporto delle forze armate del Brasile e di altri paesi sudamericani. Ma all’orizzonte ci sono pure i floridi business dei sistemi missilistici e dei droni-spia e killer.

 ACQUA PUBBLICA

 Roma. Si è conclusa la raccolta delle firme per l'Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) per l'acqua pubblica promossa in Italia da Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua e CGIL – Funzione Pubblica con lo straordinario risultato di più di un milione e ottocentomila firme raccolte in 13 paesi dell'Unione (Italia, Germania, Austria, Belgio, Finlandia, Grecia, Ungheria, Lituania, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Slovenia e Slovacchia).
Le firme italiane verranno consegnate martedì 10 settembre al Ministero degli Interni e nel giro di pochi giorni la consegna avverrà in tutta Europa.
Nel nostro paese sono state raccolte oltre 67mla firme di cui 22mila in forma cartacea e più di 45mila online: è stata abbondantemente superata la quota di 54mila fissata per l'Italia.
L'Iniziativa dei Cittadini Europei è una nuova forma di partecipazione messa a disposizione dal Parlamento Europeo ai cittadini e quella sull'acqua pubblica è la prima ICE presentata anche in Italia. Un segnale forte dopo i referendum di due anni fa che valica le frontiere nazionali e che dice all'Unione di come i cittadini, il sindacato e i movimenti europei siano convinti che la gestione del settore idrico debba essere fuori dal mercato e dalle logiche di profitto.
Ci attendiamo dunque che la Commissione Europea, quando dovrà esaminare le richieste provenienti dall'ICE all'inizio del prossimo anno, dia risposte positive in proposito: per parte nostra, continueremo a seguire l'evoluzione di quest'importante iniziativa con le necessarie forme di pressione e mobilitazione.



                                                                                                                          Luca Faenzi
Ufficio Stampa Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua
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