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venerdì 28 febbraio 2014

giovedì 27 febbraio 2014

IL CASTELLO SFORZESCO DI MILANO


LA CONDIZIONE VERGOGNOSA IN CUI VERSA 
IL CELEBRE CASTELLO DI MILANO
Una denuncia accorata del poeta milanese Franco Manzoni

M. Buonarroti "Pietà Rondanini" part.

Milano. Sette secoli di storia in guerra contro i tagli dei fondi comunali, le lamentele dei guardiani, il degrado generale, l’impossibilità di formare turni del personale che permettano la tanto pubblicizzata apertura continuata di tutte le aree museali. Il Castello Sforzesco è uno dei primi biglietti da visita culturale ed affettivo che Milano offre ogni giorno a turisti e cittadini. Ma in che modo? Bisognerebbe farlo gestire a russi, arabi o mecenati indonesiani? Perché si tratta di un prezioso scrigno che dovrebbe aprirsi, donando il meglio di sé e delle raccolte ospitate proprio in occasione dell’Expo. L’uso del condizionale è d’obbligo. E si è costretti a fare spesso come indicato dal profeta Isaia: guardare e non vedere. Altrimenti un autentico meneghino si roderebbe il fegato dalla rabbia. Opere uniche al mondo si trovano ad interagire con ignoranza, polvere, vetri sporchi, pareti sporche che meriterebbero almeno una “affrescata”. Per non parlare dei gabinetti a piano terra. Uno spettacolo indegno, che dura da mesi.  E il sindaco Pisapia che fa nel frattempo? È troppo preso nel replicare alle critiche per i nuovi moduli d’iscrizione alle scuole comunali? Eppure una passeggiata al Castello non gli farebbe male, con tanto di uscita sulla piazza del Cannone e le giostre del Luna Park. Magari accompagnato dall’assessore alla cultura Filippo Del Corno. Alcuni turisti stranieri si chiedono se pure le montagne russe fossero tra i divertimenti offerti agli ospiti dagli Sforza. In ogni caso Pisapia sembra avere il polso della situazione: sa bene che non ci sono altri fondi per la cultura. Nella sua ipotetica visita il sindaco potrebbe iniziare dal museo d’arte antica, dove il clou è la “Pietà Rondanini” di Michelangelo. Tenga conto, tuttavia, che l’addetto al controllo deve sorvegliare il celebre capolavoro e contemporaneamente la porta che conduce verso le altre raccolte. Basta una breve distrazione. Nessuno vede, e, oplà, una coppia giapponese porta a casa una foto souvenir speciale. Con un balzo felino l’uomo arriva sul piccolo piedistallo e si abbarbica alla Madonna, che sorregge il cadavere di Cristo. Un trittico interessante La moglie scatta la foto e se ne vanno via sorridenti. Michelangelo ringrazia per l’affetto, ma al posto dei due gentili turisti avrebbe potuto esserci un folle con tanto di martello pronto a colpire l’ultimo capolavoro del grande artista. E che dire di quel signore al cellulare per venti minuti, che appoggia il fondo schiena su di un fonte battesimale del XIV secolo?

La guardiana osserva attenta, lo fissa senza intervenire. Un salto al museo egizio. Ben poco da vedere: rispetto alla precedente collocazione, poco è rimasto. C’è solo una mummia. È preferibile andare a Torino per capire il mondo dei faraoni. Passiamo alla pinacoteca, che ospita circa mille e cinquecento quadri. Un consiglio a Pisapia: eviti di giungere verso mezzogiorno. Qui l’orario continuato rimane una pia illusione. C’è la pausa pranzo. Giustamente. Non ci sono altri guardiani nel computo dei turni? No, per questo la pinacoteca è costretta a chiudere dalle 12 alle 14. E i turisti negli ultimi minuti dovrebbero di corsa tentare di vedere almeno la pala del Mantegna, la “Madonna del libro” del Foppa, qualche Tintoretto e Tiepolo. Ma è meglio andare a mangiare anche per sindaco e turisti. Siamo a Milano, provincia d’Italia. Nel nome di un piatto di spaghetti o di un risotto la cultura si ferma per fame.
Franco Manzoni

domenica 23 febbraio 2014

Manuale Cencelli a 360 gradi


Che dire del governo Renzi? Età media molto bassa, capo del governo e ministre con la battuta pronta, il sorriso accattivante in una mano e il veleno per i competitori nell'altra come ha sperimentato Enrico Letta e, anche Civati, al quale hanno scippato la sindaca Maria Carmela Lanzetta, diventata ministro a sua insaputa. Diciamoci la verità: i metodi che ha usato Renzi per arrivare a palazzo Chigi ricordano tanto quelli delle signorie rinascimentali nelle quali la menzogna e l'omicidio dei familiari era all'ordine del giorno. L'uso del manuale Cencelli a 360 gradi tra i partiti, all'interno del PD e fra le correnti e persino fra le associazioni imprenditoriali come le cooperative rosse e la Confindustria, uno a me (Poletti) e una a te (Guidi), fa impallidire le spartizioni della prima repubblica. Il risultato è davvero un governo modesto. Inadeguato alla gravità della situazione. Si potrebbe parlare di un governicchio ma non lo facciamo per non scoraggiare i giovani ministri che hanno tanto bisogno di incoraggiamento e di imparare. Parafrasando la battuta fulminante di Giancarlo Pajetta sul compagno Berlinguer il quale “si è iscritto alla direzione del partito”, possiamo dire con altrettanta ironia, fatte le dovute distinzioni tra un gigante e gli altri, che alcuni ministri si sono iscritti direttamente alla segreteria del PD e al governo. Eppure in televisione imperversano e risultano anche simpatici. D'altronde, ci sarà pure una ragione se Alessandro Baricco, Oscar Farinetti, Andrea Guerra, frequentatori della Leopolda, all'offerta di ministeri importanti hanno risposto: “No grazie” e se altrettanto hanno fatto Guido Tabellini, Lucrezia Reichlin, Luca di Montezemolo, Romano Prodi, Fabrizio Barca, e lo stesso Enrico Letta. Il giudizio generale degli organi di informazione è molto critico e improntato a riserva: aspettiamo e speriamo bene! In poche righe il più impietoso l'ha scritto il direttore di Sole 24 Ore con un titolo che si commenta da solo: “Da De Gasperi a Beautiful, la speranza di essere clamorosamente smentiti”. Anche noi coltiviamo la stessa speranza nell'interesse del paese. A chi spera che Renzi salvi qualche briciola di socialismo del PD aderendo al PSE diciamo che anche quello è un gioco di prestigio. Renzi non ha nemmeno tentato di farsi dare i voti da Vendola e dai dissidenti di Grillo. Il tandem con Alfano e Berlusconi funziona a meraviglia. Perché dovrebbe complicarsi la vita? Tanto il paese è pieno di grulli che abboccano, anche se va a rotoli.                
Elio Veltri


Renzi? I treni già arrivano in orario!!!
di Mauro della Porta Raffo


Non ci volevo credere e così sono andato di persona a verificare.
Il governo Renzi era da poche ore insediato e già i treni che collegano
Varese a Milano -tutte e due le linee, per di più- rispettavano rigorosamente gli orari.
E, ne sono certo, altrettanto accadeva in tutt'Italia.
Un segno, un primo segno del 'cambiamento'.
Settant'anni fra poco e da sempre sento i politici invocare il 'cambiamento', le 'riforme'.
Devo confessarlo: non ci credevo più.
Ma da venerdì 21 febbraio c'è nell'aria qualcosa di nuovo...
La gente in giro, per le strade è più allegra...
Qualcuno, perfino, camminando, fischietta...
Scommetto, sicuro di vincere, che allorquando, domani, mi recherò per necessarie incombenze in un ufficio pubblico, la mia pratica sarà sbrigata subito da un improvvisamente solerte funzionario che mi avrà ricevuto cortesemente sorridendo.
C'è Matteo Renzi nell'aria, lo sentite anche voi, vero?


Tutto vero.
Si attende smentita.

di Paolo Maria Di Stefano


Mentre scrivo, si attende di ora in ora la lista dei Ministri del primo Governo Renzi.  Ed è probabile che proprio mentre vi giunge questa nota, il Presidente del Consiglio  incaricato la stia presentando al Capo dello Stato. Il vantaggio sicuro sarà che avrà fine il giochino tradizionale dei media, quel toto-ministri che ha imperversato fino ad oggi e che, come accade da sempre, non si capisce bene se serva a bruciare i nomi di volta in volta indicati oppure ad aumentare le probabilità di nomina. Con molta probabilità, non serve a niente altro che a “fare notizia”, forse con gratificazione soprattutto per gli illustri ignoti, come accade per ogni citazione, da sempre e dovunque.
Un altro vantaggio sarà costituito dalla ricerca spasmodica di qualcosa da dire su ciascun nominato, illuminandone la personalità e la carriera utilizzando “politicamente” le luci a disposizione. Ed anche quelle che a disposizione non sono o non dovrebbero essere.
Il che si presta ad un pensiero non del tutto peregrino: io spero – e credo di non essere il solo – che Matteo Renzi abbia approfondito la conoscenza di ciascuno dei candidati ad uno qualsiasi dei ministeri, senza lasciarsi fuorviare da successi di carriera o da titoli accademici, troppo di sovente qui da noi frutto di familismo, di un arrivismo sfrenato e di un egocentrismo che non ammette orizzonti diversi dal proprio ego. Vuol dire chiedersi che cosa di positivo, di costruttivo, di creativo il soggetto ha fatto per la struttura nella quale ha vissuto e dalla quale ha ricevuto i riconoscimenti di carriera, di stipendio, di potere. Troppi, in Italia, riescono a raggiungere traguardi importanti in tempi spesso assolutamente brevi, profittando della educazione e dello spirito democratico o anche soltanto dell’amor di pace di chi li circonda. E soprattutto, con titoli professionali (in senso lato) mediocri quando non insufficienti. Non è un caso che le nostre università siedano agli ultimi gradini della cultura mondiale, come non è un caso che le nostre imprese non possano vantarsi di essere la luce dell’economia del mondo.

“Comunque!” avrebbe concluso Totò.

Il quale avrebbe apprezzato, forse, la gag del proprietario delle cinque stelle, fulgido esempio di comicità surreale e, credo, per una volta inconscia. Ma soprattutto concreta manifestazione non soltanto di ineducazione profonda, ma anche di assoluto disprezzo per tutti coloro che, simpatizzanti di astronomia, avevano deciso che il padrone incontrasse il Presidente incaricato. Cosa che egli ha fatto, fingendo di aderire alla indicazione dei suoi, in realtà qualificandoli come cretini, perché solo un cretino può non essersi accorto della banale e chiassosa farsa messa in atto.
E proseguita con l’occupazione degli spazi di una conferenza stampa nel corso della quale la misura delle banalità inutili si è colmata.
E non ce n’era bisogno alcuno!
E il Presidente del Consiglio incaricato è uscito alla grande da un confronto da alcuni ritenuto pericoloso, così dimostrando, anche, che esistono giovani che valgono enormemente di più dei vecchi e rumorosi tromboni. Che non vuol significare esser dotati di capacità eccezionali, bensì soltanto che la loro (eventuale) incapacità è inferiore a quella degli ottoni citati.

“Checché…”, avrebbe detto ancora Totò.

Devo confessare di intravedere negli ultimissimi eventi una luce di speranza: il giovane ex sindaco di Firenze sembra in grado di reggere , anche se il pericolo maggiore gli viene non tanto e non solo dalla sua giovane età e neppure dal PD, ma anche e soprattutto da coloro che, attraverso circoli costruiti attorno a due o tre nomi -peraltro non di ignoti peregrini- sostengono, proclamano e scrivono:
 “Libertà e Giustizia segue con preoccupazione la nascita del governo di Matteo Renzi sia per le modalità che hanno portato al suo incarico sia perché temiamo che lo sbocco finale rappresenti il patto non scritto tra Renzi e Berlusconi e Verdini: la “seconda maggioranza” che dovrebbe intervenire a rafforzare il governo quando il 2018 sarà meno distante. Aiutaci a vigilare sulle nostre istituzioni e sulla nostra Costituzione.
Primarie per i segretari regionali del PD deserte; astensionismo del 48% alle elezioni sarde. Aumenta di ora in ora la lontananza fra cittadini, questa politica e questi partiti. Ecco il risultato del governo tecnico e dei governi di larghe intese. (omissis) . Matteo Renzi, la cui ascesa alla guida del Governo – secondo Barbara Spinelli - ha il sapore di certi cambi di guardia al Cremlino, ha concluso in queste ore le consultazioni con partiti e movimenti. Silvio Berlusconi all’uscita dall’incontro con il premier incaricato ha rilasciato una lunga dichiarazione alla stampa.  Ascoltando le parole del leader di Forza Italia, condannato in via definitiva, e ricevuto sia al Quirinale che a Montecitorio, la Presidenza di Libertà e Giustizia chiede a Matteo Renzi se il programma di riforma della Costituzione della P2, snocciolato da Berlusconi, sia anche il suo. (omissis).

Domande certamente legittime, come certamente legittimo è il diritto di criticare e di dubitare. Ed è anche vero che il giovane Presidente del Consiglio si è mosso con la grazia di un elefante e facendo largo uso dei trucchi di un mestiere – quale è la politica italiana – che non brilla certo per lealtà e chiarezza, e neppure per rispetto degli avversari, se non a parole. E allora, una domanda da parte mia: ma la scuola politica da cui Renzi è uscito non è stata forse quella fatta tutta di pratiche di corridoio, di menzogne, di polvere negli occhi, di demonizzazione degli avversari, di attenzione spasmodica agli interessi propri e dei componenti la banda di riferimento, di pezze a colori e di tutto quanto – questo sì!- ha allontanato la gente dalla Politica (e dalle urne)? Al giovane rampante, reo confesso di ambizione smodata, possiamo forse rimproverare di aver imparato la lezione?

Certo che è doloroso, ed anche preoccupante,  ma cosa ciascuno di noi ha fatto per impedirlo? Il responsabile avvocato del circolo di Libertà e Giustizia al quale per due anni sono stato ingenuamente iscritto ha preferito schierarsi tra i servi acritici dei fondatori, invece di conquistare al circolo il compito di “consulente” e di “luogo di creatività”. Non solo, ma quando ho cercato di far presente la cosa, sono stato accusato di “aver sparato a palle incatenate” e di “esser rimasto silente” e di altro assolutamente frutto di pura invenzione.
Che è uno dei metodi classici di una politica becera e onesta non più che tanto, e la cui documentazione scritta io conservo a futura memoria, se mai mi tornasse il desiderio di collaborare attivamente.
E chi ci assicura che le critiche e le condanne non siano espressione del rammarico – se non della rabbia – di non esser riusciti a precederlo, Renzi, e neppure ad opporsi in maniera credibile? E, soprattutto, non sono – queste critiche anche rabbiose – il sintomo, questo sì preoccupante, di una guerra già scatenata nel partito e probabilmente capace di impedire il raggiungimento di obbiettivi che non è detto siano negativi?
E ancora: Renzi non solo parla di programmi e non di pianificazioni, ma, almeno fino ad ora, non ha detto nulla di nuovo e nulla che non sia stato detto da tutti i Partiti ed i movimenti attivi in Italia, e dunque anche i programmi non brillano per chiarezza e neppure per originalità. Ma è stato sempre così, è quello che gli è stato insegnato, ed è già tanto ch’egli sia riuscito a ragionare in termini di “tempi”. Male, ma lo ha fatto. Perché una cosa è certa: pianificare la gestione di fatti e situazioni imponenti quali le riforme che concernono il lavoro, il fisco, la giustizia, l’economia non è cosa che si possa fare “una al mese”. Ripeto: si possono enunciare programmi, tanto in Politica lasciano il tempo che trovano e non costa nulla proclamare – come è accaduto – che in poche ore sarebbero stati creati milioni di posti di lavoro; si possono enunciare programmi, dicevo, ma elaborare pianificazioni di gestione è tutt’altra questione, e non c’è dubbio che, a parte l’indirizzo, il compito dei “politici” è in materia abbastanza contenuto.
Anche perché di politici pianificatori dotati di cultura della gestione c’è carenza.
Mentre abbondano quelli dotati di arrivismo e di pelo sullo stomaco, in genere anche improvvisati ed improvvisatori.
Ed è forse questo che giustifica il ricorso ai cosiddetti “tecnici”, dei quali si presume almeno un’ombra di preparazione e di professionalità.
Soprattutto necessari – tecnici e professionalità, sembra – quando si tratti di economia.
E sarebbe giusto e bello, se non si desse il caso che i cosiddetti tecnici sono protesi a ricostruire la situazione quo ante, ignorando che il problema della economia non è più ritornare al passato, bensì innovare un sistema ormai in gran parte obsoleto e condannato a morte.
Che non si sa quanto lenta, ma che certamente andrebbe pilotata in modo tale da consentire la sostituzione dell’attuale sistema evitando per quanto possibile il maggior numero di traumi.
Quanto alle larghe intese, occorre ricordare che, se ben fondate e meglio perseguite, possono essere un ottimo mezzo per cercare la migliore soluzione possibile.
Che è l’essenza di ogni pianificazione di gestione.

Luigi Manconi 
Ciao Angelo,
Il risultato della petizione, sottoscritta da oltre 130.000 persone, è parziale. I quattro poliziotti sono stati trasferiti in altre città (Tarvisio, Vicenza, Venezia), sono stati esclusi da qualunque attività di gestione dell'ordine pubblico e di tutela della sicurezza e sono stati assegnati a mansioni di carattere amministrativo. Restano molti punti critici: non è chiaramente escluso che, nell’esercizio delle loro nuove funzioni, possano avere contatti con il pubblico. Condizione assai importante ed esplicitamente richiesta dalla petizione. Nella risposta del ministero dell'Interno viene spiegato, poi, che i poliziotti non sono stati destituiti in quanto condannati per un reato colposo, cioè non commesso intenzionalmente. Non c'è stata, dunque, la destituzione, bensì la sospensione, perché quest'ultima sarebbe la conseguenza diretta della sentenza di condanna ("omicidio colposo per eccesso colposo"), e non di una valutazione discrezionale dei Consigli di disciplina e del Capo della Polizia. La risposta lascia insoddisfatto chi vorrebbe la destituzione perché quest'ultima, in realtà, può essere comminata nel caso di "atti che rivelino mancanza del senso dell'onore o del senso morale" o di "atti che siano in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento" o "per grave abuso di autorità o di fiducia".
Continuiamo, in ogni caso, a chiedere che, nell’esercizio delle loro nuove funzioni, i quattro poliziotti non possano più avere alcun contatto con il pubblico.


giovedì 20 febbraio 2014

lunedì 17 febbraio 2014

Sentirsi Napoleone
di Giovanni Bianchi

Libertà immaginaria




Mauro Magatti ha scritto un grosso saggio, Libertà immaginaria, per avvertirci che i giovani d'oggi non vogliono come Napoleone fondare un impero, ma piuttosto affermare il proprio narcisismo acquisitivo che si esprime in volontà di potenza. I tempi infatti sono tali che Nietzsche e Zarathustra restano lontani, mentre quotidianamente si approssimano   
-accattivanti- il supermercato e le sue seduzioni allineate sugli scaffali.
È così, ma non soltanto così, e comunque le eccezioni confermano la regola. Qualcuno tra le nuove generazioni continua a preferire il grande Corso al piccolo consumatore. È probabilmente il caso del sindaco di Firenze: Matteo Renzi, che siede sullo scranno di Giorgio La Pira, con non minore rumore e superiore ambizione (per l'Italia).
Nella palude democratica –che bisognerà pur tentare di scandagliare e definire– risorge di tempo in tempo un bisogno di titanismo che rende scultorea e problematica la leadership. Anche perché il titano di turno è tutto avvolto nell'immagine, i suoi muscoli sono disegnati al computer, il suo decisionismo è recita dadaista. Ma questa è inevitabilmente la nuova grammatica della politica dell'immagine, e chi vuole consistere nel mercato elettorale non ne può prescindere. Se vuoi fare politica nella Repubblica dadaista, devi saperci fare con il linguaggio Dada. Ed è probabilmente a partire da questo lessico che le scelte democratiche che urgono sono chiamate a fare i conti, decidendo quanto di continuità e discontinuità rispetto al passato sarà bene di volta in volta mantenere. Ed è ancora su questo terreno che si ripropone il rapporto tra etica e politica, che, dal nostro punto di vista –non ignaro della grande lezione di Machiavelli– non può non declinarsi nel rapporto tra etica di cittadinanza e democrazia.
Poteva infatti corrispondere al cliché del decisore di Carl Schmitt il generale Charles De Gaulle, che aveva alle spalle France Libre e il maquis, e che non doveva dimostrare di essere decisionista nel momento in cui si presentava come tale perché la fama d'essere decisionista gli veniva da prima del crearsi dello stato d'eccezione. Per questo il De Gaulle decisionista poteva archiviare l'Algeria, in nome della quale era stato richiamato a Parigi, e far scrivere la nuova costituzione in una settimana. Ma, come è risaputo, quest'Italia non ha fortunatamente in agenda alcun dramma algerino. Più banalmente nel Bel Paese si è bloccato l'ascensore sociale e si è bloccata la dialettica politica. Provare a forzare questa situazione di stallo diventa perciò, perfino indipendentemente dagli esiti, un tentativo dovuto. E allora, bonne chance, giovane Nap! I democratici incalliti ti aspettano al prossimo bivio, non solo come spettatori.
L'ironia del titolo evoca non a caso quel titanismo che in epoca moderna nasce con Napoleone. In lui il genio strategico-militare si accompagna alla passione che vuole riscrivere insieme il civile (il Code Napoléon) e il politico, trasformare le leggi, riformattare l'Europa e il mondo. Dicendo e documentando sul campo con l'energia dei fatti che l’impresa è possibile.
Fu Goethe a sostenere che con Napoleone la politica diventa un Destino. E nel caso nostro e tutto italiano il destino riassume la forma delle "riforme dall'alto", che cioè discendono dal carisma della leadership per emanatismo non più plotiniano ma renziano. L'annuncio delle riforme è in quanto tale la novità, e pone il problema della profezia che si autoadempie.
Può funzionare? Speriamo. Ho votato Matteo Renzi alle primarie con la speranza che sbaraccasse le inerzie, le rendite, i cascami di un ceto politico che da decenni ha cessato di essere classe dirigente. La rottamazione mi è parso termine appropriato alla situazione ancorché barbaro. Anzi la barbarie di Matteo (l'uso generalizzato e confidenziale del nome al posto del cognome è elemento del divismo e non indica maggiore prossimità) poteva funzionare immettendo energie nuove nell'esausto corpaccione dell'italica nomenclatura.





Ancora le primarie

Non a caso la partita delle primarie si giocava sul vertice del partito democratico, perché questo strano Paese è l'unico in Europa e al mondo che, dopo la caduta del muro di Berlino, ha smantellato tutto il sistema dei partiti di massa che abitavano quella che chiamiamo Prima Repubblica. Sembrerebbe cioè che la scommessa italiana sia stata di far funzionare la democrazia senza partiti. È in questa guisa che ad ogni tornata contendono liste elettorali prontamente smantellate a risultato conseguito. Di qui le primarie per il segretario del PD dove "Matteo" ha stravinto.
Primo problema: sono le primarie "aperte"  il metodo più adatto a scegliere il segretario? Così funziona, ossia senza confini, un partito popolare o un non-partito? La "parzialità" del partito –che è un lascito sturziano– è un inciampo al funzionamento di una democrazia aperta, o proprio la separatezza del partito garantisce la natura della proposta politica limitandone la portata e la responsabilità? Non è più utile a queste democrazie la pluralità delle posizioni che contendono, ma concorrono anche alla creazione di un idem sentire e di un comune orizzonte politico? Il voler cioè rappresentare tutto e tutti non rischia alla fine una logica plebiscitaria che favorisce e ripara la leadership e le élites? Una minore pretesa di rappresentatività non garantisce meglio l'autonomia dei cittadini e dei gruppi attivi, evitando inclusioni generalgeneriche? Insomma, un'assunzione netta di responsabilità non mantiene viva la titolarità dei diritti e dei doveri politici anche dopo il voto?
Secondo problema: alla luce delle prime prove e dei primi risultati non sarebbe utile una riflessione intorno all'uso delle primarie in quanto comportamento collettivo americano applicato a un partito che resta comunque culturalmente (e in toto) europeo? È pensabile che problemi di rodaggio, di ambientamento, di eventuali rigetti e insomma di assestamento siano da mettere in conto.
Terzo problema: Renzi non ha mai nascosto il fastidio per questo partito. Nel contempo il suo profilo e l'ambizione percepita si sono sempre decisamente orientati a Palazzo Chigi più che a via del Nazareno, presentata come un cimitero di ingombranti cariatidi. Quindi abbiamo votato per il segretario e abbiamo trovato il nuovo capo del governo. Di modo che, a voler essere un poco circostanziati, siamo destinati a restare senza un segretario a tempo pieno e ci siamo ritrovati due presidenti del Consiglio –uno in carica e uno designato– che subito e inevitabilmente si sono messi a litigare.
Ma intanto il partito torna (o meglio resta) acefalo. Può un partito risorgere, ristrutturarsi, riformarsi, esistere senza un segretario che si occupi a tempo pieno del compito? Possiamo continuare a ritenere che il partito seguirà il governo come le salmerie di De Gaulle? Dall'Ulivo di Romano Prodi in poi i fatti ci dicono che così non accade e noi continuiamo a calpestare il fango della palude della transizione infinita. Che significa che senza partito, nuovo ma vero, (che lo precede, accompagna e segue) un governo non regge, sia a sinistra, che a destra, o al centro, anche in presenza di una maggioranza bulgara come quella che il porcellum aveva assegnato all'ultimo gabinetto di Silvio Berlusconi.





Come costruire un partito?

Insomma, anche la democrazia italiana (come quella tedesca, inglese, francese o spagnola) sembra avere bisogno di partiti democraticamente strutturati. I guai e le panacee possibili della politica italiana in questi giorni confusi prendono tutti le mosse da questa radice. E dal momento che la forma della rappresentanza è fortemente cambiata, l'interrogativo rimbalza  inevaso: come costruire un partito? Sono questi "partiti" odierni in grado di svolgere la loro necessaria funzione di mediazione? Come si configura oggi, in termini strutturali, il rapporto tra capitale e lavoro? Il rapporto tra risparmio e investimento? È possibile pensare e costruire un partito a prescindere da un'analisi aggiornata della forma del capitale finanziario? Anche qui non mancano i problemi di rappresentanza, dal momento che i risparmiatori vogliono controllare. Mentre i finanzieri sono ovviamente insofferenti di qualsiasi controllo.
E brancoliamo nella ricerca, perfino delegata, di un potere pubblico che eserciti il controllo. Prendendo a prestito le metafore del pugilato, potremmo dire che il potere della politica appare un peso piuma rispetto ai pesi massimi della finanza che dominano il ring attuale. Addirittura sta sparendo la moneta... Cosa resta? I rapporti di potere, dei quali la moneta è segno e custode. L'incompletezza dei contratti e della loro pratica non riesce infatti a coprire il terreno lasciato scoperto dal ritrarsi della politica.
Tutte ragioni che danno conto di una "transizione infinita", così come la definì Gabriele De Rosa. E dal momento che una serie di contratti non possono essere chiusi, il sistema si trova in costante emergenza. L'economia è passata dalle mani degli economisti alle mani dei matematici, segnando una stagione che va ben oltre la fine delle programmazioni. Dal momento che i meccanismi di sviluppo della società hanno vanificato dall'interno ogni possibilità di piano e di mercato controllabile. È così che l'emergenza insegue se stessa e fa la propria apologia.
È in questo quadro che Fabrizio Barca ha avanzato la sua proposta di sperimentalismo democratico. Ce n'è bisogno, anche se l'espressione allude a un'atmosfera universitaria piuttosto che a quella popolare, umida e fumosa, delle antiche sezioni di quartiere.
È forse più facile richiamare telegraficamente il percorso alle spalle che ci ha condotti nel presente vicolo cieco. Il partito –scopertosi inadeguato– si installa nello Stato e parassita la società civile. Il welfare è a perdere, non soltanto nella grande stagione della Dc postfanfaniana. Mentre il Pci era costretto sottobanco a un continuo concordismo con il partito di governo e di maggioranza relativa. Teatro allora delle grandi e piccole manovre della politica politicante era il territorio. Oggi invece il partito e il sindacato sono troppo piccoli e troppo deboli per intervenire nell'area senza confini del mondo globalizzato. Proprio per questo lo sperimentalismo democratico dovrebbe creare un partito in grado di misurarsi con l'orizzonte presente, assumere il necessario respiro e la capacità di intervenire con una qualche efficacia.
Si aprono i nuovi temi dall'apprendimento, anche per quel ceto politico che ha smesso da tempo di studiare. Come i partiti possono apprendere dalla società? Non a caso allo sperimentalismo corrisponde la funzione formativa. E il partito dovrebbe collegare il territorio sia con lo spazio-mondo della globalizzazione, sia con un locale sempre più attraversato dai flussi che nascono fuori dai suoi confini.
Qui sono chiamate a incontrarsi e a intrecciarsi la mobilitazione cognitiva e la competenza democratica. Torna utile la grande lezione di Schumpeter: la democrazia è la competizione delle élites dinanzi alle masse. Il politico ha la competenza di un partito. Ma ecco la domanda insidiosa: un professionista competente offrirebbe oggi la propria competenza a un partito invece che a una multinazionale? Rispunta perfino la tensione weberiana: accanto alla professione c'è ancora traccia di vocazione?
I partiti definitivamente alle nostre spalle esibivano una dirigenza competente sopra un corpo esteso e popolare di "credenti nell'ideologia". Non è più il caso nostro e non potrà esserlo. Così come sono impensabili un futuro e dei partiti Statocentrici. E invece i casi italiani sono tuttora fermi alla stagione referendaria dominata da Mariotto Segni. Mentre risorge da mille pertugi il bisogno di una organizzazione nuovamente "generalista".




Quale la vera natura della democrazia che viviamo?

È in questa scena che si è giocata la contesa tra Enrico Letta e Matteo Renzi, dioscuri inevitabilmente litigiosi. Essi pongono un tema che li sovrasta, ben oltre il confronto che li ha divisi. Il plebiscitarismo di un uso indiscriminato delle primarie non riesce ad occultare il problema delle strutture politiche che legittimano la leadership. Enrico fa parte del Gruppo Bildelberg. Di Matteo sono a me meno note le frequentazioni, e tuttavia non si possono ricevere elogi settimanali dal New York Times o dal Financial Times senza essere introdotti in ambienti utilmente potenti. Detto senza patetici complottismi: i vertici della democrazia italiana, proprio perché privi dei tradizionali canali, non possono prescindere dal rapporto con i gruppi di potere (forti, medi, piccoli) che si sono venuti strutturando e che innervano     
–non francescanamente– questa democrazia nella lunga stagione della crisi globale.
Basta ridare uno sguardo alle prime pagine di Financial Times e New York Times di giovedì 13 febbraio per rendersi conto di quanta paritaria considerazione i dioscuri litigiosi siano accreditati. Meno male. Anche se resta tutto da affrontare il tema dei rapporti tra i gruppi di potere che quei giornali (e non essi soltanto) interpretano e la natura concreta della attuale democrazia italiana. Detto alla plebea: quale trama di rapporti, in due decenni di latitanza dei partiti, ha sostituito la loro invasiva presenza? Qual è la "vera" natura della democrazia che viviamo? È proprio vero che non può che peggiorare con il prolungarsi della latitanza dei partiti?
Mi viene anche da interrogarmi su una eventualità non del tutto peregrina. È probabile che i poteri egemoni (anche se occulti) di questa nostra poliarchia (uso un termine molto diffuso negli States) abbiano sdoganato il tema –reale– delle riforme istituzionali. Insomma i poteri che si relazionano sia a Letta sia Renzi sono probabilmente gli stessi, e hanno spinto Matteo, non ignari di dover dare una qualche risposta riformatrice a una altrimenti incontrollabile pressione del corpo sociale.

Il bisogno di criticare

Nessuna demonizzazione. Questo capitalismo è l'unico sistema che abbiamo. Ma il constatarlo  non evita il dovere della critica e degli strumenti efficaci per renderla politicamente produttiva. Proprio per questo, come nel gioco dell'oca, siamo rimandati al punto di partenza e cioè al tema dei partiti. Chi se ne occupa?
Piero Fassino fece per la sua parte un lavoro efficace e caratterizzato dalla modestia. È vero: i tempi corrono e non è più come nella mia giovinezza la stagione del cosiddetto "spirito di servizio". Ha una qualche parentela con esso il dilagante spirito di "auto-servizio"?
E tutto il personale che sta intorno alle leadership sublimate in che serie calcistica lo fareste giocare? Vi entusiasma lo spettacolo delle segreterie dei "fedelissimi" trascinati nelle stanze di un effimero potere come una torma in gita aziendale?
Caratterizza gli opposti (?) schieramenti del PD una evidente uniformità, che non si vorrebbe facesse rima con mediocrità. Perché la democrazia non ha bisogno di eroi, ma dell'eroismo normale dell'uomo comune, che si identifica normalmente con il termine coerenza.
Le si addicono spesso le sfumature del grigio. Ma anche talvolta i colpi di reni e di testa, perfino quelli sgangherati. Sto pensando alla scomparsa di Freak Antoni, leader bolognese degli Skiantos e di un tardo dadaismo demenziale, che cercò di rianimare il rock dei miei tempi. Se la presero con l'Illuminismo. Ma avevano ragione perché notarono la latitanza dalle bandiere della rivoluzione francese dell'ultima parola d'ordine, che osarono dissacrare: Liberté, égalité, bidè... Esagerati!  Ma almeno riconosciamogli l'intenzione di salvare un pezzo di spirito critico.





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Provo a rifare il punto. Ho votato Matteo Renzi e non ho ancora avuto il tempo per pentirmene. Perché ha rimesso in campo il ritorno della politica, riaperto i canali del confronto, ed io resto in scalpitante attesa dell'estensione del confronto oltre il gioco ristretto delle élites.
Nella leadership si è oramai concentrato non solo il partito personale, ma il partito tout court e anche il partito riformatore. O almeno una buona parte degli italiani e la sospetta uniformità corale dei media trasmette a tappeto questo sentimento. Le riforme discendono dall'alto e da un carisma mediaticamente napoleonico. Soprattutto si concentrano nel tempo breve e in strategie fulminee. A questo gioco riservato non ci sto. La democrazia non è né una volée né uno smash, anche se dubito coincida con lo slow food. Anzi, muovendomi ostinatamente in senso contrario, suggerisco e grido: fermiamoci un attimo! Ma, si dice –anche in luoghi accreditati ed autorevolissimi–,  che è necessaria una risposta in tempo quanto più reale alle preoccupazioni dei mercati. Uno "stato di necessità" interminabile, di cui sono sospetti le radici, il senso, il fine e la fine. Rispondo che le preoccupazioni dei mercati vengono dopo le mie e mi paiono contrarie a quelle della maggioranza degli italiani e degli europei. I mercati non sono né il Cervino né Bordighera: la forza delle cose non è cioè una forza "della natura". Lo so: sono i fondamentali della critica del vecchio Marx e spero, da ostinato non marxista, di non essere rimasto l'unico a ricordarlo. Senza la critica non c'è sinistra. Ma neppure intendo fare il verso a Nanni Moretti che implorava baffetto Massimo D'Alema di dire qualcosa di sinistra. Mi pare sufficiente e indispensabile tentare di pensare e di fare qualcosa di democratico. Sturzo mi ha insegnato che la democrazia non è un guadagno fatto una volta per tutte. Che spesso si trova in rotta di collisione con i conformismi e sempre con le visioni superficiali. Non c'è da attraversare la Beresina, ma da uscire da una interminabile "transizione infinita". Le preoccupazioni dei mercati, e gli gnomi e i giganti nascosti che le pilotano, ci hanno condotti in questa "transizione" e ho il sospetto che, lucrandone non pochi vantaggi, siano tutt'altro che intenzionati a farcene sortire. C'è tutta una vasta produzione di saggi e di opuscoli sulle radici e sul senso dell'economia del debito. So anche che non si ferma il vento con le mani e con le giaculatorie. Che per resistere e cambiare c'è bisogno della politica e delle sue organizzazioni. Non i vecchi partiti degli antichi "credenti dell'ideologia", ma dei nuovi cittadini sovrani che si dotano di strumenti diversi da quelli precedenti –e chiamiamoli pure "motociclismo"– che consentano alla politica di consistere per confrontarsi, rispondere, e regolare gli animal spirits fattisi forsennatamente avidi e palesemente incapaci di governare se stessi.
Un po' più di democrazia conta più di mille promesse di grandi riforme. La politica è tornata, vecchia talpa, vediamo di non lasciarla nelle mani dei vecchi e nuovi proprietari.


                                                                                                 
Rane al governo? Perché no?
Sono parte del creato…
di Paolo Maria Di Stefano




Forse è vero che non c’è null’altro da fare, se non attendere lo sviluppo degli eventi.
E prendere atto, anche, che mentre gli eventi, la cronaca, sono frutto immediato delle nostre azioni e quindi in qualche modo “dipendono” da noi (almeno in quanto attori), il loro sviluppo sembra essere regolato da leggi che a noi sfuggono, e che quindi -non conoscendole se non da un punto di vista puramente formale, epidermico quasi- non ci mettono in grado di prevedere gli effetti e le evoluzioni di quanto abbiamo fatto o non fatto più o meno consapevolmente.
E forse è anche vero che non si possa dubitare della veridicità della pillola di saggezza popolare che nega ogni valore a quell’“historia magistra vitae” che Cicerone proclamava nel suo De Oratore.
È diffuso almeno quanto cretino il sostenere che la storia non abbia mai insegnato niente a nessuno: la verità sembra, piuttosto, che solo pochi riescano ad imparare dalla storia la quale insegna e come e quanto, ma sempre di più parla a sordi e mostra a ciechi.
Salvo le debite e concrete eccezioni, anche in forza di un altro “sentire” generale che si esprime “non c’è regola senza eccezioni” dimenticando – fece notare qualcuno – che anche questa essendo una regola ha le sue eccezioni. O dovrebbe averle.
Significa che da qualche parte esistono regole senza eccezioni.
E se una di queste fosse quella che recita “la moneta cattiva scaccia la buona”? Regola antica di duemilacinquecento anni, se è vero – e lo è – che Aristofane ne Le Rane faceva dire al Corifeo:

“                                                           Antepirrema
Agio avemmo spesse volte d’osservare come Atene
A quel modo coi più onesti cittadini si contiene
Ch’usa pur con le monete vecchie e il nuovo princisbecchi.
Tutti sanno che fra quante mai n’usciron dalle zecche,
vuoi d’Elleni, vuoi di barbari, dappertutto, quelle sono,
e non altre, le più belle: quelle che rendono buon suono,
hanno quella buona impronta, sono prive di mondiglia
Pure, Atene non le adopera, e ai bronzini oggi s’appiglia,
dalla zecca usciti appena ieri, perfidi nel conio.
E così pei cittadini. Quelli ch’ànno comprendonio,
nati bene, equi, modelli d’onestà, cresciuti in mezzo
a palestre, a danze e  musiche, non riscuoton che disprezzo:
servi, poi, facce di bronzo, vagabondi, paltonieri,
e figliuol di paltonieri, tutta roba intrusa ieri,
li ficchiamo dappertutto! Quei che avrebbe disdegnati
un dì Atene come vittime a espiare i suoi peccati!
Tempo è dunque che si cambi tal sistema, o gente stolta,
e s’adoprin galantuomini, come l’uso era una volta.
La va bene? E’ vostro il merito. La sbagliate e nasce un danno?
Che patiste a nobil croce quei che intendono diranno.”

Duemila cinquecento anni! Le Rane sono del 405 a.Cr.n.! Già a quel tempo, Aristofane sosteneva che la legge oggi nota come “di Gresham” -che ne parlò attorno alla seconda metà del 1500- si applicava non soltanto alla moneta, ma investiva e regolava i rapporti tra gli uomini.
E non è a dire che l’Italia -maestra di civiltà- non abbia appreso ed applicato le parole di Aristofane, il quale oggi -2014!- avrebbe potuto tranquillamente scrivere le stesse cose senza tema di smentita. 

Anche togliendomi l’illusione di aver innovato – io, orgoglioso di aver cercato di affrancare dal “comune sentire” di tutti coloro che ne parlano nel nostro Paese quella specie di araba fenice che è il marketing per la stragrande maggioranza degli italiani, imprenditori e docenti  – quando ho sostenuto che la legge di Gresham si applica anche agli esseri umani: non era che l’eco della voce di un corifeo di duemilacinquecento anni orsono, tradotto in opinabile rima baciata da un grecista, certamente per mia colpa a me ignoto.
Una cosa è certa: da almeno duemilacinquecento anni la moneta cattiva scaccia dal mercato quella buona. Così, nella società, in politica e sul mercato rimane il pattume, la cultura e l’etica restando tesaurizzate lontano dal quotidiano, e molto spesso raccolte e conservate invano da predestinati all’oblio.

In Italia, la conferma è di questi giorni, assieme a quella relativa ad un altro principio, che “legge” propriamente non è, ma che non per questo appare meno reale e praticato: mai dimettersi dalla carica ricoperta, per nessuna ragione al mondo, a meno che non si tratti di una questione di vita o di morte (fisica, perché quella morale non ha più senso) oppure (accade molto più spesso di quanto non si possa supporre) , di uno scambio vantaggioso. Che può anche consistere nella impunità. 
Corollario: le dimissioni volontarie e irrevocabili sembrano patrimonio esclusivo delle persone perbene. E dunque di una minoranza –  in politica, certamente, ma non soltanto - che crede in quelle strane cose che si chiamano “valori” e che ha ancora il senso della dignità della persona e della carica.
Il problema (uno dei problemi) è che le dimissioni di una persona perbene e capace lasciano libero un ufficio che viene immediatamente occupato da qualcun altro, in genere molto meno capace e molto meno perbene.
Il quale, magari, gabella come “valore” l’ambizione smodata e trova sostenitori sufficienti per fargli da piedistallo.
E naturalmente eleva a sistema la menzogna, ancora una volta vendendola per “opportunità politica”.
Il giusto sentire della società, comunque, molto più spesso di quanto non si creda, smentisce il detto che afferma che la giustizia non é di questo mondo. Non lo è, forse, in modo compiuto e brillante, e forse neppure immediatamente avvertibile, ma molte sono le probabilità che almeno in parte si realizzi. Per esempio, facendo in modo che chi tradisce sia a sua volta tradito da qualcuno che gli è simile e che egli ha scelto come collaboratore forse anche fidato, ignorando proprio quanto somigliante gli fosse, e magari giustificando la scelta in base ai risultati da quello raggiunti proprio con l’ambizione smodata, con il disprezzo per gli altri e con la disponibilità ad utilizzare tutte le armi a disposizione. Pugnalata alle spalle compresa.
Perché, anche, è proprio di chi è accecato dall’ambizione dimenticare l’analisi delle attività altrui e dei modi con i quali l’alleato ha gestito e amministrato l’ufficio che gli ha procurato la qualifica di cui si fregia.
Salvo eccezioni, sempre lodevoli ma – anche - sempre più scarse. E quindi, ancor di più degne di lode.

Memento per il Presidente incaricato.
Ancora, un pensiero non del tutto peregrino.
Nella mia oramai lunga vita professionale (e non solo) non ho mai conosciuto un giovane, magari appena laureato in una qualsiasi delle dodicimila discipline nelle quali oggi è possibile conseguire il diploma, che non affermasse “se mi dessero il potere, io in tre giorni risolverei il problema dell’economia” (o qualsiasi altro di moda). Quando ero giovane, un amico appena iscritto alla facoltà di medicina e chirurgia ebbe a giurare che, se fosse dipeso da lui, il tumore lo si sarebbe vinto in tre giorni; io molto più avanti con gli anni, un laureato in matematica, responsabile del sistema informativo di un circolo milanese legato alla sinistra, ha messo per iscritto che se gliene avessero dato il potere i problemi della economia sarebbero stati risolti in tempi brevissimi.
Anche perché assolutamente impreparati a stilare pianificazioni di gestione operative, a mia conoscenza nessuno, grazie a Dio, ha avuto questo potere, e nessuno è riuscito ad appropriarsene. Sono bastati i danni dei praticoni della Politica.
Fino ad ora.
Che è un secondo “memento” per il Presidente incaricato: occorre stilare una o più pianificazioni di gestione – meglio, una per ogni materia - e comunicarle agli italiani e non solo.
Ripeto: pianificazioni di gestione e non mere dichiarazioni d’intenti, arricchite al massimo dal nome di programmi.

E infine, terzo memento: il lavoro è un prodotto fatale. Significa che lo si crea pianificando le materie, i settori, i relativi cicli di vita: dall’attuazione delle pianificazioni e quindi dalle singole gestioni operative nasce fatalmente il lavoro.

LASCIATE OGNI SPERANZA VOI CHE VOTATE
I traditori hanno le mani infangate
Signor Matteo Renzi, emerito Sindaco di Firenze, nel discorso per le dimissioni ha osato nominare Giorgio La Pira impropriamente. Voi sfascista mascherato da PD traditore dei cittadini quanto Voi avete “risuscitato” un condannato dalla Giustizia Italiana. Vergognatevi camerata… vergognatevi. La vostra sete di potere vi ha fatto sperare di diventare come Silvio il mutandiere: Traditore… Voi vi siete fatto votare alle Primarie come Segretario del PD non come Capo di Governo. Abbiate l’onestà di vestirvi con la Divisa adeguata. Salutatemi le Caste finanziarie delle quali siete il “burattino” preferito dopo vostro papà Silvio indagato e condannato dallo Stato. Non sforzatevi per capire a quale Partito Politico appartengo, ve lo dico io: "Io son colui che canta per amore/ con la Cetra/ e con il cuore/".  Un Poeta, io leggo spesso Trilussa quello che ha fatto il “mazzo” di Poesie a Benito: il vostro predecessore...

Calogero Di Giuseppe

Onoriamo la memoria di Giordano Bruno, con un minimo di consapevolezza da parte di tutti noi e un po' di vergogna da parte di chi ci governa.

 
Oggi, lunedì 17 febbraio, alle  ore 16.45, a Roma in piazza Campo de’ Fiori, inizia la cerimonia-convegno in onore di Giordano Bruno, morto in quella piazza al rogo il 17 febbraio 1600, sulla cui straordinaria figura di uomo e pensatore mi sono più volte espresso, da ultimo in https://www.facebook.com/notes/giovanni-f-f-bonomo/giordano-bruno-profeta-del-pensiero-sanamente-ateo-del-futuro/10151702124018486

Onoriamo la memoria di questo lungimirante pensatore che dovette inevitabilmente scontrarsi con l'ignoranza e le superstizioni medioevali, ancora oggi presenti nella "cultura" di regime.

 Egli non avrebbe mai immaginato che a distanza di quattro secoli dal suo sacrificio l'Italia fosse in queste condizioni, uno Stato ancora  ricco di arte e storia  ma  a democrazia limitata e ormai perduta, dove una legge elettorale truffa determina l'ingovernabilità. Nasce un governo per fare subito una nuova legge elettorale e le misure economiche urgenti, poi la nuova legge elettorale viene rinviata a data da destinarsi e il governo, da esecutivo di emergenza, diventa strategico e di "pacificazione", in realtà di "pianificazione" per conservare i privilegi e la corruzione di chi ci governa.

Milano, 17 febbraio 2014                                              Giovanni F. F. Bonomo

domenica 16 febbraio 2014

Cari lettori e care lettrici,
vi segnalo il pezzo del nostro collaboratore Giovanni Bianchi
sul suo viaggio in Russia. Lo troverete nella Rubrica
"Nevskij Prospekt". Buona lettura.

sabato 15 febbraio 2014


Portale web "Milano e le sue associazioni. Luoghi, storia, arte"
















Cari amici e conoscenti,
dopo la presentazione pubblica avvenuta stamattina presso l'Università Cattolica di Milano, abbiamo il piacere di comunicare a tutti l'indirizzo web del nuovo Portale "Milano e le sue associazioni. Luoghi, storia, arte":
http://milanoassociazioni.unicatt.it/
Vi invitiamo calorosamente a sperimentarne le funzionalità di ricerca e a esplorarne le potenzialità di navigazione tra le trasformazioni storiche del territorio urbano di Milano, anche al di là dell'oggetto specifico di indagine (già in sé molto ampio) del mondo associativo cittadino tra '500 e '900.  Siamo seriamente interessati a conoscere il vostro parere, le vostre riflessioni e suggerimenti; tanto più le vostre critiche, osservazioni o dubbi sull'esattezza dei dati e sulle funzionalità del sistema. Vedrete sicuramente alcune soglie storiche e alcuni ambiti territoriali meglio "coperti" di altri, noterete squilibri tra schede dettagliate e altre assolutamente provvisorie o ancora assenti.
Come abbiamo sottolineato durante la presentazione di oggi, infatti, non si tratta affatto del punto d'arrivo finale, ma solo della prima uscita in pubblico di un percorso di lavoro - sia di ricerca storica e archivistica, sia di elaborazione e progettazione informatica - che vogliamo continuare, migliorare ed estendere nei prossimi anni.
Il nostro desiderio è che si crei intorno al Portale una rete di persone, studiosi, centri di ricerca, istituti culturali e associazioni, che vogliano condividere lo strumento operativo appena inaugurato aiutandoci a farlo crescere e a renderlo più vivo.
In attesa dei vostri feedback, che potrete mandare agli indirizzi mail indicati sul Portale stesso (http://milanoassociazioni.unicatt.it/web/guest/contatti), vi preghiamo di aiutarci a diffondere l'informazione (e l'invito a sperimentare e a collaborare) in tutti gli ambiti che ritenete possano essere interessati.
Cordiali saluti
Marco Bascapè

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Dirigente del Servizio Archivio e Beni Culturali
Azienda di Servizi alla Persona Golgi-Redaelli
Via Olmetto n. 6, 20123 Milano 
tel. 02 72518 272
fax 02 862455

www.golgiredaelli.it - www.officinadellostorico.it
AMIANTO: Più verifiche del Comune di Milano nuove azioni di sensibilizzazione  




La Giunta comunale ha approvato alcune modifiche al Protocollo con Asl, che permetteranno controlli ancor più efficaci da parte dell’Azienda Sanitaria e un’azione di sensibilizzazione verso i proprietari, per far conoscere le leggi nazionali e regionali in materia e diffondere informazioni scientificamente corrette.
Negli ultimi 3 anni 692 interventi conclusi su edifici privati e 450 procedure in corso.
In particolare, è stata rafforzata la parte relativa alle verifiche di Asl, per rendere più efficaci ed efficienti il monitoraggio e gli interventi.
Fino ad oggi, infatti, il Protocollo prevedeva che Asl facesse un sopralluogo di valutazione generale nel caso in cui il proprietario dell’edificio non si attivasse tempestivamente.
Grazie a questa modifica, invece, Asl potrà ‘sostituirsi’ al privato nella stesura del documento approfondito di valutazione sullo stato di conservazione dell’amianto: anche in questo caso, ovviamente, intervenendo solo in caso di mancata risposta del diretto responsabile, che sarà poi chiamato a risarcire l’operazione.
Chi non ottempera agli obblighi di legge non solo verrà sanzionato ma dovrà accollarsi le spese del controllo ASL, sopralluogo, campionamenti, analisi relazione.
Il Comune e Asl Milano incrementeranno forme congiunte di sensibilizzazione verso i cittadini, con l’obiettivo di favorire una corretta ed equilibrata informazione e di accompagnare gli interventi progressivi e completi di dismissione e smaltimento dell’amianto. Tra il 2010 e il 2013 sono stati 692 gli interventi effettuati e conclusi dai privati in edifici con presenza di amianto tra il 2010 e il 2013: un risultato ottenuto grazie ai procedimenti avviati attraverso il Protocollo in vigore tra Comune di Milano e Asl (sulla base della direttiva regionale), che ha l’obiettivo di accompagnare i proprietari degli stabili, responsabili in prima persona del controllo e della rimozione dell’amianto, nella valutazione dello stato di conservazione e dei tempi e modi di intervento.
Si tratta di oltre il 60% dei procedimenti avviati in questi quattro anni, a cui vanno aggiunte le 450 procedure in corso di trattazione (le tempistiche per gli interventi possono variare da 1 a 3 anni, a seconda dalla collaborazione prestata dal proprietario dell’immobile.
Complessivamente ogni anno vengono effettuate circa 1.000 bonifiche di materiali contenenti amianto.
Dal 2000 al 2012 sono stati presentati 13.281 piani di bonifica. Tutti i piani vengono preventivamente esaminati dalla ASL; i cantieri di bonifica dell’amianto friabile vengono controllati da ASL al 100%, quelli di amianto in matrice compatta per circa il 30-35%. Nel 2012 si è stimato siano stati rimossi quasi 8.000 tonnellate di materiali contenenti amianto.
Inoltre, i siti censiti a Milano alla data del 2012 sono 6.089. Di questi solo 692 hanno avuto bisogno di sollecitazioni con l’azione congiunta Comune/ASL.
A Milano per avviare un procedimento è possibile effettuare una segnalazione tramite:
- mail: mta.uffemerambientali@comune.milano.it
- fax: 02.884.54309
Inoltre, per avere informazioni sullo stato di avanzamento di una pratica già in corso è possibile telefonare al numero 02.884.52728.

Giorgio Messina
TORINO EX AREE THYSSENKRUPP:
IL COMUNE PAGHI I SENZA LAVORO PER BONIFICARE 
LE SOSTANZE TOSSICHE





Torino. In questi giorni il Comune di Torino ha approvato il Programma di Trasformazione Urbana 2013-2016, presentato in prima istanza dall’Assessore all’Urbanistica Stefano Lo Russo e dal Sindaco P. Fassino nel luglio del 2013 e poi modificato, che comprende la riqualificazione delle ex Aree ThyssenKrupp, dove sorge lo stabilimento in cui trovarono la morte 7 nostri compagni di lavoro. Un’area enorme, oltre 300 mila metri quadrati, a ridosso del Parco della Pellerina, dove scorre e trova il suo ingresso in Città la Dora Riparia. Ovviamente su questa area si sono già scatenati, da anni, molti appetiti, sia pubblici (oneri di urbanizzazione) che privati (speculazioni edilizie e aumento delle rendite fondiarie).




Il Comune non si pone neppure la questione, almeno morale (visto che quella giuridica finora non ha visto nessuna condanna per i responsabili della strage) di trattare l'area con la logica di penalizzare chi ha causato quelle morti. L’Amministrazione Chiamparino aveva affermato, all’indomani della strage, di non voler concedere alla multinazionale tedesca alcun beneficio, come il cambiamento di destinazione d’uso, ed espresso la volontà che l’area venisse ceduta alla Città a titolo gratuito come risarcimento “morale”. Nulla di tutto questo! La TK, dopo aver causato la morte di 7 operai si è intascata anche decine di milioni di euro dagli appalti per la realizzazione e manutenzione delle scale mobili nelle nuove stazioni ferroviarie di Porta Nuova e Porta Susa, con tanto di marchio in bella mostra! In sostanza il Comune fa affari con i responsabili di una tragedia che rimarrà per sempre una ferita indelebile per la nostra Città.
Chiamparino e Fassino fate affari con degli assassini!?

Nel piano di riqualificazione appena approvato, e i cui lavori di realizzazione sono annunciati sin dalla prossima estate, si prevedono in sostanza i soliti interventi, totalmente inadeguati, proposti dagli indirizzi di un Piano Regolatore vecchio ormai di vent’anni, che non tiene minimamente conto di ciò che ha investito nel corso degli ultimi due decenni il capoluogo piemontese: le conseguenze seguite alla pesantissima ristrutturazione industriale seguita da un costante ma inesorabile calo demografico e la crisi, tutt’altro che alla fine. La riqualificazione prevede la realizzazione di una porzione residenziale (a fini abitativi), una di verde (da annettere al parco già esistente di v. Calabria adiacente al Parco della Pellerina) e una zona artigianale di terziario avanzato. Infine un luogo di testimonianza di ciò che accadde quel 6 dicembre 2007, che suona come lacrime di coccodrillo da parte dell’Amministrazione: l’istituzione che interviene solo “dopo” l’accaduto, quando corre ai ripari dimostrando totale e colpevole negligenza per quanto concerne controlli in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, del tutto inesistenti. Per questo si aprirà a breve un altro processo parallelo che riguarda 5 funzionari dell’Asl di Torino, rei di avvertire preventivamente l’azienda dei sopralluoghi ispettivi.
Anche se pare scongiurato, come sembrava nelle intenzioni iniziali, il trasferimento del deposito GTT di Venaria nell’area a ridosso del parco più grande di Torino, resta il fatto che l’area rimane pericolosamente disseminata di sostanze nocive dovute alle lavorazioni siderurgiche e la cui bonifica deve essere a completo carico dell’acquirente, che risulta essere la Bonafous S.p.A. (società ad hoc composta da Gefim, società privata operante nei settori edile e immobiliare e Fintecna, società pubblica interamente gestita dalla Cassa Depositi e Prestiti e specializzata nella riqualificazione di grandi aree dismesse). Di questa riqualificazione lasciano fortemente perplessi e destano forti preoccupazioni molti punti: il Comune ha “snellito” i passaggi necessari per l’approvazione della riqualificazione passando da Variante Strutturale (n. 211 del 2011), come previsto dalla Legge, a semplice Variante Urbanistica Semplificata, accelerando notevolmente l’iter e mancando completamente di momenti di discussione e confronto con i cittadini, fermo restando che buona parte dell’area è pubblica; si è incluso nella metratura complessiva dell’Area anche una porzione del quartiere Lucento (comprese parrocchia Santi Bernardo e Brigida e scuole materna, elementare e media di v. Pianezza) e chiunque capirebbe che ciò ha il solo scopo di aumentare la Superficie Lorda di Pavimento, da cui deriva la possibile quantità di edificabile, aumentando così la possibilità di speculare!; inoltre si continua con la logica criminale e anti ecologica di costruire altre soluzioni abitative assolutamente inutili se non a fini speculativi a fronte della decrescita demografica, lenta ma costante della Città, oltretutto in presenza di decine di migliaia di alloggi tenuti sfitti solo per mantenere alti i prezzi di vendita e locazione; il Comune, se ha intenzione di costruire case nell'area, non ha tenuto in debito conto il rischio, tutt’altro che remoto, di esondabilità (ultima alluvione nel 2000, stabilimento TK e aree limitrofe completamente sommerse dall’acqua). Ma ciò che desta maggiore preoccupazione, visti i recenti casi di cronaca (Terra dei Fiochi in Campania e Ilva di Taranto, solo per citarne due) riguarda la bonifica dell’area, trattandosi di un argomento che riveste grande importanza e dagli enormi risvolti morali, sociali ed ambientali. Preoccupazioni più che fondate visti i risultati di altri esperimenti analoghi: ci riferiamo in particolare alla Spina 3 e all’ex area delle Ferriere su cui sono stati costruiti parchi, centri commerciali ed edifici, questi ultimi utilizzati dagli atleti per le Olimpiadi invernali di Torino 2006 e poi riconvertiti ad uso abitativo, zona Corso Mortara-IperCoop-Nuovo Passante Ferroviario, sotto i quali vi sono ancora tonnellate e tonnellate di scorie industriali nocive mai bonificate. Su questo argomento nessun cenno da parte del Sindaco e del Consiglio Comunale! Sindaco Fassino, la soluzione non è far costruire palazzi e giardini sopra le scorie di un’acciaieria ma dare lavoro a chi è senza per bonificarle (previa adeguata formazione). Dall’indirizzo del provvedimento urbanistico se ne deduce che in ultimo piano vengono, come sempre, i diritti dei cittadini, mai interpellati quando si tratta di scelte che li riguardano in prima persona, come in questo caso.




Ci rendiamo conto anche noi che l’area così non può rimanere ma è oggettivo che la riqualificazione dell’area sia assolutamente imprescindibile dalla bonifica, a spese di chi ha inquinato. La cosiddetta “Porta Ovest” della Città, oltre a rappresentare un naturale biglietto da visita di ingresso alla Città può diventare un’occasione per creare nuovi posti di lavoro, misura che attenuerebbe, almeno in parte, gli effetti più devastante della crisi. Noi ex lavoratori TK siamo sempre stati disponibili a metterci in gioco, anche in percorsi di riqualificazione professionale, entro quel progetto della Gran Torino Capitale del Lavoro del Sindaco Fassino che per ora rimane solo sulla carta. Visto che il Comune da questo orecchio sembra non sentirci e che i buoni propositi sinora non sembrano essere serviti a nulla facciamo appello a lavoratori, disoccupati, cassintegrati, giovani, donne, studenti, immigrati e tutti quelli che lottano per difendere i propri diritti, primo fra tutti quello ad un lavoro utile e dignitoso, a creare un coordinamento tra associazioni e organismi (sindacali, ambientali, ecc.), esponenti politici e sindacali, singoli cittadini che lottano per non pagare gli effetti più nefasti della crisi a vigilare e mettere in campo tutte quelle azioni necessarie per impedire al Comune di speculare sull’area e costringere il Comune ad effettuare le dovute bonifiche. La scusa di Fassino che non ci sono soldi è una balla trita e ritrita: i soldi ci sono, basterebbe non sprecarli in un’opera assurda e criminale come la Tav, in cui si continuano a sperperare, tra lavori e gestione dell’ordine pubblico, risorse preziosissime con le quali si dovrebbero creare invece posti di lavoro, fare manutenzioni urgenti alle scuole che cadono a pezzi, potenziare sanità, istruzione e trasporti. Misure concrete per contrastare la crisi più dell’effimero “museo” sulla sicurezza nei luoghi di lavoro che si vorrebbe intitolare alla memoria dei nostri compagni di lavoro. La questione non è sensibilizzare maggiormente i lavoratori ma chi ha in mano la direzione della società, oggi nelle mani di chi lucra sulla vita dei lavoratori. Per questo tipo di reati vi è in pratica la totale impunità! Dimostrazione ne è che anche gli imputati coinvolti nel caso TK non hanno fatto né un giorno di galera né saranno mai condannati da tribunali che adottano i sistemi della giustizia borghese, quello dei due pesi e delle due misure: chi combatte per salvaguardare il lavoro e i propri diritti (per es. chi taglia le reti, del tutto illegittime, dei cantieri della Tav in Val Susa) viene messo in carcere e chi quei diritti li calpesta (come per es. gli imputati del processo TK) è libero di agire indisturbato.
Ciò che muove gli imprenditori (la stragrande maggioranza se non altro) è unicamente il proprio tornaconto personale, non il benessere dei lavoratori. Va da sé che questi due interessi non potranno mai coincidere, perché la sicurezza per il datore di lavoro rappresenta solo un costo, nulla più. I morti per profitto non sono altro che il frutto di questo sistema produttivo ormai distruttivo di uomini e risorse e di questo ordinamento sociale, ingiusto e superato, al quale dobbiamo opporci con ogni mezzo iniziando fin da subito appoggiando e promuovendo il coordinamento tra organismi, esponenti di partiti, sindacati, comitati e singoli che già oggi lottano, ognuno con proprie specificità e caratteristiche, non solo in difesa dei diritti ma mossi da un obiettivo più alto: creare una nuova società, l’unica alternativa possibile (ma soprattutto necessaria) a questo sistema produttivo ormai giunto al termine. Una società in cui saranno i lavoratori in prima persona a gestire il proprio luogo di lavoro e quindi anche la propria sicurezza, finora delegata a chi non ha alcun interesse a garantirla.
La salvaguardia dei diritti va conquistata con la lotta e la mobilitazione, come quella che ci attende il 24 aprile, giorno in cui la Corte di Cassazione depositerà la sentenza di terzo grado del processo ThyssenKrupp. Per questo invitiamo tutti a presenziare a Roma davanti al Tribunale in solidarietà ai familiari di tutte le vittime del profitto. Solo in presenza della mobilitazione popolare la Corte condannerà, anche se a pene (per noi) simboliche, i responsabili della strage.
Far rinascere l’area senza speculazioni, priva di sostanze tossiche e con finalità collettive, impiegando nella bonifica quelle migliaia di lavoratori rimasti senza lavoro, appare di gran lunga il miglior modo per ricordare Antonio, Bruno, Angelo, Roberto, Rocco, Rosario e Giuseppe, restituendo dignità a quel lavoro che è costato loro la vita e mantenendo fede al prestigio della nostra Città, Medaglia d’Oro della Resistenza partigiana e culla della tradizione operaia del nostro Paese.
Vorremmo costruire, con chi condivide queste idee, un momento di scambio e confronto per dare seguito all’appello che abbiamo lanciato.

24 APRILE A ROMA PER LA SENTENZA DI CASSAZIONE SULLA STRAGE TK: LA CLASSE OPERAIA NON DIMENTICA!
 Ex lavoratori ThyssenKrupp Torino
















COMUNICATO N° 77
Bilancio: approvata solo la mozione M5S
Via libera per #openbilancio
MILANO, 13 febbraio 2014
La mozione del M5S approvata nel corso della seduta odierna del Consiglio Comunale, aggiunge al
processo di definizione del bilancio del Comune di Milano una fase di condivisione con la
cittadinanza, sulla falsa riga di quello che è già stato utilizzato in merito al regolamento edilizio.
Grazie a questa mozione la Giunta si impegna a pubblicare sul portale web del Comune di Milano
gli elementi economico finanziari relativi allo schema di bilancio, sulla base dei quali i cittadini
potranno fornire indicazioni in merito, quindici giorni prima dell'approvazione da parte della Giunta
stessa. Inoltre dovrà essere avviato un dibattito nelle singole zone attraverso assemblee
pubbliche. Il M5S trova nella partecipazione dei cittadini un valore assoluto, per questa ragione ha scelto di partecipare a tutti i tavoli tecnici svolti fino a questo momento; oggi raccoglie i frutti dell'impegno profuso con questo voto unanime. Un passo importante per i cittadini del Comune di Milano - secondo il consigliere Calise del M5S - sulla strada della partecipazione e della trasparenza.

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