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UNA NUOVA ODISSEA...
DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES
Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.
Angelo Gaccione
LIBER
L'illustrazione di Adamo Calabrese
FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
Buon compleanno Odissea
venerdì 28 febbraio 2014
giovedì 27 febbraio 2014
IL CASTELLO SFORZESCO DI MILANO
LA
CONDIZIONE VERGOGNOSA IN CUI VERSA
IL CELEBRE CASTELLO DI MILANO
IL CELEBRE CASTELLO DI MILANO
Una
denuncia accorata del poeta milanese Franco Manzoni
Milano. Sette
secoli di storia in guerra contro i tagli dei fondi comunali, le
lamentele dei guardiani, il degrado generale, l’impossibilità di
formare turni del personale che permettano la tanto pubblicizzata
apertura continuata di tutte le aree museali. Il Castello Sforzesco è
uno dei primi biglietti da visita culturale ed affettivo che Milano
offre ogni giorno a turisti e cittadini. Ma in che modo? Bisognerebbe
farlo gestire a russi, arabi o mecenati indonesiani? Perché si
tratta di un prezioso scrigno che dovrebbe aprirsi, donando il meglio
di sé e delle raccolte ospitate proprio in occasione dell’Expo.
L’uso del condizionale è d’obbligo. E si è costretti a fare
spesso come indicato dal profeta Isaia: guardare e non vedere.
Altrimenti un autentico meneghino si roderebbe il fegato dalla
rabbia. Opere uniche al mondo si trovano ad interagire con ignoranza,
polvere, vetri sporchi, pareti sporche che meriterebbero almeno una
“affrescata”. Per non parlare dei gabinetti a piano terra. Uno
spettacolo indegno, che dura da mesi. E il sindaco Pisapia che
fa nel frattempo? È troppo preso nel replicare alle critiche per i
nuovi moduli d’iscrizione alle scuole comunali? Eppure una
passeggiata al Castello non gli farebbe male, con tanto di uscita
sulla piazza del Cannone e le giostre del Luna Park. Magari
accompagnato dall’assessore alla cultura Filippo Del Corno. Alcuni
turisti stranieri si chiedono se pure le montagne russe fossero tra i
divertimenti offerti agli ospiti dagli Sforza. In ogni caso Pisapia
sembra avere il polso della situazione: sa bene che non ci sono altri
fondi per la cultura. Nella sua ipotetica visita il sindaco potrebbe
iniziare dal museo d’arte antica, dove il clou è la “Pietà
Rondanini” di Michelangelo. Tenga conto, tuttavia, che l’addetto
al controllo deve sorvegliare il celebre capolavoro e
contemporaneamente la porta che conduce verso le altre raccolte.
Basta una breve distrazione. Nessuno vede, e, oplà, una coppia
giapponese porta a casa una foto souvenir speciale. Con un balzo
felino l’uomo arriva sul piccolo piedistallo e si abbarbica alla
Madonna, che sorregge il cadavere di Cristo. Un trittico interessante
La moglie scatta la foto e se ne vanno via sorridenti. Michelangelo
ringrazia per l’affetto, ma al posto dei due gentili turisti
avrebbe potuto esserci un folle con tanto di martello pronto a
colpire l’ultimo capolavoro del grande artista. E che dire di quel
signore al cellulare per venti minuti, che appoggia il fondo schiena
su di un fonte battesimale del XIV secolo?
La guardiana osserva
attenta, lo fissa senza intervenire. Un salto al museo egizio. Ben
poco da vedere: rispetto alla precedente collocazione, poco è
rimasto. C’è solo una mummia. È preferibile andare a Torino per
capire il mondo dei faraoni. Passiamo alla pinacoteca, che ospita
circa mille e cinquecento quadri. Un consiglio a Pisapia: eviti di
giungere verso mezzogiorno. Qui l’orario continuato rimane una pia
illusione. C’è la pausa pranzo. Giustamente. Non ci sono altri
guardiani nel computo dei turni? No, per questo la pinacoteca è
costretta a chiudere dalle 12 alle 14. E i turisti negli ultimi
minuti dovrebbero di corsa tentare di vedere almeno la pala del
Mantegna, la “Madonna del libro” del Foppa, qualche Tintoretto e
Tiepolo. Ma è meglio andare a mangiare anche per sindaco e turisti.
Siamo a Milano, provincia d’Italia. Nel nome di un piatto di
spaghetti o di un risotto la cultura si ferma per fame.
Franco Manzoni
domenica 23 febbraio 2014
Manuale Cencelli a 360 gradi
Che dire del governo Renzi? Età media molto
bassa, capo del governo e ministre con la battuta pronta, il sorriso
accattivante in una mano e il veleno per i competitori nell'altra come ha
sperimentato Enrico Letta e, anche Civati, al quale hanno scippato la sindaca
Maria Carmela Lanzetta, diventata ministro a sua insaputa. Diciamoci la verità:
i metodi che ha usato Renzi per arrivare a palazzo Chigi ricordano tanto quelli
delle signorie rinascimentali nelle quali la menzogna e l'omicidio dei
familiari era all'ordine del giorno. L'uso del manuale Cencelli a 360 gradi tra
i partiti, all'interno del PD e fra le correnti e persino fra le associazioni
imprenditoriali come le cooperative rosse e la Confindustria, uno a me
(Poletti) e una a te (Guidi), fa impallidire le spartizioni della prima
repubblica. Il risultato è davvero un governo modesto. Inadeguato alla gravità
della situazione. Si potrebbe parlare di un governicchio ma non lo facciamo per
non scoraggiare i giovani ministri che hanno tanto bisogno di incoraggiamento e
di imparare. Parafrasando la battuta fulminante di Giancarlo Pajetta sul
compagno Berlinguer il quale “si è iscritto alla direzione del partito”,
possiamo dire con altrettanta ironia, fatte le dovute distinzioni tra un
gigante e gli altri, che alcuni ministri si sono iscritti direttamente alla
segreteria del PD e al governo. Eppure in televisione imperversano e risultano
anche simpatici. D'altronde, ci sarà pure una ragione se Alessandro Baricco,
Oscar Farinetti, Andrea Guerra, frequentatori della Leopolda, all'offerta di
ministeri importanti hanno risposto: “No grazie” e se altrettanto hanno fatto
Guido Tabellini, Lucrezia Reichlin, Luca di Montezemolo, Romano Prodi, Fabrizio
Barca, e lo stesso Enrico Letta. Il giudizio generale degli organi di
informazione è molto critico e improntato a riserva: aspettiamo e speriamo
bene! In poche righe il più impietoso l'ha scritto il direttore di Sole 24 Ore
con un titolo che si commenta da solo: “Da De Gasperi a Beautiful, la speranza
di essere clamorosamente smentiti”. Anche noi coltiviamo la stessa speranza
nell'interesse del paese. A chi spera che Renzi salvi qualche briciola di
socialismo del PD aderendo al PSE diciamo che anche quello è un gioco di
prestigio. Renzi non ha nemmeno tentato di farsi dare i voti da Vendola e dai
dissidenti di Grillo. Il tandem con Alfano e Berlusconi funziona a meraviglia.
Perché dovrebbe complicarsi la vita? Tanto il paese è pieno di grulli che
abboccano, anche se va a rotoli.
Elio Veltri
Renzi? I treni già
arrivano in orario!!!
di Mauro della Porta
Raffo
Non ci volevo credere e così sono andato di persona a
verificare.
Il governo Renzi era da poche ore insediato e già i treni
che collegano
Varese a Milano -tutte e due le linee, per di più-
rispettavano rigorosamente gli orari.
E, ne sono certo, altrettanto accadeva in tutt'Italia.
Un segno, un primo segno del 'cambiamento'.
Settant'anni fra poco e da sempre sento i politici
invocare il 'cambiamento', le 'riforme'.
Devo confessarlo: non ci credevo più.
Ma da venerdì 21 febbraio c'è nell'aria qualcosa di
nuovo...
La gente in giro, per le strade è più allegra...
Qualcuno, perfino, camminando, fischietta...
Scommetto, sicuro di vincere, che allorquando, domani, mi
recherò per necessarie incombenze in un ufficio pubblico, la mia pratica sarà
sbrigata subito da un improvvisamente solerte funzionario che mi avrà ricevuto
cortesemente sorridendo.
C'è Matteo Renzi nell'aria, lo sentite anche voi, vero?
Tutto vero.
Si attende
smentita.
di Paolo Maria Di Stefano
Mentre
scrivo, si attende di ora in ora la lista dei Ministri del primo Governo
Renzi. Ed è probabile che proprio mentre
vi giunge questa nota, il Presidente del Consiglio incaricato la stia presentando al Capo dello
Stato. Il vantaggio sicuro sarà che avrà fine il giochino tradizionale dei
media, quel toto-ministri che ha imperversato fino ad oggi e che, come accade
da sempre, non si capisce bene se serva a bruciare i nomi di volta in volta indicati
oppure ad aumentare le probabilità di nomina. Con molta probabilità, non serve
a niente altro che a “fare notizia”, forse con gratificazione soprattutto per
gli illustri ignoti, come accade per ogni citazione, da sempre e dovunque.
Un altro vantaggio sarà costituito
dalla ricerca spasmodica di qualcosa da dire su ciascun nominato, illuminandone
la personalità e la carriera utilizzando “politicamente” le luci a
disposizione. Ed anche quelle che a disposizione non sono o non dovrebbero
essere.
Il che si presta ad un pensiero non
del tutto peregrino: io spero – e credo di non essere il solo – che Matteo
Renzi abbia approfondito la conoscenza di ciascuno dei candidati ad uno
qualsiasi dei ministeri, senza lasciarsi fuorviare da successi di carriera o da
titoli accademici, troppo di sovente qui da noi frutto di familismo, di un
arrivismo sfrenato e di un egocentrismo che non ammette orizzonti diversi dal
proprio ego. Vuol dire chiedersi che cosa di positivo, di costruttivo, di
creativo il soggetto ha fatto per la struttura nella quale ha vissuto e dalla
quale ha ricevuto i riconoscimenti di carriera, di stipendio, di potere.
Troppi, in Italia, riescono a raggiungere traguardi importanti in tempi spesso
assolutamente brevi, profittando della educazione e dello spirito democratico o
anche soltanto dell’amor di pace di chi li circonda. E soprattutto, con titoli
professionali (in senso lato) mediocri quando non insufficienti. Non è un caso
che le nostre università siedano agli ultimi gradini della cultura mondiale,
come non è un caso che le nostre imprese non possano vantarsi di essere la luce
dell’economia del mondo.
“Comunque!” avrebbe concluso Totò.
Il quale avrebbe apprezzato, forse, la gag del proprietario delle cinque stelle, fulgido esempio di comicità surreale e, credo, per una volta inconscia. Ma soprattutto concreta manifestazione non soltanto di ineducazione profonda, ma anche di assoluto disprezzo per tutti coloro che, simpatizzanti di astronomia, avevano deciso che il padrone incontrasse il Presidente incaricato. Cosa che egli ha fatto, fingendo di aderire alla indicazione dei suoi, in realtà qualificandoli come cretini, perché solo un cretino può non essersi accorto della banale e chiassosa farsa messa in atto.
Il quale avrebbe apprezzato, forse, la gag del proprietario delle cinque stelle, fulgido esempio di comicità surreale e, credo, per una volta inconscia. Ma soprattutto concreta manifestazione non soltanto di ineducazione profonda, ma anche di assoluto disprezzo per tutti coloro che, simpatizzanti di astronomia, avevano deciso che il padrone incontrasse il Presidente incaricato. Cosa che egli ha fatto, fingendo di aderire alla indicazione dei suoi, in realtà qualificandoli come cretini, perché solo un cretino può non essersi accorto della banale e chiassosa farsa messa in atto.
E proseguita con l’occupazione degli
spazi di una conferenza stampa nel corso della quale la misura delle banalità
inutili si è colmata.
E non ce n’era bisogno alcuno!
E il Presidente del Consiglio
incaricato è uscito alla grande da un confronto da alcuni ritenuto pericoloso,
così dimostrando, anche, che esistono giovani che valgono enormemente di più
dei vecchi e rumorosi tromboni. Che non vuol significare esser dotati di
capacità eccezionali, bensì soltanto che la loro (eventuale) incapacità è
inferiore a quella degli ottoni citati.
“Checché…”, avrebbe detto ancora
Totò.
Devo confessare di intravedere negli
ultimissimi eventi una luce di speranza: il giovane ex sindaco di Firenze
sembra in grado di reggere , anche se il pericolo maggiore gli viene non tanto
e non solo dalla sua giovane età e neppure dal PD, ma anche e soprattutto da
coloro che, attraverso circoli costruiti attorno a due o tre nomi -peraltro non
di ignoti peregrini- sostengono, proclamano e scrivono:
“Libertà
e Giustizia segue con preoccupazione la nascita del governo di Matteo Renzi sia
per le modalità che hanno portato al suo incarico sia perché temiamo che lo
sbocco finale rappresenti il patto non scritto tra Renzi e Berlusconi e
Verdini: la “seconda maggioranza” che dovrebbe intervenire a rafforzare il
governo quando il 2018 sarà meno distante. Aiutaci a vigilare sulle nostre
istituzioni e sulla nostra Costituzione.
Primarie
per i segretari regionali del PD deserte; astensionismo del 48% alle elezioni
sarde. Aumenta di ora in ora la lontananza fra cittadini, questa politica e
questi partiti. Ecco il risultato del governo tecnico e dei governi di larghe
intese. (omissis) . Matteo Renzi, la cui ascesa alla guida del Governo –
secondo Barbara Spinelli - ha il sapore di certi cambi di guardia al Cremlino,
ha concluso in queste ore le consultazioni con partiti e movimenti. Silvio
Berlusconi all’uscita dall’incontro con il premier incaricato ha rilasciato una
lunga dichiarazione alla stampa.
Ascoltando le parole del leader di Forza Italia, condannato in via
definitiva, e ricevuto sia al Quirinale che a Montecitorio, la Presidenza di Libertà e
Giustizia chiede a Matteo Renzi se il programma di riforma della Costituzione
della P2, snocciolato da Berlusconi, sia anche il suo. (omissis).
Domande certamente legittime, come
certamente legittimo è il diritto di criticare e di dubitare. Ed è anche vero
che il giovane Presidente del Consiglio si è mosso con la grazia di un elefante
e facendo largo uso dei trucchi di un mestiere – quale è la politica italiana –
che non brilla certo per lealtà e chiarezza, e neppure per rispetto degli
avversari, se non a parole. E allora, una domanda da parte mia: ma la scuola
politica da cui Renzi è uscito non è stata forse quella fatta tutta di pratiche
di corridoio, di menzogne, di polvere negli occhi, di demonizzazione degli
avversari, di attenzione spasmodica agli interessi propri e dei componenti la
banda di riferimento, di pezze a colori e di tutto quanto – questo sì!- ha
allontanato la gente dalla Politica (e dalle urne)? Al giovane rampante, reo confesso
di ambizione smodata, possiamo forse rimproverare di aver imparato la lezione?
Certo che è doloroso, ed anche
preoccupante, ma cosa ciascuno di noi ha
fatto per impedirlo? Il responsabile avvocato del circolo di Libertà e
Giustizia al quale per due anni sono stato ingenuamente iscritto ha preferito
schierarsi tra i servi acritici dei fondatori, invece di conquistare al circolo
il compito di “consulente” e di “luogo di creatività”. Non solo, ma quando ho
cercato di far presente la cosa, sono stato accusato di “aver sparato a palle
incatenate” e di “esser rimasto silente” e di altro assolutamente frutto di
pura invenzione.
Che è uno dei metodi classici di una
politica becera e onesta non più che tanto, e la cui documentazione scritta io
conservo a futura memoria, se mai mi tornasse il desiderio di collaborare
attivamente.
E chi ci assicura che le critiche e
le condanne non siano espressione del rammarico – se non della rabbia – di non
esser riusciti a precederlo, Renzi, e neppure ad opporsi in maniera credibile?
E, soprattutto, non sono – queste critiche anche rabbiose – il sintomo, questo
sì preoccupante, di una guerra già scatenata nel partito e probabilmente capace
di impedire il raggiungimento di obbiettivi che non è detto siano negativi?
E ancora: Renzi non solo parla di
programmi e non di pianificazioni, ma, almeno fino ad ora, non ha detto nulla
di nuovo e nulla che non sia stato detto da tutti i Partiti ed i movimenti
attivi in Italia, e dunque anche i programmi non brillano per chiarezza e neppure
per originalità. Ma è stato sempre così, è quello che gli è stato insegnato, ed
è già tanto ch’egli sia riuscito a ragionare in termini di “tempi”. Male, ma lo
ha fatto. Perché una cosa è certa: pianificare la gestione di fatti e
situazioni imponenti quali le riforme che concernono il lavoro, il fisco, la
giustizia, l’economia non è cosa che si possa fare “una al mese”. Ripeto: si
possono enunciare programmi, tanto in Politica lasciano il tempo che trovano e
non costa nulla proclamare – come è accaduto – che in poche ore sarebbero stati
creati milioni di posti di lavoro; si possono enunciare programmi, dicevo, ma
elaborare pianificazioni di gestione è tutt’altra questione, e non c’è dubbio
che, a parte l’indirizzo, il compito dei “politici” è in materia abbastanza
contenuto.
Anche perché di politici
pianificatori dotati di cultura della gestione c’è carenza.
Mentre abbondano quelli dotati di
arrivismo e di pelo sullo stomaco, in genere anche improvvisati ed
improvvisatori.
Ed è forse questo che giustifica il
ricorso ai cosiddetti “tecnici”, dei quali si presume almeno un’ombra di
preparazione e di professionalità.
Soprattutto necessari – tecnici e
professionalità, sembra – quando si tratti di economia.
E sarebbe giusto e bello, se non si
desse il caso che i cosiddetti tecnici sono protesi a ricostruire la situazione
quo ante, ignorando che il problema della economia non è più ritornare al
passato, bensì innovare un sistema ormai in gran parte obsoleto e condannato a
morte.
Che non si sa quanto lenta, ma che
certamente andrebbe pilotata in modo tale da consentire la sostituzione
dell’attuale sistema evitando per quanto possibile il maggior numero di traumi.
Quanto alle larghe intese, occorre
ricordare che, se ben fondate e meglio perseguite, possono essere un ottimo
mezzo per cercare la migliore soluzione possibile.
Che è l’essenza di ogni
pianificazione di gestione.
Luigi Manconi
Ciao Angelo,
Il risultato della petizione, sottoscritta da oltre 130.000
persone, è parziale. I quattro poliziotti sono stati trasferiti in altre città
(Tarvisio, Vicenza, Venezia), sono stati esclusi da qualunque attività di
gestione dell'ordine pubblico e di tutela della sicurezza e sono stati
assegnati a mansioni di carattere amministrativo. Restano molti punti critici:
non è chiaramente escluso che, nell’esercizio delle loro nuove funzioni,
possano avere contatti con il pubblico. Condizione assai importante ed
esplicitamente richiesta dalla petizione. Nella risposta del ministero
dell'Interno viene spiegato, poi, che i poliziotti non sono stati destituiti in
quanto condannati per un reato colposo, cioè non commesso intenzionalmente. Non
c'è stata, dunque, la destituzione, bensì la sospensione, perché quest'ultima
sarebbe la conseguenza diretta della sentenza di condanna ("omicidio
colposo per eccesso colposo"), e non di una valutazione discrezionale dei
Consigli di disciplina e del Capo della Polizia. La risposta lascia
insoddisfatto chi vorrebbe la destituzione perché quest'ultima, in realtà, può
essere comminata nel caso di "atti che rivelino mancanza del senso
dell'onore o del senso morale" o di "atti che siano in grave contrasto
con i doveri assunti con il giuramento" o "per grave abuso di
autorità o di fiducia".
Continuiamo, in ogni caso, a chiedere che, nell’esercizio
delle loro nuove funzioni, i quattro poliziotti non possano più avere alcun
contatto con il pubblico.
giovedì 20 febbraio 2014
lunedì 17 febbraio 2014
Sentirsi
Napoleone
di Giovanni Bianchi
Libertà immaginaria
Mauro Magatti ha scritto un grosso saggio, Libertà immaginaria, per avvertirci che
i giovani d'oggi non vogliono come Napoleone fondare un impero, ma piuttosto
affermare il proprio narcisismo acquisitivo che si esprime in volontà di
potenza. I tempi infatti sono tali che Nietzsche e Zarathustra restano lontani,
mentre quotidianamente si approssimano
-accattivanti-
il supermercato e le sue seduzioni allineate sugli scaffali.
È
così, ma non soltanto così, e comunque le eccezioni confermano la regola.
Qualcuno tra le nuove generazioni continua a preferire il grande Corso al
piccolo consumatore. È probabilmente il caso del sindaco di Firenze: Matteo
Renzi, che siede sullo scranno di Giorgio La Pira, con non minore rumore e
superiore ambizione (per l'Italia).
Nella
palude democratica –che bisognerà pur tentare di scandagliare e definire–
risorge di tempo in tempo un bisogno di titanismo che rende scultorea e
problematica la leadership. Anche perché il titano di turno è tutto avvolto
nell'immagine, i suoi muscoli sono disegnati al computer, il suo decisionismo è
recita dadaista. Ma questa è inevitabilmente la nuova grammatica della politica
dell'immagine, e chi vuole consistere nel mercato elettorale non ne può
prescindere. Se vuoi fare politica nella Repubblica dadaista, devi saperci fare
con il linguaggio Dada. Ed è probabilmente a partire da questo lessico che le
scelte democratiche che urgono sono chiamate a fare i conti, decidendo quanto
di continuità e discontinuità rispetto al passato sarà bene di volta in volta
mantenere. Ed è ancora su questo terreno che si ripropone il rapporto tra etica
e politica, che, dal nostro punto di vista –non ignaro della grande lezione di
Machiavelli– non può non declinarsi nel rapporto tra etica di cittadinanza e
democrazia.
Poteva
infatti corrispondere al cliché del decisore di Carl Schmitt il generale
Charles De Gaulle, che aveva alle spalle France
Libre e il maquis, e che non doveva dimostrare di essere decisionista nel
momento in cui si presentava come tale perché la fama d'essere decisionista gli
veniva da prima del crearsi dello stato d'eccezione. Per questo il De Gaulle
decisionista poteva archiviare l'Algeria, in nome della quale era stato
richiamato a Parigi, e far scrivere la nuova costituzione in una settimana. Ma,
come è risaputo, quest'Italia non ha fortunatamente in agenda alcun dramma
algerino. Più banalmente nel Bel Paese si è bloccato l'ascensore sociale e si è
bloccata la dialettica politica. Provare a forzare questa situazione di stallo
diventa perciò, perfino indipendentemente dagli esiti, un tentativo dovuto. E
allora, bonne chance, giovane Nap! I
democratici incalliti ti aspettano al prossimo bivio, non solo come spettatori.
L'ironia del titolo evoca non a caso quel
titanismo che in epoca moderna nasce con Napoleone. In lui il genio
strategico-militare si accompagna alla passione che vuole riscrivere insieme il
civile (il Code Napoléon) e il politico,
trasformare le leggi, riformattare l'Europa e il mondo. Dicendo e documentando
sul campo con l'energia dei fatti che l’impresa è possibile.
Fu
Goethe a sostenere che con Napoleone la politica diventa un Destino. E nel caso
nostro e tutto italiano il destino riassume la forma delle "riforme
dall'alto", che cioè discendono dal carisma della leadership per
emanatismo non più plotiniano ma renziano. L'annuncio delle riforme è in quanto
tale la novità, e pone il problema della profezia che si autoadempie.
Può
funzionare? Speriamo. Ho votato Matteo Renzi alle primarie con la speranza che
sbaraccasse le inerzie, le rendite, i cascami di un ceto politico che da
decenni ha cessato di essere classe dirigente. La rottamazione mi è parso termine appropriato alla situazione
ancorché barbaro. Anzi la barbarie di Matteo (l'uso generalizzato e
confidenziale del nome al posto del cognome è elemento del divismo e non indica
maggiore prossimità) poteva funzionare immettendo energie nuove nell'esausto
corpaccione dell'italica nomenclatura.
Ancora le primarie
Non a caso la partita delle primarie si
giocava sul vertice del partito democratico, perché questo strano Paese è
l'unico in Europa e al mondo che, dopo la caduta del muro di Berlino, ha
smantellato tutto il sistema dei partiti di massa che abitavano quella che chiamiamo
Prima Repubblica. Sembrerebbe cioè che la scommessa italiana sia stata di far
funzionare la democrazia senza
partiti. È in questa guisa che ad ogni tornata contendono liste elettorali prontamente
smantellate a risultato conseguito. Di qui le primarie per il segretario del PD
dove "Matteo" ha stravinto.
Primo
problema: sono le primarie "aperte"
il metodo più adatto a scegliere il segretario? Così funziona, ossia senza
confini, un partito popolare o un non-partito? La "parzialità" del
partito –che è un lascito sturziano– è un inciampo al funzionamento di una democrazia
aperta, o proprio la separatezza del partito garantisce la natura della
proposta politica limitandone la portata e la responsabilità? Non è più utile a
queste democrazie la pluralità delle posizioni che contendono, ma concorrono
anche alla creazione di un idem sentire e di un comune orizzonte politico? Il
voler cioè rappresentare tutto e tutti non rischia alla fine una logica
plebiscitaria che favorisce e ripara la leadership e le élites? Una minore
pretesa di rappresentatività non garantisce meglio l'autonomia dei cittadini e
dei gruppi attivi, evitando inclusioni generalgeneriche? Insomma, un'assunzione
netta di responsabilità non mantiene viva la titolarità dei diritti e dei
doveri politici anche dopo il voto?
Secondo
problema: alla luce delle prime prove e dei primi risultati non sarebbe utile
una riflessione intorno all'uso delle primarie in quanto comportamento
collettivo americano applicato a un partito che resta comunque culturalmente (e
in toto) europeo? È pensabile che problemi di rodaggio, di ambientamento, di
eventuali rigetti e insomma di assestamento siano da mettere in conto.
Terzo
problema: Renzi non ha mai nascosto il fastidio per questo partito. Nel contempo il suo profilo e l'ambizione percepita
si sono sempre decisamente orientati a Palazzo Chigi più che a via del
Nazareno, presentata come un cimitero di ingombranti cariatidi. Quindi abbiamo
votato per il segretario e abbiamo trovato il nuovo capo del governo. Di modo che,
a voler essere un poco circostanziati, siamo destinati a restare senza un
segretario a tempo pieno e ci siamo ritrovati due presidenti del Consiglio –uno
in carica e uno designato– che subito e inevitabilmente si sono messi a
litigare.
Ma
intanto il partito torna (o meglio resta) acefalo. Può un partito risorgere,
ristrutturarsi, riformarsi, esistere senza un segretario che si occupi a tempo
pieno del compito? Possiamo continuare a ritenere che il partito seguirà il
governo come le salmerie di De Gaulle? Dall'Ulivo di Romano Prodi in poi i
fatti ci dicono che così non accade e noi continuiamo a calpestare il fango
della palude della transizione infinita. Che significa che senza partito, nuovo
ma vero, (che lo precede, accompagna e segue) un governo non regge, sia a
sinistra, che a destra, o al centro, anche in presenza di una maggioranza
bulgara come quella che il porcellum aveva
assegnato all'ultimo gabinetto di Silvio Berlusconi.
Come costruire un partito?
Insomma, anche la democrazia italiana
(come quella tedesca, inglese, francese o spagnola) sembra avere bisogno di
partiti democraticamente strutturati. I guai e le panacee possibili della
politica italiana in questi giorni confusi prendono tutti le mosse da questa
radice. E dal momento che la forma della rappresentanza è fortemente cambiata,
l'interrogativo rimbalza inevaso: come
costruire un partito? Sono questi "partiti" odierni in grado di
svolgere la loro necessaria funzione di mediazione? Come si configura oggi, in
termini strutturali, il rapporto tra capitale e lavoro? Il rapporto tra
risparmio e investimento? È possibile pensare e costruire un partito a
prescindere da un'analisi aggiornata della forma del capitale finanziario?
Anche qui non mancano i problemi di rappresentanza, dal momento che i
risparmiatori vogliono controllare. Mentre i finanzieri sono ovviamente
insofferenti di qualsiasi controllo.
E
brancoliamo nella ricerca, perfino delegata, di un potere pubblico che eserciti
il controllo. Prendendo a prestito le metafore del pugilato, potremmo dire che
il potere della politica appare un peso piuma rispetto ai pesi massimi della
finanza che dominano il ring attuale. Addirittura sta sparendo la moneta... Cosa
resta? I rapporti di potere, dei quali la moneta è segno e custode.
L'incompletezza dei contratti e della loro pratica non riesce infatti a coprire
il terreno lasciato scoperto dal ritrarsi della politica.
Tutte
ragioni che danno conto di una "transizione infinita", così come la
definì Gabriele De Rosa. E dal momento che una serie di contratti non possono
essere chiusi, il sistema si trova in costante emergenza. L'economia è passata
dalle mani degli economisti alle mani dei matematici, segnando una stagione che
va ben oltre la fine delle programmazioni. Dal momento che i meccanismi di sviluppo
della società hanno vanificato dall'interno ogni possibilità di piano e di
mercato controllabile. È così che l'emergenza insegue se stessa e fa la propria
apologia.
È in questo quadro che Fabrizio Barca ha
avanzato la sua proposta di sperimentalismo
democratico. Ce n'è bisogno, anche se l'espressione allude a un'atmosfera
universitaria piuttosto che a quella popolare, umida e fumosa, delle antiche
sezioni di quartiere.
È
forse più facile richiamare telegraficamente il percorso alle spalle che ci ha
condotti nel presente vicolo cieco. Il partito –scopertosi inadeguato– si
installa nello Stato e parassita la società civile. Il welfare è a perdere, non
soltanto nella grande stagione della Dc postfanfaniana. Mentre il Pci era
costretto sottobanco a un continuo concordismo con il partito di governo e di
maggioranza relativa. Teatro allora delle grandi e piccole manovre della
politica politicante era il territorio. Oggi invece il partito e il sindacato
sono troppo piccoli e troppo deboli per intervenire nell'area senza confini del
mondo globalizzato. Proprio per questo lo sperimentalismo
democratico dovrebbe creare un partito in grado di misurarsi con
l'orizzonte presente, assumere il necessario respiro e la capacità di
intervenire con una qualche efficacia.
Si
aprono i nuovi temi dall'apprendimento, anche per quel ceto politico che ha
smesso da tempo di studiare. Come i partiti possono apprendere dalla società?
Non a caso allo sperimentalismo
corrisponde la funzione formativa. E
il partito dovrebbe collegare il
territorio sia con lo spazio-mondo della globalizzazione, sia con un locale
sempre più attraversato dai flussi che nascono fuori dai suoi confini.
Qui
sono chiamate a incontrarsi e a intrecciarsi la mobilitazione cognitiva e la competenza
democratica. Torna utile la grande lezione di Schumpeter: la democrazia è
la competizione delle élites dinanzi alle masse. Il politico ha la competenza
di un partito. Ma ecco la domanda insidiosa: un professionista competente
offrirebbe oggi la propria competenza a un partito invece che a una
multinazionale? Rispunta perfino la tensione weberiana: accanto alla
professione c'è ancora traccia di vocazione?
I partiti definitivamente alle nostre
spalle esibivano una dirigenza competente sopra un corpo esteso e popolare di
"credenti nell'ideologia". Non è più il caso nostro e non potrà
esserlo. Così come sono impensabili un futuro e dei partiti Statocentrici. E
invece i casi italiani sono tuttora fermi alla stagione referendaria dominata
da Mariotto Segni. Mentre risorge da mille pertugi il bisogno di una
organizzazione nuovamente "generalista".
Quale la vera natura della
democrazia che viviamo?
È in questa scena che si è giocata la
contesa tra Enrico Letta e Matteo Renzi, dioscuri inevitabilmente litigiosi.
Essi pongono un tema che li sovrasta, ben oltre il confronto che li ha divisi.
Il plebiscitarismo di un uso indiscriminato delle primarie non riesce ad
occultare il problema delle strutture politiche che legittimano la leadership.
Enrico fa parte del Gruppo Bildelberg.
Di Matteo sono a me meno note le frequentazioni, e tuttavia non si possono
ricevere elogi settimanali dal New York
Times o dal Financial Times senza
essere introdotti in ambienti utilmente potenti. Detto senza patetici
complottismi: i vertici della democrazia italiana, proprio perché privi dei
tradizionali canali, non possono prescindere dal rapporto con i gruppi di
potere (forti, medi, piccoli) che si sono venuti strutturando e che innervano
–non
francescanamente– questa democrazia nella lunga stagione della crisi globale.
Basta
ridare uno sguardo alle prime pagine di Financial
Times e New York Times di giovedì
13 febbraio per rendersi conto di quanta paritaria considerazione i dioscuri
litigiosi siano accreditati. Meno male. Anche se resta tutto da affrontare il
tema dei rapporti tra i gruppi di potere che quei giornali (e non essi
soltanto) interpretano e la natura concreta della attuale democrazia italiana.
Detto alla plebea: quale trama di rapporti, in due decenni di latitanza dei
partiti, ha sostituito la loro invasiva presenza? Qual è la "vera"
natura della democrazia che viviamo? È proprio vero che non può che peggiorare
con il prolungarsi della latitanza dei partiti?
Mi viene anche da interrogarmi su una
eventualità non del tutto peregrina. È probabile che i poteri egemoni (anche se
occulti) di questa nostra poliarchia
(uso un termine molto diffuso negli States) abbiano sdoganato il tema –reale–
delle riforme istituzionali. Insomma i poteri che si relazionano sia a Letta sia
Renzi sono probabilmente gli stessi, e hanno spinto Matteo, non ignari di dover
dare una qualche risposta riformatrice a una altrimenti incontrollabile
pressione del corpo sociale.
Il bisogno di criticare
Nessuna demonizzazione. Questo capitalismo
è l'unico sistema che abbiamo. Ma il constatarlo non evita il dovere della critica e degli
strumenti efficaci per renderla politicamente produttiva. Proprio per questo,
come nel gioco dell'oca, siamo rimandati al punto di partenza e cioè al tema
dei partiti. Chi se ne occupa?
Piero
Fassino fece per la sua parte un lavoro efficace e caratterizzato dalla
modestia. È vero: i tempi corrono e non è più come nella mia giovinezza la
stagione del cosiddetto "spirito di servizio". Ha una qualche
parentela con esso il dilagante spirito di "auto-servizio"?
E
tutto il personale che sta intorno alle leadership sublimate in che serie
calcistica lo fareste giocare? Vi entusiasma lo spettacolo delle segreterie dei
"fedelissimi" trascinati nelle stanze di un effimero potere come una
torma in gita aziendale?
Caratterizza
gli opposti (?) schieramenti del PD una evidente uniformità, che non si
vorrebbe facesse rima con mediocrità. Perché la democrazia non ha bisogno di
eroi, ma dell'eroismo normale dell'uomo comune, che si identifica normalmente
con il termine coerenza.
Le
si addicono spesso le sfumature del grigio. Ma anche talvolta i colpi di reni e
di testa, perfino quelli sgangherati. Sto pensando alla scomparsa di Freak
Antoni, leader bolognese degli Skiantos
e di un tardo dadaismo demenziale, che cercò di rianimare il rock dei miei
tempi. Se la presero con l'Illuminismo. Ma avevano ragione perché notarono la
latitanza dalle bandiere della rivoluzione francese dell'ultima parola
d'ordine, che osarono dissacrare:
Liberté, égalité, bidè... Esagerati! Ma almeno riconosciamogli l'intenzione di
salvare un pezzo di spirito critico.
Ultimo avviso ai naviganti
Provo a rifare il punto. Ho votato Matteo
Renzi e non ho ancora avuto il tempo per pentirmene. Perché ha rimesso in campo
il ritorno della politica, riaperto i canali del confronto, ed io resto in
scalpitante attesa dell'estensione del confronto oltre il gioco ristretto delle
élites.
Nella
leadership si è oramai concentrato non solo il partito personale, ma il partito
tout court e anche il partito riformatore. O almeno una buona parte degli
italiani e la sospetta uniformità corale dei media trasmette a tappeto questo
sentimento. Le riforme discendono dall'alto e da un carisma mediaticamente
napoleonico. Soprattutto si concentrano nel tempo breve e in strategie
fulminee. A questo gioco riservato non ci sto. La democrazia non è né una volée né uno smash, anche se dubito coincida con lo slow food. Anzi, muovendomi ostinatamente in senso contrario,
suggerisco e grido: fermiamoci un attimo! Ma, si dice –anche in luoghi
accreditati ed autorevolissimi–, che è
necessaria una risposta in tempo quanto più reale alle preoccupazioni dei
mercati. Uno "stato di necessità" interminabile, di cui sono sospetti
le radici, il senso, il fine e la fine. Rispondo che le preoccupazioni dei
mercati vengono dopo le mie e mi paiono contrarie a quelle della maggioranza
degli italiani e degli europei. I mercati non sono né il Cervino né Bordighera:
la forza delle cose non è cioè una forza "della natura". Lo so: sono i
fondamentali della critica del vecchio Marx e spero, da ostinato non marxista,
di non essere rimasto l'unico a ricordarlo. Senza la critica non c'è sinistra.
Ma neppure intendo fare il verso a Nanni Moretti che implorava baffetto Massimo
D'Alema di dire qualcosa di sinistra. Mi pare sufficiente e indispensabile
tentare di pensare e di fare qualcosa di
democratico. Sturzo mi ha insegnato che la democrazia non è un guadagno
fatto una volta per tutte. Che spesso si trova in rotta di collisione con i
conformismi e sempre con le visioni superficiali. Non c'è da attraversare la
Beresina, ma da uscire da una interminabile "transizione infinita".
Le preoccupazioni dei mercati, e gli gnomi e i giganti nascosti che le
pilotano, ci hanno condotti in questa "transizione" e ho il sospetto
che, lucrandone non pochi vantaggi, siano tutt'altro che intenzionati a farcene
sortire. C'è tutta una vasta produzione di saggi e di opuscoli sulle radici e
sul senso dell'economia del debito.
So anche che non si ferma il vento con le mani e con le giaculatorie. Che per
resistere e cambiare c'è bisogno della politica e delle sue organizzazioni. Non
i vecchi partiti degli antichi "credenti dell'ideologia", ma dei
nuovi cittadini sovrani che si dotano di strumenti diversi da quelli precedenti
–e chiamiamoli pure "motociclismo"– che consentano alla politica di
consistere per confrontarsi, rispondere, e regolare gli animal spirits fattisi forsennatamente avidi e palesemente incapaci
di governare se stessi.
Un
po' più di democrazia conta più di mille promesse di grandi riforme. La
politica è tornata, vecchia talpa, vediamo di non lasciarla nelle mani dei
vecchi e nuovi proprietari.
Rane al governo? Perché no?
Sono parte del creato…
di Paolo Maria Di
Stefano
Forse è vero che non c’è null’altro da
fare, se non attendere lo sviluppo degli eventi.
E prendere atto, anche, che
mentre gli eventi, la cronaca, sono frutto immediato delle nostre azioni e
quindi in qualche modo “dipendono” da noi (almeno in quanto attori), il loro
sviluppo sembra essere regolato da leggi che a noi sfuggono, e che quindi -non
conoscendole se non da un punto di vista puramente formale, epidermico quasi- non
ci mettono in grado di prevedere gli effetti e le evoluzioni di quanto abbiamo
fatto o non fatto più o meno consapevolmente.
E forse è anche vero che non si
possa dubitare della veridicità della pillola di saggezza popolare che nega
ogni valore a quell’“historia magistra
vitae” che Cicerone proclamava nel suo De
Oratore.
È diffuso almeno quanto cretino il
sostenere che la storia non abbia mai insegnato niente a nessuno: la verità
sembra, piuttosto, che solo pochi riescano ad imparare dalla storia la quale
insegna e come e quanto, ma sempre di più parla a sordi e mostra a ciechi.
Salvo le debite e concrete
eccezioni, anche in forza di un altro “sentire” generale che si esprime “non c’è regola senza eccezioni”
dimenticando – fece notare qualcuno – che anche questa essendo una regola ha le
sue eccezioni. O dovrebbe averle.
Significa che da qualche parte
esistono regole senza eccezioni.
E se una di queste fosse quella
che recita “la moneta cattiva scaccia la
buona”? Regola antica di duemilacinquecento anni, se è vero – e lo è – che Aristofane
ne Le Rane faceva dire al Corifeo:
“ Antepirrema
Agio avemmo spesse volte d’osservare come Atene
A quel modo coi più onesti cittadini si contiene
Ch’usa pur con le monete vecchie e il nuovo princisbecchi.
Tutti sanno che fra quante mai n’usciron dalle zecche,
vuoi d’Elleni, vuoi di barbari, dappertutto, quelle sono,
e non altre, le più belle: quelle che rendono buon suono,
hanno quella buona impronta, sono prive di mondiglia
Pure, Atene non le adopera, e ai bronzini oggi s’appiglia,
dalla zecca usciti appena ieri, perfidi nel conio.
E così pei cittadini. Quelli ch’ànno comprendonio,
nati bene, equi, modelli d’onestà, cresciuti in mezzo
a palestre, a danze e musiche,
non riscuoton che disprezzo:
servi, poi, facce di bronzo, vagabondi, paltonieri,
e figliuol di paltonieri, tutta roba intrusa ieri,
li ficchiamo dappertutto! Quei che avrebbe disdegnati
un dì Atene come vittime a espiare i suoi peccati!
Tempo è dunque che si cambi tal sistema, o gente stolta,
e s’adoprin galantuomini, come l’uso era una volta.
La va bene? E’ vostro il merito. La sbagliate e nasce un danno?
Che patiste a nobil croce quei che intendono diranno.”
Duemila cinquecento anni! Le Rane sono del 405 a .Cr.n.! Già a quel
tempo, Aristofane sosteneva che la legge oggi nota come “di Gresham” -che ne
parlò attorno alla seconda metà del 1500- si applicava non soltanto alla
moneta, ma investiva e regolava i rapporti tra gli uomini.
E non è a dire che l’Italia -maestra
di civiltà- non abbia appreso ed applicato le parole di Aristofane, il quale
oggi -2014!- avrebbe potuto tranquillamente scrivere le stesse cose senza tema
di smentita.
Anche togliendomi l’illusione di
aver innovato – io, orgoglioso di aver cercato di affrancare dal “comune
sentire” di tutti coloro che ne parlano nel nostro Paese quella specie di araba
fenice che è il marketing per la stragrande maggioranza degli italiani,
imprenditori e docenti – quando ho
sostenuto che la legge di Gresham si applica anche agli esseri umani: non era
che l’eco della voce di un corifeo di duemilacinquecento anni orsono, tradotto
in opinabile rima baciata da un grecista, certamente per mia colpa a me ignoto.
Una cosa è certa: da almeno
duemilacinquecento anni la moneta cattiva scaccia dal mercato quella buona.
Così, nella società, in politica e sul mercato rimane il pattume, la cultura e
l’etica restando tesaurizzate lontano dal quotidiano, e molto spesso raccolte e
conservate invano da predestinati all’oblio.
In Italia, la conferma è di questi giorni, assieme a quella
relativa ad un altro principio, che “legge” propriamente non è, ma che non per
questo appare meno reale e praticato: mai dimettersi dalla carica ricoperta,
per nessuna ragione al mondo, a meno che non si tratti di una questione di vita
o di morte (fisica, perché quella morale non ha più senso) oppure (accade molto
più spesso di quanto non si possa supporre) , di uno scambio vantaggioso. Che
può anche consistere nella impunità.
Corollario: le dimissioni
volontarie e irrevocabili sembrano patrimonio esclusivo delle persone perbene.
E dunque di una minoranza – in politica,
certamente, ma non soltanto - che crede in quelle strane cose che si chiamano
“valori” e che ha ancora il senso della dignità della persona e della carica.
Il problema (uno dei problemi) è
che le dimissioni di una persona perbene e capace lasciano libero un ufficio
che viene immediatamente occupato da qualcun altro, in genere molto meno capace
e molto meno perbene.
Il quale, magari, gabella come
“valore” l’ambizione smodata e trova sostenitori sufficienti per fargli da
piedistallo.
E naturalmente eleva a sistema la
menzogna, ancora una volta vendendola per “opportunità politica”.
Il giusto sentire della società,
comunque, molto più spesso di quanto non si creda, smentisce il detto che
afferma che la giustizia non é di questo mondo. Non lo è, forse, in modo
compiuto e brillante, e forse neppure immediatamente avvertibile, ma molte sono
le probabilità che almeno in parte si realizzi. Per esempio, facendo in modo
che chi tradisce sia a sua volta tradito da qualcuno che gli è simile e che
egli ha scelto come collaboratore forse anche fidato, ignorando proprio quanto
somigliante gli fosse, e magari giustificando la scelta in base ai risultati da
quello raggiunti proprio con l’ambizione smodata, con il disprezzo per gli
altri e con la disponibilità ad utilizzare tutte le armi a disposizione.
Pugnalata alle spalle compresa.
Perché, anche, è proprio di chi è
accecato dall’ambizione dimenticare l’analisi delle attività altrui e dei modi
con i quali l’alleato ha gestito e amministrato l’ufficio che gli ha procurato
la qualifica di cui si fregia.
Salvo eccezioni, sempre lodevoli
ma – anche - sempre più scarse. E quindi, ancor di più degne di lode.
Memento per il Presidente
incaricato.
Ancora, un pensiero non del tutto
peregrino.
Nella mia oramai lunga vita
professionale (e non solo) non ho mai conosciuto un giovane, magari appena
laureato in una qualsiasi delle dodicimila discipline nelle quali oggi è
possibile conseguire il diploma, che non affermasse “se mi dessero il potere,
io in tre giorni risolverei il problema dell’economia” (o qualsiasi altro di
moda). Quando ero giovane, un amico appena iscritto alla facoltà di medicina e
chirurgia ebbe a giurare che, se fosse dipeso da lui, il tumore lo si sarebbe
vinto in tre giorni; io molto più avanti con gli anni, un laureato in
matematica, responsabile del sistema informativo di un circolo milanese legato
alla sinistra, ha messo per iscritto che se gliene avessero dato il potere i
problemi della economia sarebbero stati risolti in tempi brevissimi.
Anche perché assolutamente
impreparati a stilare pianificazioni di gestione operative, a mia conoscenza
nessuno, grazie a Dio, ha avuto questo potere, e nessuno è riuscito ad
appropriarsene. Sono bastati i danni dei praticoni della Politica.
Fino ad ora.
Che è un secondo “memento” per il
Presidente incaricato: occorre stilare una o più pianificazioni di gestione –
meglio, una per ogni materia - e comunicarle agli italiani e non solo.
Ripeto: pianificazioni di
gestione e non mere dichiarazioni d’intenti, arricchite al massimo dal nome di programmi.
E infine, terzo memento: il
lavoro è un prodotto fatale. Significa che lo si crea pianificando le materie,
i settori, i relativi cicli di vita: dall’attuazione delle pianificazioni e
quindi dalle singole gestioni operative nasce fatalmente il lavoro.
LASCIATE OGNI
SPERANZA VOI CHE VOTATE
I traditori hanno le
mani infangate
Signor Matteo
Renzi, emerito Sindaco di Firenze, nel discorso per le dimissioni ha osato
nominare Giorgio La Pira impropriamente. Voi sfascista mascherato da PD
traditore dei cittadini quanto Voi avete “risuscitato” un condannato dalla
Giustizia Italiana. Vergognatevi camerata… vergognatevi. La vostra sete di
potere vi ha fatto sperare di diventare come Silvio il mutandiere: Traditore… Voi vi siete fatto votare alle Primarie come
Segretario del PD non come Capo di Governo. Abbiate l’onestà di vestirvi con la
Divisa adeguata. Salutatemi le Caste finanziarie delle quali siete il
“burattino” preferito dopo vostro papà Silvio indagato e condannato dallo
Stato. Non sforzatevi per capire a quale Partito Politico appartengo, ve lo
dico io: "Io son colui che canta per
amore/ con la Cetra/ e con il
cuore/". Un Poeta, io leggo
spesso Trilussa quello che ha fatto il “mazzo” di Poesie a Benito: il vostro
predecessore...
Calogero Di
Giuseppe
Onoriamo la memoria di Giordano Bruno, con un minimo di consapevolezza da parte di tutti noi e un po' di vergogna da parte di chi ci governa.
Oggi, lunedì 17 febbraio, alle ore 16.45, a Roma in piazza Campo de’ Fiori,
inizia la cerimonia-convegno in onore di Giordano Bruno, morto in quella piazza
al rogo il 17 febbraio 1600, sulla cui straordinaria figura di uomo e pensatore
mi sono più volte espresso, da ultimo in https://www.facebook.com/notes/giovanni-f-f-bonomo/giordano-bruno-profeta-del-pensiero-sanamente-ateo-del-futuro/10151702124018486
Onoriamo la memoria di questo lungimirante
pensatore che dovette inevitabilmente scontrarsi con l'ignoranza e le
superstizioni medioevali, ancora oggi presenti nella "cultura" di
regime.
Milano, 17 febbraio 2014 Giovanni F. F. Bonomo
domenica 16 febbraio 2014
sabato 15 febbraio 2014
Portale web
"Milano e le sue associazioni. Luoghi, storia, arte"
Cari amici e conoscenti,
dopo la presentazione pubblica avvenuta stamattina presso
l'Università Cattolica di Milano, abbiamo il piacere di comunicare a tutti
l'indirizzo web del nuovo Portale "Milano e le sue associazioni. Luoghi,
storia, arte":
http://milanoassociazioni.unicatt.it/
Vi invitiamo calorosamente a sperimentarne le
funzionalità di ricerca e a esplorarne le potenzialità di navigazione tra le
trasformazioni storiche del territorio urbano di Milano, anche al di là
dell'oggetto specifico di indagine (già in sé molto ampio) del mondo
associativo cittadino tra '500 e '900.
Siamo seriamente interessati a conoscere il vostro parere, le vostre
riflessioni e suggerimenti; tanto più le vostre critiche, osservazioni o dubbi
sull'esattezza dei dati e sulle funzionalità del sistema. Vedrete sicuramente
alcune soglie storiche e alcuni ambiti territoriali meglio "coperti"
di altri, noterete squilibri tra schede dettagliate e altre assolutamente
provvisorie o ancora assenti.
Come abbiamo sottolineato durante la presentazione di
oggi, infatti, non si tratta affatto del punto d'arrivo finale, ma solo della
prima uscita in pubblico di un percorso di lavoro - sia di ricerca storica e
archivistica, sia di elaborazione e progettazione informatica - che vogliamo
continuare, migliorare ed estendere nei prossimi anni.
Il nostro desiderio è che si crei intorno al Portale una
rete di persone, studiosi, centri di ricerca, istituti culturali e
associazioni, che vogliano condividere lo strumento operativo appena inaugurato
aiutandoci a farlo crescere e a renderlo più vivo.
In attesa dei vostri feedback, che potrete mandare agli
indirizzi mail indicati sul Portale stesso
(http://milanoassociazioni.unicatt.it/web/guest/contatti), vi preghiamo di
aiutarci a diffondere l'informazione (e l'invito a sperimentare e a
collaborare) in tutti gli ambiti che ritenete possano essere interessati.
Cordiali saluti
Marco Bascapè
-----------------------------------------------------------------
Dirigente del
Servizio Archivio e Beni Culturali
Azienda di Servizi
alla Persona Golgi-Redaelli
Via Olmetto n. 6,
20123 Milano
tel. 02 72518 272
fax 02 862455
www.golgiredaelli.it -
www.officinadellostorico.it
AMIANTO: Più
verifiche del Comune di Milano nuove azioni di sensibilizzazione
La Giunta
comunale ha approvato alcune modifiche al Protocollo con Asl, che permetteranno
controlli ancor più efficaci da parte dell’Azienda Sanitaria e un’azione di
sensibilizzazione verso i proprietari, per far conoscere le leggi nazionali e
regionali in materia e diffondere informazioni scientificamente corrette.
Negli ultimi 3 anni 692 interventi conclusi su edifici
privati e 450 procedure in corso.
In particolare, è stata rafforzata la parte relativa alle
verifiche di Asl, per rendere più efficaci ed efficienti il monitoraggio e gli
interventi.
Fino ad oggi, infatti, il Protocollo prevedeva che Asl
facesse un sopralluogo di valutazione generale nel caso in cui il proprietario
dell’edificio non si attivasse tempestivamente.
Grazie a questa modifica, invece, Asl potrà ‘sostituirsi’
al privato nella stesura del documento approfondito di valutazione sullo stato
di conservazione dell’amianto: anche in questo caso, ovviamente, intervenendo
solo in caso di mancata risposta del diretto responsabile, che sarà poi
chiamato a risarcire l’operazione.
Chi non ottempera agli obblighi di legge non solo verrà
sanzionato ma dovrà accollarsi le spese del controllo ASL, sopralluogo, campionamenti,
analisi relazione.
Il Comune e Asl Milano incrementeranno forme congiunte di
sensibilizzazione verso i cittadini, con l’obiettivo di favorire una corretta
ed equilibrata informazione e di accompagnare gli interventi progressivi e
completi di dismissione e smaltimento dell’amianto. Tra il 2010 e il 2013 sono
stati 692 gli interventi effettuati e conclusi dai privati in edifici con
presenza di amianto tra il 2010 e il 2013: un risultato ottenuto grazie ai
procedimenti avviati attraverso il Protocollo in vigore tra Comune di Milano e
Asl (sulla base della direttiva regionale), che ha l’obiettivo di accompagnare
i proprietari degli stabili, responsabili in prima persona del controllo e
della rimozione dell’amianto, nella valutazione dello stato di conservazione e
dei tempi e modi di intervento.
Si tratta di oltre il 60% dei procedimenti avviati in
questi quattro anni, a cui vanno aggiunte le 450 procedure in corso di
trattazione (le tempistiche per gli interventi possono variare da 1 a 3 anni, a
seconda dalla collaborazione prestata dal proprietario dell’immobile.
Complessivamente ogni anno vengono effettuate circa 1.000
bonifiche di materiali contenenti amianto.
Dal 2000 al 2012 sono stati presentati 13.281 piani di
bonifica. Tutti i piani vengono preventivamente esaminati dalla ASL; i cantieri
di bonifica dell’amianto friabile vengono controllati da ASL al 100%, quelli di
amianto in matrice compatta per circa il 30-35%. Nel 2012 si è stimato siano
stati rimossi quasi 8.000 tonnellate di materiali contenenti amianto.
Inoltre, i siti censiti a Milano alla data del 2012 sono
6.089. Di questi solo 692 hanno avuto bisogno di sollecitazioni con l’azione
congiunta Comune/ASL.
A Milano per avviare un procedimento è possibile
effettuare una segnalazione tramite:
- mail:
mta.uffemerambientali@comune.milano.it
- fax: 02.884.54309
Inoltre, per avere informazioni sullo stato di
avanzamento di una pratica già in corso è possibile telefonare al numero
02.884.52728.
Giorgio Messina
TORINO EX
AREE THYSSENKRUPP:
IL
COMUNE PAGHI I SENZA LAVORO PER BONIFICARE
LE SOSTANZE TOSSICHE
Torino.
In questi giorni il Comune di Torino
ha approvato il Programma di Trasformazione Urbana 2013-2016,
presentato in prima istanza dall’Assessore all’Urbanistica
Stefano Lo Russo e dal Sindaco P. Fassino nel luglio del 2013 e poi
modificato, che comprende la riqualificazione delle ex Aree
ThyssenKrupp, dove sorge lo stabilimento in cui trovarono la morte 7
nostri compagni di lavoro. Un’area enorme, oltre 300 mila metri
quadrati, a ridosso del Parco della Pellerina, dove scorre e trova il
suo ingresso in Città la Dora Riparia. Ovviamente su
questa area si sono già scatenati, da anni, molti appetiti, sia
pubblici (oneri di urbanizzazione) che privati (speculazioni edilizie
e aumento delle rendite fondiarie).
Il Comune
non si pone neppure la questione, almeno morale (visto che quella
giuridica finora non ha visto nessuna condanna per i responsabili
della strage) di trattare l'area con la logica di penalizzare chi ha
causato quelle morti. L’Amministrazione Chiamparino aveva
affermato, all’indomani della strage, di non voler concedere alla
multinazionale tedesca alcun beneficio, come il cambiamento di
destinazione d’uso, ed espresso la volontà che l’area venisse
ceduta alla Città a titolo gratuito come risarcimento “morale”.
Nulla di tutto questo! La TK, dopo aver causato la morte di 7
operai si è intascata anche decine di milioni di euro dagli appalti
per la realizzazione e manutenzione delle scale mobili nelle nuove
stazioni ferroviarie di Porta Nuova e Porta Susa, con tanto di
marchio in bella mostra! In sostanza il Comune fa affari con i
responsabili di una tragedia che rimarrà per sempre una ferita
indelebile per la nostra Città.
Chiamparino
e Fassino fate affari con degli assassini!?
Nel
piano di riqualificazione appena approvato, e i cui lavori di
realizzazione sono annunciati sin dalla prossima estate, si prevedono
in sostanza i soliti interventi, totalmente inadeguati, proposti
dagli indirizzi di un Piano Regolatore vecchio ormai di vent’anni,
che non tiene minimamente conto di ciò che ha investito nel corso
degli ultimi due decenni il capoluogo piemontese: le conseguenze
seguite alla pesantissima ristrutturazione industriale seguita da un
costante ma inesorabile calo demografico e la crisi, tutt’altro che
alla fine. La riqualificazione prevede la realizzazione di una
porzione residenziale (a fini abitativi), una di verde (da annettere
al parco già esistente di v. Calabria adiacente al Parco della
Pellerina) e una zona artigianale di terziario avanzato. Infine un
luogo di testimonianza di ciò che accadde quel 6 dicembre 2007, che
suona come lacrime di coccodrillo da parte dell’Amministrazione:
l’istituzione che interviene solo “dopo” l’accaduto, quando
corre ai ripari dimostrando totale e colpevole negligenza per quanto
concerne controlli in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro, del
tutto inesistenti. Per questo si aprirà a breve un altro processo
parallelo che riguarda 5 funzionari dell’Asl di Torino, rei di
avvertire preventivamente l’azienda dei sopralluoghi ispettivi.
Anche se pare
scongiurato, come sembrava nelle intenzioni iniziali, il
trasferimento del deposito GTT di Venaria nell’area a ridosso del
parco più grande di Torino, resta il fatto che l’area
rimane pericolosamente disseminata di sostanze nocive dovute alle
lavorazioni siderurgiche e la cui bonifica deve essere a completo
carico dell’acquirente, che risulta essere la Bonafous
S.p.A. (società ad hoc composta da Gefim, società privata
operante nei settori edile e immobiliare e Fintecna, società
pubblica interamente gestita dalla Cassa Depositi e Prestiti e
specializzata nella riqualificazione di grandi aree dismesse). Di
questa riqualificazione lasciano fortemente perplessi e destano forti
preoccupazioni molti punti: il Comune ha “snellito” i
passaggi necessari per l’approvazione della riqualificazione
passando da Variante Strutturale (n. 211 del 2011), come previsto
dalla Legge, a semplice Variante Urbanistica Semplificata,
accelerando notevolmente l’iter e mancando completamente di momenti
di discussione e confronto con i cittadini, fermo restando che buona
parte dell’area è pubblica; si è incluso nella metratura
complessiva dell’Area anche una porzione del quartiere Lucento
(comprese parrocchia Santi Bernardo e Brigida e scuole materna,
elementare e media di v. Pianezza) e chiunque capirebbe che ciò ha
il solo scopo di aumentare la Superficie Lorda di
Pavimento, da cui deriva la possibile quantità di edificabile,
aumentando così la possibilità di speculare!; inoltre si continua
con la logica criminale e anti ecologica di costruire altre soluzioni
abitative assolutamente inutili se non a fini speculativi a fronte
della decrescita demografica, lenta ma costante della Città,
oltretutto in presenza di decine di migliaia di alloggi tenuti sfitti
solo per mantenere alti i prezzi di vendita e locazione; il Comune,
se ha intenzione di costruire case nell'area, non ha tenuto in debito
conto il rischio, tutt’altro che remoto, di esondabilità (ultima
alluvione nel 2000, stabilimento TK e aree limitrofe completamente
sommerse dall’acqua). Ma ciò che desta maggiore
preoccupazione, visti i recenti casi di cronaca (Terra dei Fiochi in
Campania e Ilva di Taranto, solo per citarne due) riguarda la
bonifica dell’area, trattandosi di un argomento che riveste grande
importanza e dagli enormi risvolti morali, sociali ed
ambientali. Preoccupazioni più che fondate visti i
risultati di altri esperimenti analoghi: ci riferiamo in particolare
alla Spina 3 e all’ex area delle Ferriere su cui sono stati
costruiti parchi, centri commerciali ed edifici, questi ultimi
utilizzati dagli atleti per le Olimpiadi invernali di Torino 2006 e
poi riconvertiti ad uso abitativo, zona Corso Mortara-IperCoop-Nuovo
Passante Ferroviario, sotto i quali vi sono ancora tonnellate e
tonnellate di scorie industriali nocive mai bonificate. Su questo
argomento nessun cenno da parte del Sindaco e del Consiglio
Comunale! Sindaco Fassino, la soluzione non è far costruire
palazzi e giardini sopra le scorie di un’acciaieria ma dare lavoro
a chi è senza per bonificarle (previa adeguata
formazione). Dall’indirizzo del provvedimento urbanistico
se ne deduce che in ultimo piano vengono, come sempre, i diritti dei
cittadini, mai interpellati quando si tratta di scelte che li
riguardano in prima persona, come in questo caso.
Ci rendiamo
conto anche noi che l’area così non può rimanere ma è
oggettivo che la riqualificazione dell’area sia assolutamente
imprescindibile dalla bonifica, a spese di chi ha inquinato. La
cosiddetta “Porta Ovest” della Città, oltre a rappresentare un
naturale biglietto da visita di ingresso alla Città può diventare
un’occasione per creare nuovi posti di lavoro, misura che
attenuerebbe, almeno in parte, gli effetti più devastante della
crisi. Noi ex lavoratori TK siamo sempre stati disponibili a metterci
in gioco, anche in percorsi di riqualificazione professionale, entro
quel progetto della Gran Torino Capitale del Lavoro del
Sindaco Fassino che per ora rimane solo sulla carta. Visto che il
Comune da questo orecchio sembra non sentirci e che i buoni propositi
sinora non sembrano essere serviti a nulla facciamo appello a
lavoratori, disoccupati, cassintegrati, giovani, donne, studenti,
immigrati e tutti quelli che lottano per difendere i propri diritti,
primo fra tutti quello ad un lavoro utile e dignitoso, a creare un
coordinamento tra associazioni e organismi (sindacali, ambientali,
ecc.), esponenti politici e sindacali, singoli cittadini che lottano
per non pagare gli effetti più nefasti della crisi a vigilare e
mettere in campo tutte quelle azioni necessarie per impedire al
Comune di speculare sull’area e costringere il Comune ad effettuare
le dovute bonifiche. La scusa di Fassino che non ci sono
soldi è una balla trita e ritrita: i soldi ci sono, basterebbe non
sprecarli in un’opera assurda e criminale come la Tav, in cui
si continuano a sperperare, tra lavori e gestione dell’ordine
pubblico, risorse preziosissime con le quali si dovrebbero creare
invece posti di lavoro, fare manutenzioni urgenti alle scuole che
cadono a pezzi, potenziare sanità, istruzione e trasporti. Misure
concrete per contrastare la crisi più dell’effimero “museo”
sulla sicurezza nei luoghi di lavoro che si vorrebbe intitolare alla
memoria dei nostri compagni di lavoro. La questione non è
sensibilizzare maggiormente i lavoratori ma chi ha in mano la
direzione della società, oggi nelle mani di chi lucra sulla vita dei
lavoratori. Per questo tipo di reati vi è in pratica la totale
impunità! Dimostrazione ne è che anche gli imputati coinvolti nel
caso TK non hanno fatto né un giorno di galera né saranno mai
condannati da tribunali che adottano i sistemi della giustizia
borghese, quello dei due pesi e delle due misure: chi combatte per
salvaguardare il lavoro e i propri diritti (per es. chi taglia le
reti, del tutto illegittime, dei cantieri della Tav in Val Susa)
viene messo in carcere e chi quei diritti li calpesta (come per es.
gli imputati del processo TK) è libero di agire indisturbato.
Ciò che
muove gli imprenditori (la stragrande maggioranza se non altro) è
unicamente il proprio tornaconto personale, non il benessere dei
lavoratori. Va da sé che questi due interessi non potranno mai
coincidere, perché la sicurezza per il datore di lavoro rappresenta
solo un costo, nulla più. I morti per profitto non sono altro che il
frutto di questo sistema produttivo ormai distruttivo di uomini e
risorse e di questo ordinamento sociale, ingiusto e superato, al
quale dobbiamo opporci con ogni mezzo iniziando fin da subito
appoggiando e promuovendo il coordinamento tra organismi, esponenti
di partiti, sindacati, comitati e singoli che già oggi lottano,
ognuno con proprie specificità e caratteristiche, non solo in difesa
dei diritti ma mossi da un obiettivo più alto: creare una nuova
società, l’unica alternativa possibile (ma soprattutto necessaria)
a questo sistema produttivo ormai giunto al termine. Una società in
cui saranno i lavoratori in prima persona a gestire il proprio luogo
di lavoro e quindi anche la propria sicurezza, finora delegata a chi
non ha alcun interesse a garantirla.
La
salvaguardia dei diritti va conquistata con la lotta e la
mobilitazione, come quella che ci attende il 24 aprile, giorno in
cui la Corte di Cassazione depositerà la sentenza di terzo
grado del processo ThyssenKrupp. Per questo invitiamo tutti a
presenziare a Roma davanti al Tribunale in solidarietà ai familiari
di tutte le vittime del profitto. Solo in presenza della
mobilitazione popolare la Corte condannerà, anche se a
pene (per noi) simboliche, i responsabili della strage.
Far
rinascere l’area senza speculazioni, priva di sostanze tossiche e
con finalità collettive, impiegando nella bonifica quelle migliaia
di lavoratori rimasti senza lavoro, appare di gran lunga il miglior
modo per ricordare Antonio, Bruno, Angelo, Roberto, Rocco, Rosario e
Giuseppe, restituendo dignità a quel lavoro che è costato loro
la vita e mantenendo fede al prestigio della nostra Città, Medaglia
d’Oro della Resistenza partigiana e culla della tradizione operaia
del nostro Paese.
Vorremmo
costruire, con chi condivide queste idee, un momento di scambio e
confronto per dare seguito all’appello che abbiamo lanciato.
24
APRILE A ROMA PER LA SENTENZA DI CASSAZIONE SULLA
STRAGE TK: LA CLASSE OPERAIA NON DIMENTICA!
Ex
lavoratori ThyssenKrupp Torino
COMUNICATO N° 77
Bilancio: approvata
solo la mozione M5S
Via libera per
#openbilancio
MILANO, 13
febbraio 2014
La mozione del M5S approvata nel corso della seduta
odierna del Consiglio Comunale, aggiunge al
processo di definizione del bilancio del Comune di Milano
una fase di condivisione con la
cittadinanza, sulla falsa riga di quello che è già stato
utilizzato in merito al regolamento edilizio.
Grazie a questa mozione la Giunta si impegna a pubblicare
sul portale web del Comune di Milano
gli elementi economico finanziari relativi allo schema di
bilancio, sulla base dei quali i cittadini
potranno fornire indicazioni in merito, quindici giorni
prima dell'approvazione da parte della Giunta
stessa. Inoltre dovrà essere avviato un dibattito nelle
singole zone attraverso assemblee
pubbliche. Il M5S trova nella partecipazione dei
cittadini un valore assoluto, per questa ragione ha scelto di partecipare a
tutti i tavoli tecnici svolti fino a questo momento; oggi raccoglie i frutti
dell'impegno profuso con questo voto unanime. Un passo importante per i
cittadini del Comune di Milano - secondo il consigliere Calise del M5S - sulla
strada della partecipazione e della trasparenza.
ufficiostampa5stellemilano@gmail.com
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