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sabato 3 gennaio 2015

Tre Pietre d’inciampo anche a Meina,
per ricordare la strage del Lago Maggiore
di Michela Beatrice Ferri

Nel 2015 le “Pietre d’inciampo” arrivano anche a Meina, sul Lago Maggiore. Domenica 11 gennaio sul piazzare dell’Imbarcadero avviene la posa delle tre pietre dell’artista Gunter Demnig per ricordare le vittime più giovani della Strage di Meina, un episodio del doloroso Olocausto del Lago Maggiore.



Ho intervistato Rossana Ottolenghi, figlia della sopravvissuta Rebecca “Becky” Behar. Qui di seguito racconta la strage di Meina nelle memorie di Rebecca Behar, ultima sopravvissuta della strage nazista di Meina. Rossana Ottolenghi, come ha vissuto Becky Behar quei giorni tremendi del settembre del 1943 
Per Rebecca Behar, mia madre, così come per la cultura ebraica, parlare di “memoria” significa toccare una questione fondamentale: la memoria” è il vero monumento e la vera tomba delle persone che non ci sono più. È proprio per questo motivo che mia madre Rebecca Behar ha dedicato la sua vita alla testimonianza di quei fatti e alla memoria di quei ragazzi e di quegli adulti che sono stati uccisi in questa strage nazifascista avvenuta a di Meina.

Rossana Ottolenghi
Che cosa rimane, oggi, dell’intensa attività di testimone di Becky Behar?
Rebecca “Becky” Behar si è dedicata soprattutto al racconto di questa strage ai giovani, cominciando da me, quando ero ancora ragazzina.
In questi racconti, però, non vi era alcuna presenza dell’elemento della commiserazione. Mia madre ha voluto passare a me e in seguito a tanti altri ragazzi questa storia come una storia di speranza: gli ebrei che si sono salvati dalla Shoah si sono salvati proprio grazie a chi si volle ribellare al male dilagante. La forza del racconto di questa tragedia avvenuta nelle splendide zone del Lago Maggiore risiede nel fatto che si tratta di un racconto delle vicende vissute da una ragazzina. Non si parla di vicende storiche passate attraverso la mano degli storici, ma di vicende narrate in maniera diretta, di prima mano, di una ragazzina che tenne un diario a cui confidò le sue impressioni e le sue descrizioni più delicate. Becky Behar ancora quattordicenne decise di tenere questo racconto poiché sapeva che il racconto e la memoria sarebbero stati gli antidoti alla ripetizione del male.

Becky Behar
Rebecca Behar si salvò poiché lei e la sua famiglia fuggirono in Svizzera. Che cosa accadde, di preciso, a Meina nei giorni della strage?
L’armistizio era avvenuto da pochi giorni: sul Lago Maggiore, come in tutta Italia la popolazione era felicissima e tutti si erano illusi che la guerra finisse proprio in quel momento. Tre giorni dopo l’armistizio, l’11 settembre 1943, le truppe tedesche –si ricordi che i tedeschi erano divenuti nemici e non più alleati– invasero tutta la zona del Lago Maggiore e si misero a caccia degli ebrei.
A partire da quel giorno avvenne tutto un susseguirsi di arresti e di uccisioni, che proseguì fino ala fine di Settembre. La strage di Meina non è stata la sola strage avvenuta in quei luoghi, bensì una delle tante stragi del Lago Maggiore. Essa viene ricordata, però, come la prima strage nazifascista in Italia e come quella con un maggiore numero di vittime rispetto alle altre stragi avvenute nei paesi vicini. Si ricordi che a Meina morirono 16 persone, tra cui alcuni ragazzini che erano divenuti amici della giovanissima Becky Behar – e le cui famiglie avevano scelto di fermarsi all’Hotel Meina come punto di arrivo per poi trovare una sistemazione.
La famiglia Behar si salvò solamente pe un fatto: il console turco era ospite in una casa di Alberto Behar, padre di Becky e proprietario dell’Hotel Meina, di origine turca e avente la cittadinanza turca. A quel tempo la Turchia era neutrale, e per amicizia nei confronti di Alberto Behar il console – dopo essere stato avvisato da Alberto Behar di accadimenti strani all’interno del suo albergo – si recò nella sede delle SS. I soldati non avrebbero potuto toccare la famiglia Behar: il console turco spiegò che qualora fosse accaduto qualcosa, avrebbe fatto scoppiare uno scandalo internazionale. I tedeschi
Non fidandosi dei tedeschi, ormai nemici e non più alleati, il console turco consigliò ad Alberto Behar di scappare: alcuni giorni dopo, la famiglia della giovanissima Becky Behar – i genitori e i quattro figli – raggiunse la Svizzera, dove al collegio della Saint George School Becky Behar cominciò a scrivere il suo diario.
Al processo di Osnabrück andò suo nonno, Alberto Behar, con il diario della figlia tra le mani, come testimone.
Il diario venne utilizzato per riconoscere le SS facenti parte del commando speciale Leibstandarte: si trattava di giovani ragazzi, aventi una assoluta fedeltà ideologica al Nazismo, e capaci di uccidere gli ebrei con una rapidità spaventosa.
Al processo uno di essi fu riconosciuto per il seguente episodio: Rebecca Behar aveva assistito ad una scena che la colpì, e che costituì sempre per lei un ricordo indelebile nella memoria. Uno dei soldati tedeschi nel giardino dell’albergo del padre uccise a calci il suo cane e lo gettò nel lago. Nel suo diario, Rebecca descrisse quell’episodio nei minimi dettagli, indicando che il soldato che aveva ucciso il suo cane camminava zoppicando. Grazie alla sua testimonianza, fu possibile riconoscere il soldato nazista presente al processo.
Purtroppo, in seguito il processo finì con l’assoluzione dei colpevoli: con l’avvento della Guerra Fredda e il bisogno di una Europa unita e compatta, molti di quei processi andarono si conclusero con l’assoluzione dei colpevoli. Accadde, inoltre, che negli anni successivi alla fine della guerra alcuni soldati tedeschi tornarono per villeggiatura in quegli stessi luoghi sul Lago Maggiore in cui avevano condotto le stragi. Questi sono alcuni dei motivi per cui la strage nazifascista di Meina, indicata anche come “olocausto del Lago Maggiore è stata indicata come dimenticata: è proprio “La strage dimenticata” il titolo della pubblicazione del diario di Becky Behar.

Vent’anni fa, a Colonia l’artista tedesco Gunter Deming ebbe questa idea artistica: depositare, nelle città, alcune Stolpersteine, “Pietre d’inciampo”, affinché ogni luogo potesse ricordare i propri cittadini deportati nei campi di sterminio nazisti e uccisi dalla furia nazista. Nel nostro Paese le Pietre d’inciampo sono state collocate a Roma, a Genova –dove si ricorda il luogo in cui venne rapito il rabbino Riccardo Pacifici– a Merano e a Bolzano, a Venezia.