Tre Pietre d’inciampo anche a Meina,
per ricordare la strage del Lago Maggiore
di
Michela Beatrice Ferri
Nel 2015 le “Pietre d’inciampo” arrivano
anche a Meina, sul Lago Maggiore. Domenica 11 gennaio sul piazzare
dell’Imbarcadero avviene la posa delle tre pietre dell’artista Gunter Demnig
per ricordare le vittime più giovani della Strage di Meina, un episodio del
doloroso Olocausto del Lago Maggiore.
Ho
intervistato Rossana Ottolenghi, figlia della sopravvissuta Rebecca “Becky”
Behar. Qui di seguito racconta la strage di Meina nelle memorie di Rebecca
Behar, ultima sopravvissuta della strage nazista di Meina. Rossana Ottolenghi,
come ha vissuto Becky Behar quei giorni tremendi del settembre del 1943
Per Rebecca Behar, mia madre,
così come per la cultura ebraica, parlare di “memoria” significa toccare una
questione fondamentale: la memoria” è il vero monumento e la vera tomba delle
persone che non ci sono più. È proprio per questo motivo che mia madre Rebecca
Behar ha dedicato la sua vita alla testimonianza di quei fatti e alla memoria
di quei ragazzi e di quegli adulti che sono stati uccisi in questa strage
nazifascista avvenuta a di Meina.
Rossana Ottolenghi |
Che cosa rimane, oggi, dell’intensa attività di testimone di Becky
Behar?
Rebecca “Becky” Behar si è
dedicata soprattutto al racconto di questa strage ai giovani, cominciando da
me, quando ero ancora ragazzina.
In questi racconti, però, non vi
era alcuna presenza dell’elemento della commiserazione. Mia madre ha voluto
passare a me e in seguito a tanti altri ragazzi questa storia come una storia
di speranza: gli ebrei che si sono salvati dalla Shoah si sono salvati proprio grazie a chi si volle ribellare al
male dilagante. La forza del racconto di questa tragedia avvenuta nelle
splendide zone del Lago Maggiore risiede nel fatto che si tratta di un racconto
delle vicende vissute da una ragazzina. Non si parla di vicende storiche
passate attraverso la mano degli storici, ma di vicende narrate in maniera
diretta, di prima mano, di una ragazzina che tenne un diario a cui confidò le
sue impressioni e le sue descrizioni più delicate. Becky Behar ancora quattordicenne
decise di tenere questo racconto poiché sapeva che il racconto e la memoria
sarebbero stati gli antidoti alla ripetizione del male.
Becky Behar |
Rebecca Behar si salvò poiché lei e la sua famiglia fuggirono in
Svizzera. Che cosa accadde, di preciso, a Meina nei giorni della strage?
L’armistizio era avvenuto da
pochi giorni: sul Lago Maggiore, come in tutta Italia la popolazione era
felicissima e tutti si erano illusi che la guerra finisse proprio in quel
momento. Tre giorni dopo l’armistizio, l’11 settembre 1943, le truppe tedesche
–si ricordi che i tedeschi erano divenuti nemici e non più alleati– invasero
tutta la zona del Lago Maggiore e si misero a caccia degli ebrei.
A partire da quel giorno avvenne
tutto un susseguirsi di arresti e di uccisioni, che proseguì fino ala fine di
Settembre. La strage di Meina non è stata la sola strage avvenuta in quei
luoghi, bensì una delle tante stragi del Lago Maggiore. Essa viene ricordata,
però, come la prima strage nazifascista in Italia e come quella con un maggiore
numero di vittime rispetto alle altre stragi avvenute nei paesi vicini. Si
ricordi che a Meina morirono 16 persone, tra cui alcuni ragazzini che erano
divenuti amici della giovanissima Becky Behar – e le cui famiglie avevano
scelto di fermarsi all’Hotel Meina come punto di arrivo per poi trovare una
sistemazione.
La famiglia Behar si salvò
solamente pe un fatto: il console turco era ospite in una casa di Alberto
Behar, padre di Becky e proprietario dell’Hotel Meina, di origine turca e
avente la cittadinanza turca. A quel tempo la Turchia era neutrale, e per
amicizia nei confronti di Alberto Behar il console – dopo essere stato avvisato
da Alberto Behar di accadimenti strani all’interno del suo albergo – si recò
nella sede delle SS. I soldati non avrebbero potuto toccare la famiglia Behar:
il console turco spiegò che qualora fosse accaduto qualcosa, avrebbe fatto
scoppiare uno scandalo internazionale. I tedeschi
Non fidandosi dei tedeschi, ormai
nemici e non più alleati, il console turco consigliò ad Alberto Behar di
scappare: alcuni giorni dopo, la famiglia della giovanissima Becky Behar – i
genitori e i quattro figli – raggiunse la Svizzera, dove al collegio della
Saint George School Becky Behar cominciò a scrivere il suo diario.
Al processo di Osnabrück andò suo nonno, Alberto Behar, con il diario
della figlia tra le mani, come testimone.
Il diario venne utilizzato per
riconoscere le SS facenti parte del commando speciale Leibstandarte: si trattava di
giovani ragazzi, aventi una assoluta fedeltà ideologica al Nazismo, e capaci di
uccidere gli ebrei con una rapidità spaventosa.
Al processo uno di essi fu
riconosciuto per il seguente episodio: Rebecca Behar aveva assistito ad una
scena che la colpì, e che costituì sempre per lei un ricordo indelebile nella
memoria. Uno dei soldati tedeschi nel giardino dell’albergo del padre uccise a
calci il suo cane e lo gettò nel lago. Nel suo diario, Rebecca descrisse
quell’episodio nei minimi dettagli, indicando che il soldato che aveva ucciso
il suo cane camminava zoppicando. Grazie alla sua testimonianza, fu possibile
riconoscere il soldato nazista presente al processo.
Purtroppo, in seguito il processo
finì con l’assoluzione dei colpevoli: con l’avvento della Guerra Fredda e il
bisogno di una Europa unita e compatta, molti di quei processi andarono si conclusero
con l’assoluzione dei colpevoli. Accadde, inoltre, che negli anni successivi
alla fine della guerra alcuni soldati tedeschi tornarono per villeggiatura in
quegli stessi luoghi sul Lago Maggiore in cui avevano condotto le stragi.
Questi sono alcuni dei motivi per cui la strage nazifascista di Meina, indicata
anche come “olocausto del Lago Maggiore è stata indicata come dimenticata: è
proprio “La strage dimenticata” il titolo
della pubblicazione del diario di Becky Behar.
Vent’anni
fa, a Colonia l’artista tedesco Gunter Deming ebbe questa idea artistica:
depositare, nelle città, alcune Stolpersteine,
“Pietre d’inciampo”, affinché ogni luogo potesse ricordare i propri cittadini
deportati nei campi di sterminio nazisti e uccisi dalla furia nazista. Nel
nostro Paese le Pietre d’inciampo sono state collocate a Roma, a Genova –dove
si ricorda il luogo in cui venne rapito il rabbino Riccardo Pacifici– a Merano
e a Bolzano, a Venezia.