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martedì 4 agosto 2015

DISSIPAZIONE DELLA SPESA PUBBLICA E INTERESSI IMPROPRI
di Fulvio Papi

Tra tutti i commenti che si sono letti o ascoltati nell’ultimo periodo, due, per la verità molto semplici, mi sono apparsi come aperture per una possibile ulteriore riflessione. Uno è l’osservazione del governatore della Banca d’Italia il quale ha sostenuto che il bilancio dello stato si doveva aggiustare in altri tempi quando la situazione era meno complicata. L’altro commento è di un economista, forse un po’ rigido, ma molto equilibrato, che ha osservato che il risanamento produttivo, finanziario, civile, in Italia può avvenire solo in un lungo periodo. Soprattutto se il governo non si fa prendere dalla non buona abitudine di assumere iniziative economiche che possono provocare in tempi brevi e in alcuni rilevanti strati della popolazione, un riflesso di consenso politico, a svantaggio però dello sviluppo di un risanamento durevole e giusto rispetto a tutti i fattori sociali e culturali che misurano la civiltà di un paese.
Bisogna cancellare con ogni energia e senza volgari riserve i privilegi di posizione, in un paese dove la spesa pubblica troppo spesso è stata indirizzata da obiettivi di consenso, spesso con vari imbrogli possibili con la mediazione di figure sociali malavitose, o magari solo condizionate da quella rete di inadempienze, raggiri, falsi, interessi volgarmente personali, iniziative completamente insensate, alleanze tra profittatori e personaggi politici, complicità che, nel loro complesso, sono la fonte vergognosa dello sperpero finanziario. Vorrei aggiungere un’altra osservazione: tagliare le remunerazioni di ogni funzione politica (senza compromettere la funzione aperta ad ogni cittadino) è certamente corretto. Così come è strano che alcune categorie privilegiate si siano sottratte a questi “tagli”, che in generale possono anche essere considerati come solidarietà sociale. Tuttavia non è solo in questa direzione che va ricercato lo sperpero, perché se si fa così, si costruisce un diavolo, ma, con grande gioia dei profittatori, non si conosce quel tessuto sociale che deriva dall’alleanza di profittatori, falsari, ladri, egoisti che costituisce una vera scena sociale. Da quando tempo le varie lobby e anche gli individui, non sono sottoposti a un controllo serio contro il quale si sono sollevate improprie e abili difese, legittime nel nostro quadro democratico, che hanno fatto scomparire il tutto. Il mio è un discorso ad ampio raggio, e va oltre l’intelligenza letteraria del conte Manzoni. E allora è da qui che bisogna considerare l’osservazione del governatore della Banca d’Italia. Da quanti anni questo stile intollerabile è stato un sotto-governo del paese ed ha condizionato la spesa pubblica? Perché la dissipazione della spesa pubblica si spiega solo con il potere di interessi impropri locali e nazionali. Con i bilanci in rosso, ma quello che è ancora molto peggio, con l’impossibilità di intervenire con efficacia e continuità in settori dove il paese è proprio in rovina. Non c’è bisogno di fare elenchi che tutti conoscono: proviamo solo a pensare al problema dell’acqua in alcune zone della Sicilia.
Passo a una riflessione successiva. Esistono ottimi, esemplari studi storici di specialisti della contemporaneità intorno alle forme politiche, ai rapporti sociali, alle forme educative: un’ottima miniera di sapore storico che dovrebbe essere più diffusa, anche adesso, mi pare, che le narrazioni, prive di qualsiasi tecnica storiografica, siano in diminuzione a vantaggio della pulizia della mente pubblica. Tuttavia non conosco (sarà colpa mia) una approfondita analisi storica di qualche decennio sullo sperpero immorale di denaro pubblico, sulle ragioni politiche e sociali con date, cifre, motivazioni, nomi. Ovviamente non si tratta di altro, se non di conoscenza e se non si fa questo “specchio” non si ha una storia esaustiva dell’Italia contemporanea. Probabilmente si scoprirebbero, al di là delle chiacchiere, almeno in parte, le ragioni di quel disastro politico che tiene lontani gli italiani dal voto. Non sono così ingenuo da pensare che una conoscenza storica (sempre ai margini del sapere pubblico quando può avere effetti indesiderati) risolva qualcosa in generale. Per rovesciare il sentimento degli italiani ci vuole una “nuova storia” e non basta dare con enfasi variazioni decimali del famoso Pil i cui limiti informativi sono ormai noti a chiunque conosca il significato della sigla.

Per il secondo tema relativo alla politica economica che abbia una prospettiva ampia di ordine, efficienza, e giustizia sociale direi che essa può diventare anche più difficile con provvedimenti parziali che riparano per lo più attese sociali comprensibilmente frustrate, ma non riescono ad andare oltre. Se poi mi si obietta che un buon bilancio, una produzione positiva, e un paese giusto nei suoi valori e nei suoi meriti, si può ottenere con una politica che, in generale, accolga la prospettiva (prospettiva) di una programmazione aperta, colta, dinamica sul mercato, allora accetto l’obiezione. Sempre socialista, professore?