DISSIPAZIONE DELLA SPESA PUBBLICA E INTERESSI IMPROPRI
di Fulvio Papi
Tra tutti i commenti che si sono letti o ascoltati
nell’ultimo periodo, due, per la verità molto semplici, mi sono apparsi come
aperture per una possibile ulteriore riflessione. Uno è l’osservazione del
governatore della Banca d’Italia il quale ha sostenuto che il bilancio dello
stato si doveva aggiustare in altri tempi quando la situazione era meno
complicata. L’altro commento è di un economista, forse un po’ rigido, ma molto
equilibrato, che ha osservato che il risanamento produttivo, finanziario,
civile, in Italia può avvenire solo in un lungo periodo. Soprattutto se il
governo non si fa prendere dalla non buona abitudine di assumere iniziative
economiche che possono provocare in tempi brevi e in alcuni rilevanti strati
della popolazione, un riflesso di consenso politico, a svantaggio però dello
sviluppo di un risanamento durevole e giusto rispetto a tutti i fattori sociali
e culturali che misurano la civiltà di un paese.
Bisogna cancellare
con ogni energia e senza volgari riserve i privilegi di posizione, in un paese
dove la spesa pubblica troppo spesso è stata indirizzata da obiettivi di
consenso, spesso con vari imbrogli possibili con la mediazione di figure
sociali malavitose, o magari solo condizionate da quella rete di inadempienze,
raggiri, falsi, interessi volgarmente personali, iniziative completamente
insensate, alleanze tra profittatori e personaggi politici, complicità che, nel
loro complesso, sono la fonte vergognosa dello sperpero finanziario. Vorrei
aggiungere un’altra osservazione: tagliare le remunerazioni di ogni funzione
politica (senza compromettere la funzione aperta ad ogni cittadino) è
certamente corretto. Così come è strano che alcune categorie privilegiate si
siano sottratte a questi “tagli”, che in generale possono anche essere
considerati come solidarietà sociale. Tuttavia non è solo in questa direzione
che va ricercato lo sperpero, perché se si fa così, si costruisce un diavolo,
ma, con grande gioia dei profittatori, non si conosce quel tessuto sociale che
deriva dall’alleanza di profittatori, falsari, ladri, egoisti che costituisce
una vera scena sociale. Da quando tempo le varie lobby e anche gli individui,
non sono sottoposti a un controllo serio contro il quale si sono sollevate
improprie e abili difese, legittime nel nostro quadro democratico, che hanno
fatto scomparire il tutto. Il mio è un discorso ad ampio raggio, e va oltre
l’intelligenza letteraria del conte Manzoni. E allora è da qui che bisogna
considerare l’osservazione del governatore della Banca d’Italia. Da quanti anni
questo stile intollerabile è stato un sotto-governo del paese ed ha
condizionato la spesa pubblica? Perché la dissipazione della spesa pubblica si
spiega solo con il potere di interessi impropri locali e nazionali. Con i
bilanci in rosso, ma quello che è ancora molto peggio, con l’impossibilità di
intervenire con efficacia e continuità in settori dove il paese è proprio in
rovina. Non c’è bisogno di fare elenchi che tutti conoscono: proviamo solo a
pensare al problema dell’acqua in alcune zone della Sicilia.
Passo a una
riflessione successiva. Esistono ottimi, esemplari studi storici di specialisti
della contemporaneità intorno alle forme politiche, ai rapporti sociali, alle
forme educative: un’ottima miniera di sapore storico che dovrebbe essere più
diffusa, anche adesso, mi pare, che le narrazioni, prive di qualsiasi tecnica
storiografica, siano in diminuzione a vantaggio della pulizia della mente
pubblica. Tuttavia non conosco (sarà colpa mia) una approfondita analisi
storica di qualche decennio sullo sperpero immorale di denaro pubblico, sulle
ragioni politiche e sociali con date, cifre, motivazioni, nomi. Ovviamente non
si tratta di altro, se non di conoscenza e se non si fa questo “specchio” non
si ha una storia esaustiva dell’Italia contemporanea. Probabilmente si
scoprirebbero, al di là delle chiacchiere, almeno in parte, le ragioni di quel
disastro politico che tiene lontani gli italiani dal voto. Non sono così
ingenuo da pensare che una conoscenza storica (sempre ai margini del sapere
pubblico quando può avere effetti indesiderati) risolva qualcosa in generale.
Per rovesciare il sentimento degli italiani ci vuole una “nuova storia” e non
basta dare con enfasi variazioni decimali del famoso Pil i cui limiti
informativi sono ormai noti a chiunque conosca il significato della sigla.
Per il secondo tema relativo alla politica economica che
abbia una prospettiva ampia di ordine, efficienza, e giustizia sociale direi
che essa può diventare anche più difficile con provvedimenti parziali che
riparano per lo più attese sociali comprensibilmente frustrate, ma non riescono
ad andare oltre. Se poi mi si obietta che un buon bilancio, una produzione
positiva, e un paese giusto nei suoi valori e nei suoi meriti, si può ottenere
con una politica che, in generale, accolga la prospettiva (prospettiva) di una
programmazione aperta, colta, dinamica sul mercato, allora accetto l’obiezione.
Sempre socialista, professore?