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mercoledì 24 gennaio 2018

QUANDO LA STORIA SI RIPETE
di Franco Astengo

Mattarella e Gentiloni

In questi giorni si leggono interventi e dichiarazioni da parte di alcuni degli eterni strateghi della cosiddetta “sinistra riformista”, quelli che hanno compiuto nel corso di questi anni il capolavoro di distruggere un inestimabile patrimonio politico e culturale.  Li si legge e li si ascolta e si avverte un sottile e amarissimo gusto di “dejavù”. Ritornano termini desueti, in tempi di conclamato “decisionismo”, come “governo del Presidente” oppure si pensa, per tenere in piedi il circo Barnum del dopo – elezioni, a qualche diavoleria nel senso di un incrocio di astensioni nelle aule parlamentari. Scenari evocati da strateghi che si sono auto assunta l’idea di una continuità con il pensiero togliattiano, quello che “sapeva unire il realismo politico con il mito rivoluzionario”.
Sarà bene ricordare che fu tanti anni fa, quando questi super tattici erano ancora alle primissime armi, che dalla logica delle astensioni nacque una sorta di “governo del Presidente” suffragato ad una sconsiderata “solidarietà nazionale”  attorno alla quale fu bruciata in poche settimane la più grande affermazione elettorale della sinistra nel dopoguerra. Tempi diversissimi e temperie mai più attraversate: terrorismo nel cuore dello Stato, crisi economica durissima, P2 ai vertici di apparati e istituzioni. Allora fu miopia (a essere generosi nel giudizio), adesso si tratterebbe di uno scellerato ritorno all’indietro, dell’attuazione del classico “quando la storia si ripete la tragedia si tramuta in farsa” (citazione adattata a cura dell’autore di questo intervento). Soprattutto si priverebbe il quadro parlamentare di un pezzo di schieramento oggi assolutamente necessario: quello di una coerente e determinata opposizione di sinistra condotta in nome dell’attuazione e della difesa della Costituzione Repubblicana e della rappresentanza dei ceti sociali tempestati da condizioni materiali di vita rese impossibili dall’emergere di contraddizioni ormai insostenibili nella materialità di un quotidiano.
Un quotidiano segnato dalla crescita esponenziale delle diseguaglianze, dallo sfruttamento intensivo, dalla sopraffazione da parte degli eterni più forti: basta leggere il rapporto Oxfam 2017 appena presentato. E’ sempre sbagliato, in materia elettorale, ragionare in negativo, cercando cioè “quello che non si deve fare e soprattutto ciò che non si deve votare”.
Le elezioni dovrebbero rappresentare comunque, nei limiti imposti dalla libertà di espressione concessa in una “democrazia borghese”, un’occasione di pronuncia in positivo: ma in questo caso una riflessione s’impone. E’ sicuramente difficile trovare una possibilità d’indicazione in positivo all’interno di questo quadro politico contrassegnato dalla progressiva omologazione subalterna da parte di chi aveva cercato di imporsi come alternativa antipolitica come nel caso del M5S e subito rientrato nell’alveo della più banale governabilità in una esaltazione tra l’altro ridicola e parossistica della personalizzazione, da un PD che rimane il partito – cardine del tentativo di assassinio della democrazia che era contenuto nella deforma costituzionale respinta dal voto del 4 dicembre. Tentativo di violazione dello spirito e della lettera della Costituzione  che, nonostante quel voto, è rimasto comunque nella logica di fondo che il PD esprime. E ancora da ricordare la presenza di un centro destra pervaso da pulsioni razziste e fasciste che rendono logicamente inavvicinabile qualsiasi spezzone di questo schieramento. E’ proprio il caso allora di avventurarsi in propositi di strategie di futuribili schieramenti di governo oppure può valere la pena di cimentarsi con le elezioni in nome della chiarezza di una alternativa che passa necessariamente per quella fase di opposizione che è richiesta come espressione di rappresentanza politica proprio in questa fase di guerra di posizione che si sta sviluppando all’interno di un formidabile processo di rivoluzione passiva?. Non è soltanto questione di sviluppare un’ analisi rivolta al contingente ma di adempiere per quanto possibile, tenuto conto della modestia dei mezzi a disposizione, ad una  prospettiva storica allo scopo di tenere aperta – comunque pur nelle grandi difficoltà del momento – una prospettiva di radicale trasformazione della società.