QUANDO LA STORIA SI
RIPETE
di Franco Astengo
Mattarella e Gentiloni |
In questi giorni si leggono
interventi e dichiarazioni da parte di alcuni degli eterni strateghi della
cosiddetta “sinistra riformista”, quelli che hanno compiuto nel corso di questi
anni il capolavoro di distruggere un inestimabile patrimonio politico e
culturale. Li si legge e li si ascolta e
si avverte un sottile e amarissimo gusto di “dejavù”. Ritornano termini
desueti, in tempi di conclamato “decisionismo”, come “governo del Presidente”
oppure si pensa, per tenere in piedi il circo Barnum del dopo – elezioni, a
qualche diavoleria nel senso di un incrocio di astensioni nelle aule
parlamentari. Scenari evocati da strateghi che si sono auto assunta l’idea di
una continuità con il pensiero togliattiano, quello che “sapeva unire il
realismo politico con il mito rivoluzionario”.
Sarà bene
ricordare che fu tanti anni fa, quando questi super tattici erano ancora alle
primissime armi, che dalla logica delle astensioni nacque una sorta di “governo
del Presidente” suffragato ad una sconsiderata “solidarietà nazionale” attorno alla quale fu bruciata in poche
settimane la più grande affermazione elettorale della sinistra nel dopoguerra.
Tempi diversissimi e temperie mai più attraversate: terrorismo nel cuore dello
Stato, crisi economica durissima, P2 ai vertici di apparati e istituzioni. Allora
fu miopia (a essere generosi nel giudizio), adesso si tratterebbe di uno
scellerato ritorno all’indietro, dell’attuazione del classico “quando la storia
si ripete la tragedia si tramuta in farsa” (citazione adattata a cura
dell’autore di questo intervento). Soprattutto si priverebbe il quadro
parlamentare di un pezzo di schieramento oggi assolutamente necessario: quello
di una coerente e determinata opposizione di sinistra condotta in nome
dell’attuazione e della difesa della Costituzione Repubblicana e della
rappresentanza dei ceti sociali tempestati da condizioni materiali di vita rese
impossibili dall’emergere di contraddizioni ormai insostenibili nella
materialità di un quotidiano.
Un
quotidiano segnato dalla crescita esponenziale delle diseguaglianze, dallo
sfruttamento intensivo, dalla sopraffazione da parte degli eterni più forti:
basta leggere il rapporto Oxfam 2017 appena presentato. E’ sempre sbagliato, in
materia elettorale, ragionare in negativo, cercando cioè “quello che non si
deve fare e soprattutto ciò che non si deve votare”.
Le elezioni
dovrebbero rappresentare comunque, nei limiti imposti dalla libertà di
espressione concessa in una “democrazia borghese”, un’occasione di pronuncia in
positivo: ma in questo caso una riflessione s’impone. E’ sicuramente difficile
trovare una possibilità d’indicazione in positivo all’interno di questo quadro
politico contrassegnato dalla progressiva omologazione subalterna da parte di
chi aveva cercato di imporsi come alternativa antipolitica come nel caso del
M5S e subito rientrato nell’alveo della più banale governabilità in una
esaltazione tra l’altro ridicola e parossistica della personalizzazione, da un
PD che rimane il partito – cardine del tentativo di assassinio della democrazia
che era contenuto nella deforma costituzionale respinta dal voto del 4
dicembre. Tentativo di violazione dello spirito e della lettera della
Costituzione che, nonostante quel voto,
è rimasto comunque nella logica di fondo che il PD esprime. E ancora da
ricordare la presenza di un centro destra pervaso da pulsioni razziste e
fasciste che rendono logicamente inavvicinabile qualsiasi spezzone di questo
schieramento. E’ proprio il caso allora di avventurarsi in propositi di
strategie di futuribili schieramenti di governo oppure può valere la pena di
cimentarsi con le elezioni in nome della chiarezza di una alternativa che passa
necessariamente per quella fase di opposizione che è richiesta come espressione
di rappresentanza politica proprio in questa fase di guerra di posizione che si
sta sviluppando all’interno di un formidabile processo di rivoluzione passiva?.
Non è soltanto questione di sviluppare un’ analisi rivolta al contingente ma di
adempiere per quanto possibile, tenuto conto della modestia dei mezzi a
disposizione, ad una prospettiva storica
allo scopo di tenere aperta – comunque pur nelle grandi difficoltà del momento
– una prospettiva di radicale trasformazione della società.