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lunedì 14 aprile 2025

L’EQUIVOCO DEL LIBERALISMO 
di Luigi Mazzella


 
Heri dicebamus. La mia teoria dell’irrazionalità dominante nella way of life (pubblica e privata) Occidentale come conseguenza inevitabile dell’abitudine contratta a “credere” anziché a “pensare”  richiede un completamento. Nell’elaborare tale tesi, infatti, ho sempre omesso di parlare del rapporto tra i cinque assolutismi, tre religiosi e due ideologici (per me ugualmente rovinosi) imperanti nella cultura del Vecchio e del Nuovo Continente  e il “liberalismo” con cui è regolata  la vita quotidiana e grazie al quale  si è temperato e si tempera, in modo indubbio, l’autoritarismo che da ogni assolutismo normalmente discende (i due concetti sono sempre strettamente e indissolubilmente collegati e, secondo il brocardo latino: simul stabunt et simul cadent)



Non è, per giunta, privo di significato il fatto che dopo la sconfitta dei regimi nazifascisti nella seconda guerra mondiale e il crollo più recente del bolscevismo comunista nell’Unione Sovietica, religiosi monoteisti di derivazione mediorientale e fanatici delle due ideologie post-hegeliane si siano immediatamente dichiarati e tentino di comportarsi (fino a un certo punto, ovviamente) come cultori della libertà e dell’autonomia individuale. Ritengo la mia omissione motivata dal fatto che il problema non poteva essere affrontato in poche righe ma necessitava di una trattazione ad hoc. Dovevo spiegare, in numero sufficiente di righe, per quale ragione una cultura in cui la filosofia, intesa come attività di pensiero, basata sul ragionamento e sulla logica e diretta alla comprensione senza artifici mentali della realtà aveva sempre  colpevolmente convissuto, in Occidente, con quelle forme di assolutismo religioso e politico da me sempre denunciate come esiziali. La conseguenza era stata una persistenza sorprendente di scelte operative sbagliate di governanti e governati e l’impressione di una sostanziale incrollabilità di lapalissiane menzogne religiose e laiche.
Ebbene, oggi sciolgo la riserva e sostengo che ciò si è verificato unicamente grazie all’equivoco di una società in cui si è ritenuto e si ritiene   presente e operante una concezione  liberale della vita.

   


Essa  ha svolto lo stesso ruolo del principio di dare al popolo  “panem et  circenses”, come avveniva nei tempi antichi. Il cosiddetto “liberalismo” garantiva e garantisce alla massa di esprimere liberamente il proprio pensiero che, però, libero non era e non è perché fortemente condizionato dalle credenze religiose assolutistiche e dalle utopie ideologiche, entrambe, fonti inequivocabili dell’autoritarismo nel governo degli Stati. Il liberalismo ha fatto, come suol dirsi, da “zona cuscinetto” (o specchietto per allodole)  per mascherare con la  difesa dell’autonomia, della tolleranza, della libertà dell’individuo nei vari campi dell’agire umano (ideali detti: “illuministici”) nonché  dell’eguaglianza dei diritti e della limitazione dei privilegi, una “cultura” in cui la favolistica e l’utopia hanno potuto continuare tranquillamente a trarre in inganno la massa.



A differenza che in altri Paesi dove come matrice del liberalismo è stato tirato in ballo l’illuminismo inglese di John Locke e le sue basi empiristiche, in  Italia, in omaggio all’idealismo tedesco dominante in Europa, padri del liberalismo teorico ( quello privo di basi dottrinarie è stato ed è solo appannaggio di praticanti della politica o di una pseudo-economia) sono citati Benedetto Croce e Giovanni Gentile, due discepoli di Hegel, amati rispettivamente - e non di certo a caso - anche da comunisti e fascisti, che si sono scoperti anch’essi “liberali” dopo i tonfi clamorosi delle loro rispettive, folli utopie.