L’EQUIVOCO DEL LIBERALISMO
di Luigi Mazzella
Heri
dicebamus. La
mia teoria dell’irrazionalità dominante nella way of life (pubblica
e privata) Occidentale come conseguenza inevitabile dell’abitudine contratta a
“credere” anziché a “pensare” richiede un completamento. Nell’elaborare
tale tesi, infatti, ho sempre omesso di parlare del rapporto tra i cinque
assolutismi, tre religiosi e due ideologici (per me ugualmente rovinosi)
imperanti nella cultura del Vecchio e del Nuovo Continente e il
“liberalismo” con cui è regolata la vita quotidiana e grazie al
quale si è temperato e si tempera, in modo indubbio, l’autoritarismo
che da ogni assolutismo normalmente discende (i due concetti sono sempre
strettamente e indissolubilmente collegati e, secondo il brocardo
latino: simul stabunt et simul cadent).
Non
è, per giunta, privo di significato il fatto che dopo la sconfitta dei regimi
nazifascisti nella seconda guerra mondiale e il crollo più recente del
bolscevismo comunista nell’Unione Sovietica, religiosi monoteisti di
derivazione mediorientale e fanatici delle due ideologie
post-hegeliane si siano immediatamente dichiarati e tentino di comportarsi
(fino a un certo punto, ovviamente) come cultori della libertà e dell’autonomia
individuale. Ritengo
la mia omissione motivata dal fatto che il problema non poteva essere
affrontato in poche righe ma necessitava di una trattazione ad hoc. Dovevo
spiegare, in numero sufficiente di righe, per quale ragione una cultura in
cui la filosofia, intesa come attività di pensiero, basata sul ragionamento e
sulla logica e diretta alla comprensione senza artifici mentali della
realtà aveva sempre colpevolmente
convissuto, in Occidente, con quelle forme di assolutismo religioso e politico
da me sempre denunciate come esiziali. La conseguenza era
stata una persistenza sorprendente di scelte operative sbagliate di governanti
e governati e l’impressione di una sostanziale incrollabilità di lapalissiane
menzogne religiose e laiche.
Ebbene,
oggi sciolgo la riserva e sostengo che ciò si è verificato unicamente grazie
all’equivoco di una società in cui si è ritenuto e si
ritiene presente e operante una concezione liberale
della vita.
Essa ha
svolto lo stesso ruolo del principio di dare al popolo “panem et circenses”, come avveniva nei tempi antichi. Il cosiddetto “liberalismo” garantiva e
garantisce alla massa di esprimere liberamente il proprio pensiero che, però,
libero non era e non è perché fortemente condizionato dalle credenze religiose
assolutistiche e dalle utopie ideologiche, entrambe, fonti inequivocabili
dell’autoritarismo nel governo degli Stati. Il liberalismo ha fatto, come suol dirsi, da “zona
cuscinetto” (o specchietto per allodole) per mascherare con
la difesa dell’autonomia, della tolleranza, della libertà
dell’individuo nei vari campi dell’agire umano (ideali detti: “illuministici”)
nonché dell’eguaglianza dei diritti e
della limitazione dei privilegi, una “cultura” in cui la favolistica e l’utopia
hanno potuto continuare tranquillamente a trarre in inganno la
massa.
A
differenza che in altri Paesi dove come matrice del liberalismo è stato tirato
in ballo l’illuminismo inglese di John Locke e le sue basi empiristiche,
in Italia, in omaggio all’idealismo tedesco dominante in Europa,
padri del liberalismo teorico ( quello privo di basi dottrinarie è stato ed è
solo appannaggio di praticanti della politica o di una pseudo-economia) sono
citati Benedetto Croce e Giovanni Gentile, due discepoli di Hegel, amati
rispettivamente - e non di certo a caso - anche da comunisti e
fascisti, che si sono scoperti anch’essi “liberali” dopo i tonfi clamorosi
delle loro rispettive, folli utopie.