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domenica 14 dicembre 2025

NON È CHE UN ADDIO
di Angelo Gaccione


Mario Ferrando con il gatto Epifanio
 
Il libro di Mario Ferrando: Non è che un addio. Vite in un sussurro, me ne ha fatto venire in mente un altro di diversi anni fa: Tumbas, di Cees Nooteboom, su cui avevo scritto un’articolata recensione, che avevo pubblicato su queste pagine lunedì 7 maggio 2016. Inserisco qui sotto il link per chi volesse darci un’occhiata.
https://libertariam.blogspot.com/2016/03/libri-tombe-di-uomini-molto-illustri-di.html
Il libro di Nooteboom, alla ricerca di tombe di persone illustri, riguardava luoghi fra i più diversi e lontani, e le motivazioni erano strettamente intellettuali: quelle di uno scrittore, di un intellettuale che va alla ricerca delle spoglie di altri scrittori, di altri intellettuali che lo hanno, nelle forme più diverse, stimolato o influenzato. Questo di Ferrando, invece, riguarda i luoghi di sepoltura di un’area geografica ben precisa e delimitata: il Ponente Ligure, la sua terra, perché Ferrando in quella parte di terra c’è nato (ad Alassio dove tuttora vive, e a Genova dove ha compiuto gli studi), e dunque il suo affetto per i luoghi e i nomi dei trapassati, è un legame sentimentale vero, caldo, credibile, radicato. Ferrando ama la quiete e il silenzio, e non c’è luogo più idoneo di un cimitero per questo e per una riflessione profonda; per meditare sul senso della vita e della morte; per stare in raccoglimento con sé stessi, per ricordare. Nella nota che chiude il libro Ferrando ce lo confessa apertamente: “Da sempre amo camminare in luoghi poco affollati e silenziosi. Salvo nei primi giorni di novembre i cimiteri sono i posti ideali”. Ci racconta che da bambino vi si recava con la madre, e tutte quelle sepolture dalle fogge più diverse e cariche di simboli, quelle fotografie, quelle incisioni, quelle frasi spesso così esagerate, non potevano non rimanere nel suo animo e nella sua memoria. Da adulto, girare fra le tombe della sua terra, soffermarsi a leggere ciò che i familiari hanno voluto lasciarvi a imperituro ricordo, immaginare da quei pochi indizi, dalle professioni, dai gesti che in vita i trapassati avevano compiuto, meditare sul tempo che sulla terra avevano trascorso, sulle partenze e sui ritorni, sulle parabole esistenziali, sui sentimenti che avevano provato, lo hanno indotto a lavorare con la fantasia dello scrittore e a restituircele, quelle vite, di nuovo vive e palpitanti. Ci sono persone oscure in quei cimiteri, ma ce ne sono di quelle che hanno compiuto gesti non comuni. Non si tratta di Staglieno o del nostro Monumentale con il tempio della Fama per custodirvi gli spiriti magni, sono piccoli cimiteri di piccole cittadine, spesso spogli e raccolti e senza alcuna pretesa di esibire sfarzo o arte. Le motivazioni del suo progetto Ferrando le ha ribadite in uno dei passaggi dello scritto che mi ha inviato via email: “Da un anno sono a riposo e ho voltato pagina: ora posso dedicarmi pienamente alle mie passioni umanistiche, agli studi botanici, storici e alla teologia. Sono molto legato alla Liguria, che mi piace raccontare mescolando storia e fantasia, esplorare nei suoi piccoli borghi e percorrere a piedi lungo i meravigliosi sentieri costieri, collinari e montani, scoprendo ogni volta curiosità e informazioni interessanti che mi invogliano ad approfondire ancora. Qualche anno fa ho curato una ricca raccolta epistolare della famiglia di mia moglie, tra Villa Viani e il Perù, dal 1915 al 1947. Si tratta di un corpus che testimonia il fenomeno migratorio dalla Liguria al Perù, l’impatto dei migranti liguri con l’ambiente sudamericano, le loro condizioni di vita e i riflessi che grandi eventi della storia mondiale ebbero sull’esistenza di quelle famiglie. Questo primo lavoro ha anche ispirato uno dei racconti presenti in Non è che un addio, intitolato Le nostalgie degli altri. Ci sono riferimenti a documenti autentici, che troverete a pagina 236; io vi segnalo le lettere di Garibaldi a Caroline Giffard Phillipson, quella di D’Annunzio al tenente di vascello Giuseppe Garassini, il testamento del libero pensatore ateo, il cavaliere Agostino Pagliano. Il testamento, ma soprattutto la laconica scritta sulla sua tomba: Nessun Rimorso, nel cimitero di Laigueglia, suggerisce a Ferrando un gustosissimo dialogo teatrale a più personaggi. Pagliano ci è reso nel suo più autentico spirito di ribelle intransigente, ma anche generoso. La visita alla tomba del poeta dialettale Giuseppe Chiozza al cimitero di Pegli, è il pretesto per la costruzione di un immaginario incontro fra questi e Camillo Sbarbaro. Ferrando li farà incontrare sul monte Figogna dove Chiozza cerca asparagi e Sbarbaro i suoi amati licheni che colleziona e cataloga con passione e competenza. Dalle pagine di un diario che si dispiegano fra il 7 marzo del 1922 e il 5 gennaio del 1924, scopriamo che i due si sono tenuti in contatto epistolare e che finalmente, nel mese di aprile di quell’anno, si daranno appuntamento a Genova in Piazza De Ferrari.


Camillo Sbarbaro

Pranzeranno assieme in una trattoria non lontana da Piazza delle Erbe: sono due poeti e non potranno non parlare di poesia. Sbarbaro parlerà soprattutto di licheni, di questi strani compositi organismi di cui è affascinato: “Quel che in essi mi commuove è la prepotenza di vita” dirà di essi. Non ho visitato la tomba di Sbarbaro nei miei numerosi viaggi e soggiorni in Liguria, ma ho visitato la sua casa di Spotorno. Per un mese intero vi sono passato ogni giorno davanti, e tutte le volte leggevo la targa che è stata apposta nel sottoportico di via Finale per “l’estroso fanciullo”, come lo aveva definito Eugenio Montale. Troverete una trentina di tombe in questo libro, e un’altra trentina, o poco più, di narrazioni: fra il vero e il verosimile, come giustamente scrive Giancarlo Consonni nella sua introduzione. A lettura ultimata ci si accorge che storia, scienza, aneddotica, economia, e perché no? anche politica, morale, cibo, lingua, usi, costumi, tradizioni, geografia, insomma tutto ciò che ha riguardato questi uomini e queste donne, è condensato in un viaggio di scrittura. Chi ci ha accompagnato nell’esplorazione, ha profuso anche i suoi sentimenti privati in quelle vite. Le ha offerte al nostro sguardo con la benevolenza del complice, non con la distaccata noncuranza del semplice cronista.



Mario Ferrando
Non è che un addio. Vite in un sussurro
La Vita Felice, 2025
Pagg. 248 - € 20,00