NON È CHE UN ADDIO
di Angelo Gaccione

Mario Ferrando con il gatto Epifanio
Il
libro di Mario Ferrando: Non è che un addio. Vite in un sussurro, me ne
ha fatto venire in mente un altro di diversi anni fa: Tumbas, di
Cees Nooteboom, su cui avevo scritto un’articolata recensione, che avevo
pubblicato su queste pagine lunedì 7 maggio 2016. Inserisco qui sotto il link
per chi volesse darci un’occhiata.
https://libertariam.blogspot.com/2016/03/libri-tombe-di-uomini-molto-illustri-di.html
Il libro di Nooteboom, alla ricerca di tombe di
persone illustri, riguardava luoghi fra i più diversi e lontani, e le
motivazioni erano strettamente intellettuali: quelle di uno scrittore, di un
intellettuale che va alla ricerca delle spoglie di altri scrittori, di altri
intellettuali che lo hanno, nelle forme più diverse, stimolato o influenzato.
Questo di Ferrando, invece, riguarda i luoghi di sepoltura di un’area
geografica ben precisa e delimitata: il Ponente Ligure, la sua terra, perché
Ferrando in quella parte di terra c’è nato (ad Alassio dove tuttora vive, e a
Genova dove ha compiuto gli studi), e dunque il suo affetto per i luoghi e i
nomi dei trapassati, è un legame sentimentale vero, caldo, credibile, radicato.
Ferrando ama la quiete e il silenzio, e non c’è luogo più idoneo di un cimitero
per questo e per una riflessione profonda; per meditare sul senso della vita e
della morte; per stare in raccoglimento con sé stessi, per ricordare. Nella
nota che chiude il libro Ferrando ce lo confessa apertamente: “Da sempre amo
camminare in luoghi poco affollati e silenziosi. Salvo nei primi giorni di
novembre i cimiteri sono i posti ideali”. Ci racconta che da bambino vi si
recava con la madre, e tutte quelle sepolture dalle fogge più diverse e cariche
di simboli, quelle fotografie, quelle incisioni, quelle frasi spesso così
esagerate, non potevano non rimanere nel suo animo e nella sua memoria. Da adulto,
girare fra le tombe della sua terra, soffermarsi a leggere ciò che i familiari
hanno voluto lasciarvi a imperituro ricordo, immaginare da quei pochi indizi,
dalle professioni, dai gesti che in vita i trapassati avevano compiuto,
meditare sul tempo che sulla terra avevano trascorso, sulle partenze e sui
ritorni, sulle parabole esistenziali, sui sentimenti che avevano provato, lo
hanno indotto a lavorare con la fantasia dello scrittore e a restituircele,
quelle vite, di nuovo vive e palpitanti. Ci sono persone oscure in quei
cimiteri, ma ce ne sono di quelle che hanno compiuto gesti non comuni. Non si
tratta di Staglieno o del nostro Monumentale con il tempio della Fama per
custodirvi gli spiriti magni, sono piccoli cimiteri di piccole cittadine,
spesso spogli e raccolti e senza alcuna pretesa di esibire sfarzo o arte. Le
motivazioni del suo progetto Ferrando le ha ribadite in uno dei passaggi dello
scritto che mi ha inviato via email: “Da un anno sono a riposo e ho voltato
pagina: ora posso dedicarmi pienamente alle mie passioni umanistiche, agli
studi botanici, storici e alla teologia. Sono molto legato alla Liguria, che mi
piace raccontare mescolando storia e fantasia, esplorare nei suoi piccoli
borghi e percorrere a piedi lungo i meravigliosi sentieri costieri, collinari e
montani, scoprendo ogni volta curiosità e informazioni interessanti che mi
invogliano ad approfondire ancora. Qualche anno fa ho
curato una ricca raccolta epistolare della famiglia di mia moglie, tra Villa
Viani e il Perù, dal 1915 al 1947. Si tratta di un corpus che testimonia il
fenomeno migratorio dalla Liguria al Perù, l’impatto dei migranti liguri con
l’ambiente sudamericano, le loro condizioni di vita e i riflessi che grandi
eventi della storia mondiale ebbero sull’esistenza di quelle famiglie. Questo
primo lavoro ha anche ispirato uno dei racconti presenti in Non è che
un addio, intitolato Le nostalgie degli altri”. Ci sono
riferimenti a documenti autentici, che troverete a pagina 236; io vi segnalo le
lettere di Garibaldi a Caroline Giffard Phillipson, quella di D’Annunzio al
tenente di vascello Giuseppe Garassini, il testamento del libero pensatore
ateo, il cavaliere Agostino Pagliano. Il testamento, ma soprattutto la laconica
scritta sulla sua tomba: Nessun Rimorso, nel cimitero di Laigueglia,
suggerisce a Ferrando un gustosissimo dialogo teatrale a più personaggi.
Pagliano ci è reso nel suo più autentico spirito di ribelle intransigente, ma
anche generoso. La visita alla tomba del poeta dialettale Giuseppe Chiozza al
cimitero di Pegli, è il pretesto per la costruzione di un immaginario incontro
fra questi e Camillo Sbarbaro. Ferrando li farà incontrare sul monte Figogna
dove Chiozza cerca asparagi e Sbarbaro i suoi amati licheni che colleziona e
cataloga con passione e competenza. Dalle pagine di un diario che si dispiegano
fra il 7 marzo del 1922 e il 5 gennaio del 1924, scopriamo che i due si sono
tenuti in contatto epistolare e che finalmente, nel mese di aprile di
quell’anno, si daranno appuntamento a Genova in Piazza De Ferrari.
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| Mario Ferrando con il gatto Epifanio |

Camillo Sbarbaro

Pranzeranno assieme in una trattoria non lontana da Piazza delle Erbe: sono due poeti e non potranno non parlare di poesia. Sbarbaro parlerà soprattutto di licheni, di questi strani compositi organismi di cui è affascinato: “Quel che in essi mi commuove è la prepotenza di vita” dirà di essi. Non ho visitato la tomba di Sbarbaro nei miei numerosi viaggi e soggiorni in Liguria, ma ho visitato la sua casa di Spotorno. Per un mese intero vi sono passato ogni giorno davanti, e tutte le volte leggevo la targa che è stata apposta nel sottoportico di via Finale per “l’estroso fanciullo”, come lo aveva definito Eugenio Montale. Troverete una trentina di tombe in questo libro, e un’altra trentina, o poco più, di narrazioni: fra il vero e il verosimile, come giustamente scrive Giancarlo Consonni nella sua introduzione. A lettura ultimata ci si accorge che storia, scienza, aneddotica, economia, e perché no? anche politica, morale, cibo, lingua, usi, costumi, tradizioni, geografia, insomma tutto ciò che ha riguardato questi uomini e queste donne, è condensato in un viaggio di scrittura. Chi ci ha accompagnato nell’esplorazione, ha profuso anche i suoi sentimenti privati in quelle vite. Le ha offerte al nostro sguardo con la benevolenza del complice, non con la distaccata noncuranza del semplice cronista.
Mario Ferrando
Non è che un addio. Vite in un sussurro
La Vita Felice, 2025
Pagg. 248 - € 20,00
