IL POEMA ALPINO
di
Franco Toscani
Roberto Taioli
Il
senso dell’Oltre nella poesia di Roberto Taioli.
Leggendo
il "poema alpino" di Roberto Taioli (Ascendit. Poema alpino, prefazione
di Gabriele Scaramuzza, edizioni Ulivo, Balerna, Svizzera, 2016), composto da
367 versi, si avverte ben presto che esso è il frutto di una lunga elaborazione
e "ruminazione" dell'autore, poeta e filosofo milanese che, nei monti
della val d'Ayas (in val d'Aosta) da lungo tempo frequentati e a lui molto
cari, ha sempre trovato fonte di ispirazione poetica e di pensiero. Questi
monti aostani sono talmente cari al poeta che ad essi - oltre che a "chi
li ha creati" e "a chi li conserva eterni" - è dedicato il
"poema alpino", che reca una prefazione assai densa di Gabriele Scaramuzza,
già docente di Estetica presso l'Università degli Studi di Milano, nella quale
anche l'autore ha prima studiato e poi lavorato. Ascendit non è di facile lettura ed effettivamente "dà molto
da pensare", come scrive l'autore stesso nelle sue interlocuzioni con
Scaramuzza, ampiamente riportate da quest'ultimo nella Prefazione (pp. 7-13). Qui Scaramuzza fornisce importanti chiavi di
lettura del poema parlando di un "racconto autobiografico", in cui
l'io diventa "centro di relazioni" con gli altri e con le cose,
incontra la natura circostante attraverso il filtro della propria soggettività,
la quale opera - per ricorrere a un termine specifico della fenomenologia di
Husserl e di Paci, filosofi tra i più amati da Taioli - una peculiare Sinngebung (conferimento di senso). Si tratta di una donazione di senso
poetico-pensante, in cui l'interrogazione dell'Alterità trascendente avviene in
un dialogo incessante e pure in forma di preghiera;
di qui il "respiro religioso non confessionale" (come rileva ancora
Scaramuzza) dell'intero componimento. Il "poema alpino" indica al suo
autore stesso e ai suoi lettori il cammino verso l'alto, l'ascesa "sempre
più su, verso il cielo" (come dice una citazione posta all'inizio di Ascendit, tratta da Der Zauberberg, La montagna
magica, 1924, di Thomas Mann), dove il cielo diventa il luogo per
eccellenza di salvezza e di consolazione. La preghiera-interrogazione della
poesia domanda: "dimmi se continua la vita/ dove tutto finisce/ se
qualcosa s'accampa s'inerpica/ più alto del cielo" (p. 15). È davvero una
domanda metafisica, dove l'uomo non è più innanzitutto il viandante che abita
la terra e misura la distanza fra terra e cielo, ma è colui che - ricorrendo
questa volta alla poesia, alla bellezza
dei versi, a ciò che Wallace Stevens chiamò la "suprema finzione"
della poesia - cerca la salvezza eterna, la definitiva rassicurazione e
protezione di sé. La scrittura poetica vuole essere anche "cura di
sé", forma di autorassicurazione e pacificazione, ricerca dell'eternità.
Il poeta sa che il tempo ci sfugge, ma con la poesia tenta l'impossibile.
Roberto Taioli |
La copertina del libro
La
scommessa di Taioli è chiara, netta, inequivocabile; egli si affida alla
speranza forte nella consolazione, protezione e salvezza eterne. Qui la morte e
la finitezza sono avvertite come una soglia da varcare, non sono più qualcosa
di insuperabile, non vengono assunte come inesorabili leggi di natura e
accettate pienamente, ma si cerca di fare i conti con esse per superarle o,
meglio, per tentare di superarle, col forte desiderio e speranza di oltrepassarle,
ben consapevoli dell'impresa ardua. L'eternità non consiste per Taioli nella
legge che sancisce l'impermanenza e il divenire di tutte le cose, ma è il
divino o, forse meglio ancora, il Tu divino, il Tu di un Dio personale che salva
e redime, conforta e consola, che nel pericolo estremo ci mette per sempre al
riparo nella pace assoluta. Anche se la parola Dio non compare in Ascendit, il rinvio al Dio creatore,
provvidenziale e salvifico ci sembra comunque centrale nel poema. Con la
bellezza e l'incanto dei suoi versi, con la sua raffinatezza e ricercatezza
linguistica, con la sua tela sapientemente tessuta, col suo "poema
alpino" in cui poesia e pensiero sono intimamente compenetrati, Taioli si
rivolge fiducioso al "Tu" prodigioso che crea la bellezza, unisce
terra e cielo, ordina le acque, governa la natura intera, l'incantevole φύσις. La poesia dunque qui si palesa soprattutto come una profonda
tensione all'Oltre. Non tanto tensione all'oltrepassamento esistenziale considerando
la trascendenza nell'immanenza e l'immanenza nella trascendenza, ma tensione
all'Oltre della metafisica, alla meta dell'ἔσχατον, ad una Trascendenza pura, in cui poter trovare ristoro e
riparo eterni. È la ricerca di un Dio-Tu personale capace di redimere e di
appagare, che va incontro agli esseri umani fragili e bisognosi, anche al poeta
stesso che, con profondo afflato
evangelico, scrive: "i miti e i deboli i franti i feriti/ gli afflitti
e gli inquieti/ per tutti sbriciolavi il pane/ e placavi l'arsura" (p.
29).
Non
a caso il "poema alpino" si conclude insistendo sulla compièta,
l'ultima parte della "liturgia delle ore", con la quale si chiude la
giornata liturgica e le preghiere che vi sono comprese. Estensivamente, per il
poeta e pensatore Roberto Taioli, la compièta diventa la preghiera del
compimento, della plenitudo di sé
stesso e di ciascun uomo che ha svolto il suo cammino esistenziale.