PROPOSTE DI
FULVIO PAPI PER MILANO
Milano 1° Maggio 2016.
Caro Angelo, con la nota che ti mando sulla amministrazione
della città (che ovviamente richiederebbe molti approfondimenti) desidero
testimoniare la mia adesione, e, se possibile, il mio supporto alla lista per
le amministrative di Milano “Alternativa Municipale” che ha come capolista
l’avv. prof. Felice Besostri. Una figura esemplare della storica tradizione
socialista, di lunga fedeltà e coerente milizia secondo lo stile dell’onestà
personale e della democrazia. Presente da decenni nella politica italiana ed
europea, ultimamente ha condotto una lunga e faticosa azione legale in modo che
la Consulta sia potuta giungere alla bocciatura come anticostituzionale della
legge elettorale nota come “porcellum”. È tra i fondatori del movimento per la democrazia
costituzionale.
Fulvio Papi nel suo studio (foto: Fabriano Braccini -archivio Odissea) |
Credo
sarebbe un po’ fuori luogo se io, che da anni mi dedico prevalentemente allo
studio e alla scrittura di opere teoriche, ora volessi indicare nei particolari
i criteri di intervento amministrativo che sono prioritari per la città. Posso
avere qualche valutazione di getto, ma quello che posso fare e credo di dover
fare, è di indicare i criteri generali attraverso i quali si deve amministrare
politicamente una città, poiché la politica non è altro che l’attuazione dei
criteri che si ritengono validi per un vantaggio collettivo.
Indicherò subito il
comportamento che è bene non avere, e cioè considerare il territorio come una
forza produttiva che attraverso l’attuazione di valori d’uso nient’affatto
valutati per la positività del loro impatto sociale, diventano tuttavia
direttamente ragioni di profitto privato. Lo si sappia o meno, lo si rimuova o
lo si nasconda, in questo caso il profitto privato diviene la misura assoluta della propria azione, quindi in
generale come lo scopo fondamentale della propria esistenza. Da questa considerazione
si possono trarre tutte le conseguenze morali che si desiderano. Tuttavia non
vorrei che il mio pensiero fosse assimilabile ad una specie di estremismo
puritano e primitivo. Non nego affatto il diritto ad un profitto qualora esso
derivi da sue condizioni fondamentali, in quale caso esso può diventare
un’energia per una migliore riproduzione sociale. Le condizioni fondamentali
sono le seguenti:
1. L’esecuzione
di una qualsiasi opera si deve considerare come un bene pubblico, decisione che
può derivare solo da analisi che tengano presente differenti punti di vista e
dinamiche di esigenze sociali nella loro complessità.
2. Il costo
di queste opere deve essere valutato oggettivamente sia riguardo al loro
ammontare sia riguardo ai tempi di esecuzione. È indispensabile una severa sorveglianza sul gravame di
interessi privati connessi con consorterie lobbistiche come appare oggi la
situazione condizionata da un reticolo sostanzialmente malavitoso.
3. Considero
inoltre che vi sono intuitivamente (l’intuizione è sempre storicamente
determinata da bisogni primari) alcuni
beni fondamentali la cui salvaguardia costituisce di per se stessa una
necessità naturale e un livello di civiltà: l’acqua, l’aria, lo spazio, la
sicurezza, l’educazione scolare, l’infanzia, l’infermità, la tarda età, il
sapere della collettività, che debbono essere assicurati prioritariamente dal
servizio pubblico al costo necessario e a un livello di efficienza
So bene che esiste una
obiezione che di solito si fa a questa concezione: si dice che se non esiste un
interesse privato non si è in grado di raggiungere un livello di efficienza. Si
osserva che senza una gestione che garantisce un profitto privato, questi beni
sociali diventano l’occasione per la formazione di pubbliche consorterie che offrono
legittimazione pubblica per interessi privati. Questo è quanto storicamente è
accaduto nel nostro paese indipendentemente dalla gestione pubblica o privata,
altrimenti non saremmo al 156°posto nella classifica mondiale della corruzione,
notizia obiettiva che quotidianamente viene confermata da un’alternanza di
corruzione e collusione che investe pressoché tutti i settori della vita
socio-economica. Il ripristinare la legalità con ogni mezzo possibile
probabilmente diminuirebbe il contributo fiscale che grava sui cittadini.
Si possono indicare tre
prospettive:
1.la scelta
rigorosa degli amministratori pubblici a tutti i livelli, poiché l’ideologia
della positività democratica degli enti locali è del tutto fallita ed è stato
anche un canale diretto per il disfacimento morale che ha avuto conseguenze
dirette nello stile di vita sociale che l’opera onesta e positiva di molti non
ha potuto arginare.
2. È necessario modificare il rapporto tra decisione
politica ed esecuzione burocratica che nell’accumularsi dei tempi, fruisce di
potere di intervento e di interdizione.
3. È un fenomeno del tutto positivo quello dell’intervento
di comunità locali che in molte occasioni hanno saputo difendere con la propria
iniziativa beni che costituiscono valore e identità della propria vita sociale
contro decisioni la cui analisi mostrerebbe più di un elemento di dubbio sulla
loro intelligenza sociale e sulla garanzia della trasparenza economica.
Felice Besostri |
Occorre domandarsi più in
generale quale possa essere la prospettiva strategica nella conduzione della
città. È
opinione comune che noi ci troviamo di fatto di fronte alla figura storica
della città metropolitana secondo dimensioni che a livello mondiale sono ben
note. Questo non significa che la situazione non possa avere elaborazioni
differenti. Va detto che una urbanistica che, in qualche modo, derivi da una
visione ideale della città, purtroppo si trova materialmente fuori gioco.
Questo non vuol dire affatto che una città metropolitana possa estendersi per
condizioni obiettive senza che possa essere pensata come il “luogo” della
propria vita
È ovvio
che questa concezione non può rimanere un patrimonio della intelligenza critica
senza indicazioni materiali e pratiche
che vanno dai trasporti, alla valorizzazione qualitativa del territorio, alla
erogazione dei servizi, alle modalità sociali della fruizione del tempo e dello
spazio. Era molto più semplice, ma anch’essa mi pare fuori gioco, l’urbanistica
europea socialdemocratica (e poi ereditata dal modernismo dei regimi
autoritari) degli anni Trenta che costruiva una città secondo localizzazioni
differenti: quelle industriali, commerciali, amministrative, culturali. Le
stesse forme di produzione e di comunicazione contemporanea rendono obsoleti
questi modelli. Non vi è alcuna soluzione già pronta, ma il problema, nella sua
generalità, non può essere estraneo a chi suppone di poter dirigere una città
secondo un’idea di bene comune. E qui devo ripetere un tema fondamentale che
ebbi modo di indicare già molto tempo addietro. Sostengo che come assoluta
priorità la città dovrebbe ri-costruirsi (nel limite del possibile) secondo le
esigenze climatiche ed energetiche che sono decisive. La città dovrebbe essere
messa in condizione di auto-prodursi come positività ambientale e come fonte di
ricchezza energetica e non come fonte di consumi e di sperperi alla lunga
insostenibili. Questa prospettiva
rimette in gioco la dimensione programmata, ridicolizzata da un post- moderno
francamente più che modesto e concretamente motivo di errori di prospettiva
piuttosto gravi. Una programmazione di questo tipo richiede competenze
complesse e interagenti tra loro, risorse economiche regolate secondo una
tempistica ben studiata, apertura di nuove e ampie possibilità di lavoro e di
circolazione della ricchezza. Per queste ragioni sono sicuro che coloro che
disprezzano il riflettere il prospettare e lodano e sostengono un praticismo
delle cose come sono, in realtà sono tramite per la riproduzione delle medesime
difficoltà e dei quesiti che noi lamentiamo, una insostenibilità sociale
parallela a un edonismo affaristico di cui la città non ha bisogno. Pensare
come “progresso” contenuti materiali di questa natura, non è solo segno di una
totale assenza del sapere contemporaneo, ma proprio per questo, è un ulteriore
fattore di crisi sociale di cui può beneficiare solo un’assoluta minoranza
della popolazione Bisognerebbe essere dei benevoli utopisti per non sapere che
è più facile scegliere un opportunismo, un poco volgare, piuttosto che
collocarsi in un compito difficile, innovativo, privo di precedenti e anche a
prova di errore. Ma per imprese di questo tipo occorre anche una condivisione
di un’etica pubblica che è uno dei beni più rari. Rari ma non impossibili.
Ricordo nella mia prima giovinezza il sindaco Greppi e il problema della
ricostruzione della città. Non tutto fu al meglio ma non mancò mai una grande
solidarietà sociale. Altri tempi, si dirà. Ed è vero. Ma la libertà del nostro
agire è certo condizionata dal tempo storico, ma mantiene un suo margine di
scelta ed è questo lo spazio in cui ha senso parlare di politica.
Fulvio Papi